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Poesia e necessità del Teatro: un puzzle di parole

di Letizia Bernazza

In linea con quanto già scritto da Alfio Petrini e da Giorgio Taffon, propongo ai nostri lettori un percorso ”intermittente” sulla poesia del Teatro e sulla sua necessità.

Si tratta di frasi e di pensieri, espressione della poetica di artisti, di uomini e donne di teatro, di studiose e di studiosi, a noi vicini o lontani, i quali a mio avviso hanno tracciato il cammino di un'Arte, che ha saputo interpretare gli umori e le urgenze della società civile.

Attraverso queste parole, scelte tra quanti ritengo essere dei punti di riferimento del patrimonio teatrale, ho cercato di tessere una relazione tra la Storia - con le sue vicissitudini politico-sociali - e il punto di vista di chi quella stessa Storia ha voluto conoscerla e decodificarla Per rivelare di certo appartenenze, criticità o conflitti, ma anche e soprattutto per testimoniare un'esperienza del Mondo.

Quest'ultima, penetrata e raccontata non soltanto con la mera enunciazione dei fatti, bensì con un lavoro drammaturgico e attoriale paziente in grado di vivificare quella stessa esperienza, afferrata e resa visibile magari soltanto per un attimo. Lo spazio-tempo della creazione consente così alle visioni degli artisti di trasformarsi in altrettante visioni per lo spettatore, permettendo all' “indicibile” di rendersi “dicibile”.

L'appartenenza al proprio tempo che esalta l'anima del pubblico

<<Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo… un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.>>.

<<Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.>>.

( Marinetti e il Futurismo , L. De Maria - a cura di -, Milano, Mondadori, 1973, pp. 5-7.).

•  Per i futuristi - il cui manifesto viene pubblicato il 20 febbraio del 1909 sul “Figaro” di Parigi da Filippo Tommaso Marinetti - il bisogno di creare una relazione tra Arte e Società è espresso con la volontà di comprendere le nuove prospettive economico-sociali. L'impatto sconvolgente, politico e ideologico, che esse assumono si traduce tuttavia in un'immersione totale degli artisti nella complessa tessitura offerta dalla dimensione industriale del primo Novecento. I miti della velocità e della macchina, uniti al turbamento scioccante proposto dalla sorpresa delle “serate futuriste”, contribuiscono a far esplodere le contraddizioni del ceto medio italiano che a fatica tenta di delineare la sua fisionomia in un'Italia prossima alla Prima Guerra Mondiale. Il coraggio, l'audacia e la ribellione, cantati ed esaltanti con una forza dirompente dai futuristi nelle loro opere, hanno il pregio di svecchiare con incredibile poesia il linguaggio letterario-teatrale e con esso la cultura borghese, adattandoli entrambi alla realtà del Ventesimo secolo.

La realtà colta con l'interiorità soggettiva

<<L'espressionismo esaspera le sue forme, esalta il contenuto morale e sociale del materiale estetico, sino a contorcersi nel disperato urlo della sofferenza umana anche se non giunge a rompere definitivamente con l'antica concezione della forma. Fiducioso nel legame che esso può ancora stabilire tra l'attività del genio e l'intera massa degli uomini, sposta il campo della sua azione entro le vibrazioni individuali del profondo dell'animo. Qui gli strumenti dell'espressionismo cercano di tradursi in forme “spettacolari” capaci di riportare continuamente le reazioni culturali e psicologiche dell'individuo dallo spazio dell'emozione singola alla partecipazione collettiva.>>.

(A.Abruzzese, Lo spettacolo come coefficiente dell'alienazione. 2 La funzione storica delle avanguardie , in <<Contropiano>>, 1969, n. 3, pp. 671-673.).

•  Il Singolo in rapporto alla Collettività. Il punto di vista dell'Individuo che coglie e fotografa il Mondo con l'interiorità soggettiva. La tragedia della Guerra non lascia tempo e spazio all'umano agire. Bloccati dallo sconcerto e dalla violenza delle vicende belliche, gli artisti pronunciano il loro grido di dolore all'interno di un dramma che esalta la lotta esistenziale, ma che richiede l'umana “partecipazione”. L'arte del Teatro esprime con originale poesia la sofferenza della Comunità per mezzo del sacrificio angosciante dei suoi protagonisti. Anti-eroi che gli autori mettono in rapporto con la frammentarietà del presente, scandito dalla tensione lirica del “dramma a tappe” e dominato dal flusso ininterrotto di un monologo a più voci. Il mutamento storico coincide con l'innovazione drammaturgica. Esemplari le parole di Peter Szondi a proposito delle opere di Strindberg: <<La staticità delle scene, questa loro mancanza di futuro, che le rende epiche (nel senso goethiano del termine) si riconnette alla loro struttura, determinata dalla contrapposizione prospettica dell'Io e del Mondo.>> (P. Szondi, Teoria del dramma moderno. 1880-1950 , Torino, Einaudi, 1982, p. 37.).

