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REWIND DI UNA MESSA IN SCENA
Il piacere dell'onestà. Il mio.
 

di Carlo Dilonardo

Quando ho iniziato a costruire mentalmente il paesaggio scenico che avrebbe dovuto costituire questo mio lavoro ho pensato immediatamente al budget a disposizione, pari a zero. L'esperienza organizzativa mi porta a mettere un po' da parte (per fortuna!), fino a possibilità contraria, l'estro artistico, registico, scenografico puntando solo ed esclusivamente alla riuscita della messa in scena tramite l'attore e di questo devo dire grazie agli incontri, ai maestri, ai professori universitari che mi hanno formato in tal senso in questi anni. Per un teatro povero diviene eccezione. Che conferma la regola (prettamente italiana)!

Questo spettacolo messo in scena con pochissimi mezzi è l'emblema di una realtà, quella giovanile, troppo spesso esclusa dalle logiche dei colossi produttivi che, per giunta, ricevono finanziamenti pubblici talvolta solo come eco di precedenti sovvenzioni. Come dire, “i soldi li hanno avuti fino ad ora, che fai glieli togli?!”…

L'associazione che ha preso in carico questo progetto e di cui sono orgogliosamente presidente ha mosso i primi passi a Roma, confrontandosi quindi con una giungla di operazioni teatrali e sceniche dirette da giovani volenterosi e pieni di energia ma che il sistema teatrale relega ad esperienze estemporanee e da dimenticare nel momento stesso in cui nascono.

Questo esser ignorati, ad un certo punto porta ad una stanchezza, richiama la fatica organizzativa e gestionale di persone che talvolta vorrebbero ricevere anche un riconoscimento per il tempo dedicato alle prove e allo sviluppo di un progetto: questo sembra a taluni tanto strano ed invece dovrebbe essere la normalità.

Ma veniamo a noi….

Con gli attori di questo spettacolo, si badi non professionisti ma estremamente professionali abbiamo raggiunto la soglia delle quindici repliche con un bilancio economico in attivo: un bilancio sempre dimostrato a tutti i componenti, quasi da riflesso delle vecchie cooperative teatrali. Tanti rischi comunque, tanta burocrazia, tante incombenze sperando sempre che fosse seduto in platea quello spettatore in più per evitare danni alle casse della compagnia: il tutto fatto sempre con la massima onestà intellettuale e amministrativa.

Tutto ciò poi deve inevitabilmente sposarsi con ciò che lo spettatore viene a vedere. Perché alla fine è il “cliente” quello che conta, almeno con la teoria dell'oggi. Il piacere dell'onestà è un lungimirante testo di Luigi Pirandello ed è uno dei pochi in cui il finale viene risolto dai sentimenti, o meglio, dall'amore che fonde il cinico e quindi onesto protagonista, Angelo Baldovino e Agata, giovane donna che ricomincia a vivere proprio grazie alla trasparenza, alla integerrima morale dell'uomo. Una drammaturgia quindi che si chiude non in maniera filosofica, ma umana. Il nostro spettacolo che definisco e che molti docenti e spettatori hanno definito come un "eccellente riepilogo scenico" e produttivo, è stato realizzato anche grazie al morboso attaccamento di chi scrive agli aspetti del drammaturgo siciliano rintracciabili tutt'oggi nella società attuale, dove una persona estremamente onesta può diventare un essere odioso, perché…non ci si è abituati. L'onestà come aliena al mondo contemporaneo, come altro da noi.

Vuole essere un omaggio al drammaturgo in occasione degli ottant'anni dalla sua scomparsa e soprattutto uno studio approfondito su questo dramma in tre atti, racchiusi in uno solo, dove tutti i personaggi (quelli dis-onesti), vengono dipinti di nero, vestiti di nero in una realtà cupa e sorda. Il protagonista, invece, quello onesto e quindi insopportabile nella sua intransigenza morale dipinto di bianco, un abito bianco sporcato solo da una giacca nera, indossata per pochi minuti, giusto per mescolarsi un po', ma non troppo.

Tutto ciò giocato su una scena che ritrae, credo, un compendio del teatro pirandelliano, “stanza della tortura” compresa.

Un perimetro delimitato da cantinelle* che rinchiudono la casa-stanza incriminata, dove un giovane sposato, il Marchese Fabio Colli, ha messo incinta una giovane ragazza di buona famiglia (non ce ne voglia il Family day…), la signorina Agata Renni, e che ora deve essere salvata per la forma con il supporto dell'amico di famiglia, il faccendiere Maurizio Setti, del Parroco del paese e la pazienza della signora Maddalena, madre della giovane. Ai lati di questa tremenda realtà, la vita nella sua naturalezza, una vita “normale”, quella degli attori che diventano i protagonisti di questa estremizzazione dell'onestà.

Chi ne esce vittorioso? Tutti. E nessuno. Trionfa il sentimento, il sentire che l'essere onesti nonostante tutto e tutti non può che sistemare le sorti della vita di ciascuno. Il piacere dell'onestà è un testo straordinario perché non potrà mai esser vita. Resta teatro. Nel suo significato, nel suo senso, nella sua intimità. Vedere per credere.

Il piacere dell'onestà

con (in o.a.)
Tania Demita, Mauro Di Michele, Maurizio Di Pierro, Vincenzo Lisi, Monica Montanaro, Francesco Placato
Adattamento e Regia Carlo Dilonardo

Martina Franca, Chiostro di San Domenico 2-3 Settembre 2015
Bari, Teatro Abeliano 25 Settembre 2015
Roma, Teatro Trastevere, 8-9-10-11 Ottobre 2015
Cisternino (BR), 13 Dicembre 2015 (doppia replica)
Roma, Teatro San Paolo, 22-23-24 Gennaio 2016
Locorotondo (BA), 19 febbraio 2016 (doppia replica)
Monopoli (BA), 5 marzo 2016 (doppia replica)

*Verga sottile di legno dolce, di norma d'abete, a sezione rettangolare di 2-3 cm per 5-6 cm e lunga 4 m, usata spec. per armature leggere da tetto, soffitto o camera a canna. Nella scenotecnica, serve a formare l'armatura di legno che sostiene le scene dipinte in modo che queste non si deformino; ha lo stesso nome anche la stanga di legno munita di lampadine e sistemata dietro le quinte più avanzate per illuminare quelle retrostanti (fonte: www.treccani.it)