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Quando L'ordine delle cose crea le emergenze

Intervista a Andrea Segre

di Federico Raponi

 

 

Uscito da qualche giorno, il film del già conosciuto documentarista Andrea Segre offre una prospettiva su come viene gestito, in Libia, il traffico dei migranti: questione, questa, sulla quale l'informazione ufficiale dice poco. Ne parliamo allora con il regista.

 

Come sintetizza il racconto?

 

Corrado è un funzionario del Ministero degli Interni che si occupa del discusso accordo con la Libia per fermare i migranti. Grazie a lui, andiamo a vedere come si fa, cosa significa, e soprattutto viviamo ciò che gli succede. Il film nasce da questa curiosità: chi sono le persone che si occupano di attivare gli accordi? Che cosa provano? E ci auguriamo che la sue domande arrivino anche a noi.

 

Il titolo?

 

Vuol dire lo stato dei fatti riguardo a ciò che succede, e anche il tentativo di Corrado di mantenere un equilibrio attraverso la necessità, la ricerca, quasi un po' folle, di costante efficienza e ordine. Quest'ordine, però, contiene al suo interno qualcosa che può farlo scricchiolare.

 

Cosa succede in Libia, anche sulla base della sua esperienza di documentarista particolarmente attento ai migranti?

 

Per scriverlo abbiamo fatto una lunga ricerca. Il film, però, è una finzione fortemente legata a quanto sta accadendo. Noi italiani abbiamo proposto ai trafficanti un altro ‘business': per far sì che non facciano più partire i migranti, abbiamo iniziato a dar soldi, armi e quant'altro a gruppi di miliziani che hanno il reale controllo del territorio. Tutto viene coperto da un accordo capestro con il governo abbastanza inutile di Fayez al-Sarraj, imposto dalla comunità internazionale. Ma chi gestisce davvero il potere, la vita delle persone, sono le varie milizie uscite frammentate dalla guerra civile. Tra queste, c'è chi gestisce in maniera ambigua sia la guardia costiera che il traffico dei migranti. Abbiamo aperto contatti con esse, pagandole, affinché tenessero i migranti nei loro centri di detenzione, e questo lo dicono agenzie di stampa internazionale, ci sono ‘reportage' di una gravità che apre scenari di inquietudine non soltanto umanitaria, ma parliamo di mosse molto delicate anche da un punto di vista di strategie e interessi di Stato; perché fare accordi con miliziani significa essere, poi, ricattabili da questi, oltre al fatto che facciamo accrescere il potere di persone tutt'altro che affidabili.

 

Una delle questioni centrali è proprio il flusso di denaro, a chi va e per quale utilizzo?

 

L'opinione pubblica vuole fermare i migranti, perché non è giusto dare loro soldi, e il governo cosa fa? Usa milioni di euro, che arrivano dalle casse dello Stato ed europee, per finanziare i trafficanti, che diciamo di voler combattere, affinché tengano i migranti dentro centri di detenzione disumani. Allora, anche se decidessimo in maniera cinica, e per me disgustosa, di non occuparci dei diritti delle persone detenute in questi luoghi di morte e di violenza, chiediamoci se - pur di non vedere i migranti - siamo d'accordo col fatto che il nostro governo dia soldi ai trafficanti, persone tra le quali ovviamente si formano gruppi di potere fortemente pericolosi, gli stessi che poi ci minacciano dal punto di vista di attacchi terroristici.

 

 

Altro punto cruciale sono, infatti, le condizioni di vita nei centri di detenzione.

 

Indescrivibili da un punto di vista materiale, devastanti da quello dei diritti: sono magazzini dove la gente viene stipata. Non c'è nessun tipo di tutela legale e sanitaria, ogni tanto viene distribuito cibo costituito da pane secco o avanzi di pasta scotta, senza condimento, con un po' di acqua, spesso infetta. Come ai cani. Soprattutto, queste persone sono numeri - a disposizione di chi ci fa traffico sopra - che vengono sfruttati lavorativamente, venduti, spostati. Ci fanno quello che vogliono, d'altronde glielo chiediamo noi; l'operazione è stata semplicemente: non devono arrivare qui, e ci sta portando ad un livello di bassezza etica e di rischio strategico alto.

 

Da dove arrivano i flussi?

 

Una grossa parte di persone arriva dall'Africa centro occidentale, da Nigeria, Burkina, Senegal, Gambia, viaggia attraverso il Niger, passa il deserto e arriva da Sud; un'altra fetta, invece, arriva dal corno d'Africa: Eritrea, Somalia, Sudan, Etiopia, viaggia nella parte orientale ed entra attraverso Kufra e il Sudan. Questo, più o meno, è il grosso delle rotte da almeno 10-15 anni, quindi saremmo in grado di costruire un punto d'incontro, un dialogo con i flussi in partenza, distinguendo la minoranza in fuga e chi, invece, ha bisogno di una migrazione economica, a cui aprire dei canali regolari; questo flusso sarebbe ampiamente sostenibile, se incontrato nel punto di partenza e non in quello di transito o scontro, come continuiamo a fare. Tutto ciò aprirebbe un cambiamento dell' ordine delle cose, invece del continuare ad occuparsi del braccio di mare a sud di Lampedusa e dell'attivazione della guardia costiera che non risolve nulla: è l'ennesimo tappo disumano messo senza alcun tipo di strategia. I tappi creano pressione e le pressioni accrescono le tensioni nel Paese.