L'intellettuale “raffinato” che abbraccia la causa rivoluzionaria

<<Voglio fiammeggiare dello spirito del mio tempo. Voglio che tutti i cultori della scena prendano coscienza della propria alta missione. Mi dolgo di quei miei compagni che non agognano di levarsi più su dei ristretti interessi di casta, che restano estranei agli interessi sociali. Sì, il teatro può svolgere una parte immensa nella ricostruzione di tutto ciò che esiste.>>.

(V. E. Mejerchòl'd, in A.M. Ripellino, Il trucco e l'anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento , Torino, Einaudi, 1965 – 2 ed. – p. 274.).

•  Il Teatro, di fronte all'Ottobre russo, è per Mejerchòl'd il mezzo concreto per agire sullo spettatore. Se quest'ultimo non viene coinvolto attivamente nel processo teatrale - fino a consentirgli di trasformare il messaggio dell'opera rappresentata in un atto politico – esso non ha senso. Per il regista russo, l'ipotesi di un teatro di agitazione è la sintesi completa dell'adesione attori-spettatori nei confronti dell'azione teatrale. Il Teatro, se non riesce a “teatralizzare” la vita reale, con la sua lotta di classe, invece di “teatralizzare” se stesso come esigevano i teorici del teatro “estetico”, ha fallito. Eppure, nota ancora Ripellino, Mejerchol'd, <<Pur movendo da un'esasperata dedizione politica, le sue regie parteciparono di quel delirio astrattistico, di quelle ricerche non oggettive che allora parevano, in teatro, in pittura, in poesia, la più vera espressione, l'autentica della Russia in subbuglio>>. (A.M. Ripellino, op. cit., p. 275.).

Non rispecchiare la vita, ma fare irruzione nella vita

<<Arrivederci, compagno! Non c'è che dire, vi definite teatro rivoluzionario e invece stuzzicate … o come vi siete espresso … turbate i lavoratori responsabili. Questo lavoro non è fatto per le masse; gli operai e i contadini non lo capiranno ed è meglio così: non capiscono e non c'è bisogno di spiegarglielo. Perché voler fare di noi dei personaggi, renderci attori, attivi cioè? Noi vogliamo essere passivi…come si dice… degli spettatori. Ah no! La prossima volta andrò in un altro teatro!>>.

(V. Majakovskij, Il Bagno , in Opere , 6 , trad. it. – a cura di - I. Ambrogio, Roma, Editori Riuniti, 1972, 2. ed., pp. 48-54.).

•  Impegno politico e ricerca del rinnovamento formale. Sono queste le due direttrici di Vladimir Majakovskij, massimo esponente del Futurismo russo. Il Teatro, nelle parole estratte dalla commedia Il Bagno del 1929, viene usato come un'arma critica per investigare il ruolo stesso del Teatro e, nel contempo, per abbattere le convenzioni del linguaggio scenico. Il Teatro si fa discorso sul teatro con una adesione intellettuale che consente a Majakovskij di “mordere” la Storia: il suo lavoro è quello di un poeta che utilizza - con sapiente tecnica drammaturgica - gli stravolgimenti del dato reale, gli accostamenti di toni differenti e di situazioni, a volte surreali, per restituire il suo impegno alla comprensione della complessa situazione politica del proprio Paese. Il mondo de Il Bagno corrotto dai burocrati, eterni persecutori del Poeta, venne accolto con grande ostilità dalla società civile.

Il suicidio di Maiakovskij nel 1930 è, infatti, la dimostrazione sofferta dellincompatibile controversia tra la durata rivoluzionaria della poesia e il decomporsi delle rivoluzioni storiche.

Il destino dell'uomo è l'uomo

<<Secondo l'opinione diffusa, tra imparare e divertirsi la differenza è molto forte. Imparare può essere utile, ma solo divertirsi è piacevole. Occorre perciò difendere il teatro epico contro il sospetto che debba esserequalcosa di assai spiacevole, di noioso, o addirittura di faticoso.>>.

(B. Brecht, Scritti teatrali , Torino, Einaudi, 1962, p. 47.).

•  La forza del teatro di Bertolt Brecht sta nell'aver saputo coniugare l'indagine socio-politica con il rinnovamento del linguaggio espressivo. Nel suo teatro epico, l'insegnamento e il divertimento rappresentano due poli organici di una ricerca finalizzata alla comprensione del processo storico attraverso una sistematica innovazione dell'arte drammatica e, più in generale, del teatro stesso. Al centro dei quali c'è prima di tutto l'essere umano che, come spiega Massimo Castri, viene considerato <<… non solo come oggetto privilegiato di indagine e di rappresentazione, non solo come soggetto privilegiato di teatro (da cui il concentrarsi dell'attenzione di Brecht sui problemi della recitazione e sui caratteri specifici dello strumento teatrale rispetto agli altri strumenti di comunicazione), ma soprattutto come fine primario, con lo scopo di fornirgli nel teatrouno strumento di attiva trasformazione, dell' azione politica del teatro stesso.>>. (M. Castri, in E rwin Piscator, Il Teatro Politico , Torino, Einaudi, pp. XXI-XXII.).

L'urgenza di aderire al mutamento dei tempi passa allora per una “concezione umanistica” (la definizione è ancora di Massimo Castri) che senza dubbio conferisce un'originale liricità al suo Teatro. L'Io messo di fronte alla realtà per ritrovare la capacità critica, ma anche la fantasia e la libertà, indispensabili per l'agire.

Il Teatro della crudeltà è la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile

<<… dal punto di vista umano l'azione del teatro, come quella della peste è benefica, perché spingendo gli uomini a vedersi quali sono, fa cadere la maschera, mette a nudo la menzogna, la bassezza e l'ipocrisia…>>.

(A. Artaud, Il teatro e il suo doppio , Torino, Einaudi, 1972, pp. 149-150.).

•  La crudeltà e la peste sono alcuni dei doppi del teatro di Antonin Artaud. Come la peste, il teatro dovrebbe avere l'azione vivificatrice di scavare negli strati intimi dell'uomo per scioglierne le tensioni latenti, le pulsioni più oscure e per far scoppiare un “gigantesco ascesso collettivo, morale quanto sociale”. Il Teatro e la Peste vengono considerati dall'autore francese alla stregua di una “crisi totale”, dopo la quale non resta che la morte o la purificazione assoluta. La comprensione di conflitti irrisolti e il libero manifestarsi delle forze e delle possibilità dell'individuo vengono affidate alla potenza rigeneratrice del Teatro, riportato al suo “grado zero”, dove gli esseri umani vengono invitati alla partecipazione di un “delirio comunitario”. Un gesto, estremo e provocatorio, che esalta le energie vitali ed “eccezionali” dello spettatore nel suo essere elemento fondante dell'atto teatrale e coinvolgendolo a prendere parte a “un'azione di rivolta” nei confronti del reale. <<Il problema>>, e lo solleva lo stesso Artaud, << è di sapere se nel nostro mondo che decade, che si avvia senza accorgersene al suicidio, sarà possibile trovare un gruppo di uomini capaci di imporre questo concetto superiore del teatro, che restituirà a tutti noi l'equivalente magico e naturale dei dogmi in cui abbiamo cessato di credere.>>. (A. Artaud, op. cit., p. 150.).

L'invito al pubblico di sottrarsi ad uno spettacolo passivo

<<Abbandonate i teatri. Create altre circostanze per il teatro, per l'uomo della strada… Create l'Azione.>>

(da Dichiarazione di azione del Living Theatre, in J. Beck e J. Malina , Paradise Now - a cura di F. Quadri- , Torino, Einaudi, 1970, pp. 270-271.).

•  Affermazioni, quelle del Living, in occasione delle rappresentazioni di Paradise Now dal 1968 al 1970 in Europa e negli Stati Uniti, che riporta l'attenzione dello storico gruppo - fondato nel 1947 a New York da Julian Beck e da Judith Malina – sull'urgenza del fare teatro per il pubblico e per gli attori. Stimolo quanto mai attuale per il nostro presente, pur con le dovute differenze socio-politiche.

Gli spettatori sono chiamati ad agire, ad intervenire, a sottrarsi al ruolo passivo imposto dai mezzi di comunicazione e dal sistema costituito della cultura. E lo stimolo è quello di partecipare, di intervenire in prima persona per esprimere loro stessi e per modificare il senso del “fare Teatro”. Un Teatro che esce dall' establishment e che reclama il suo ruolo autentico di Arte nata per interpretare i bisogni della collettività. La censura e le ritorsioni subìte dal Living (arresti, espulsioni, sanzioni a danno dei suoi componenti) lo condurranno a creare “nuove forme” espressive “fuori dai teatri” e a pensare una riorganizzazione radicale della compagnia. Distinto in “cellule” operative in Paesi differenti (Parigi, Berlino, Londra, India) e con orientamenti diversi (politico, “enviromentale”, culturale e spirituale), ma complementari, il Living sosterrà il valore anti-istituzionale del Teatro. Il prezzo caro da pagare sarà l'emarginazione, la vittoria quella di difendere attori e spettatori che vogliono trovare “mezzi di sopravvivenza senza diventare consumatori di prodotti”.

La vicinanza dell'organismo vivo: qualcosa di magico vicino all'estasi

<<… il teatro è necessario? Ma ce lo domandiamo solo per poterci rispondere: sì lo è, poiché è un'arte sempre giovane e sempre necessaria.>>.

(J. Grotowski, Per un teatro povero , Roma, Bulzoni, 1970, p. 50.).

 

•  A una citazione del grande maestro polacco del Novecento, non resta che il commento con altre sue illuminanti parole, tratte dalla medesima opera e nella medesima pagina su menzionata. <<La vicinanza dell'organismo vivo: ecco il solo elemento, di cui il teatro non può essere defraudato né dal cinema né dalla televisione: grazie a ciò, ogni provocazione lanciata dall'attore, ognuno dei suoi atti magici (che il pubblico è incapace di ripetere) diventa qualcosa di grande, straordinario e simile all'estasi.>>.

Lettera all'attore D

<<Devi accettare che tutto ciò che crei, a cui dai libertà e forma nel tuo lavoro, appartiene alla vita e merita rispetto e protezione… Solamente allora le tue azioni potranno continuare a vivere nei sensi e nella memoria dello spettatore, potranno fermentare a conseguenze imprevedibili.>>.

(E. Barba, Teatro. Solitudine, mestiere, rivolta , Milano, Ubulibri, 1996, p.35-36.).

•  La lettera del maestro, scritta nel 1967 a uno dei suoi attori, è illuminante. Spiega in maniera semplice ed efficace la visione teatrale del fondatore dell'Odin Teatret. In poche parole, Barba condensa le caratteristiche fondamentali che deve avere colui il quale ha il potere di compiere l'azione condivisa con lo spettatore. L'attore, infatti, ha la responsabilità di ciò che fa: i suoi nervi, il suo cervello e tutto se stesso, devono trasmettere all'unisono la vitalità dell'atto teatrale. Perché il Teatro è il luogo dove occorre fare spazio a una comunicazione franca e assoluta, la sola che può stabilire un rapporto nuovo e di necessità con chi prende parte all'evento teatrale. Barba richiede all'attore coraggio e impegno. <<Il tuo lavoro>>, ribadisce nelle pagine già menzionate, <<è una forma di meditazione sociale su te stesso, sulla tua condizione umana, sulle vicende del nostro tempo che ti toccano più profondamente.>>.

Lo sposalizio degli opposti

<<Il teatro è lo stomaco dove il cibo si trasforma in due parti equivalenti: sterco e sogni.>>

(P. Brook, Il punto in movimento. 1946-1987 , Milano, Ubulibri, 1988, p. 57.).

•  Il Teatro per Peter Brook è saper intuire la complessità del reale. E cioè mettersi all'ascolto del vivere quotidiano, del senso comune, senza perdere di vista l'”invisibile”. Il modello è William Shakespeare. Il regista rintraccia nelle commedie e nelle tragedie del Bardo la sua originale capacità di cogliere “l'inconciliato contrasto” tra Rozzo e Sacro, riuscendo ad attraversare nel contempo la trama ruvida del Mondo e il movimento impercettibile delle pulsioni interiori.

La costruzione scenica dell'assenza

<<L' irrappresentabilità dell'evento sulla scena inventa un contraltare in platea, nella invivibilità della vita .>>.

(C. Bene, in P. Giacché, Carmelo Bene, antropologia di una macchina teatrale , Milano, Bompiani, 1997, p. 119.).

•  Commento la dichiarazione di Carmelo Bene con le parole di Piergiorgio Giacché il cui volume citato resta, a mio parere, uno dei contributi più interessanti alla comprensione dell' attore-autore salentino. <<L'assenza è dell'attore non come un attributo ma come la sua stessa, teatrale, essenza: è dunque il richiamo costante nella sua/nostra inutilità, impotenza, inconsistenza, che però nell'al di là della scena , può diventare un volo o un trionfo.>>. (P. Giacché, op. cit., pp. 118-119.).

La sospensione nel rivelarsi della bellezza

<<Io scrivo quello che le persone che mi stanno accanto mi chiedono tacitamente di scrivere. Dicono che noi fuggiamo verso il cielo… e se così fosse?>>.

(F. Scaldati, in V. Valentini, Franco Scaldati , Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 1997, p. 127.).

•  Ho imparato ad amare Franco Scaldati, quando nel 1997 lessi per la prima volta Lucio . Il testo era inserito nel primo volume della collana Teatro contemporaneo d'autore che Valentina Valentini curava per la casa editrice calabrese Rubbettino. Ma ancor più imparai ad apprezzare il colore poetico dei versi dello scrittore, attore e regista palermitano, quando ebbi modo di sentirlo dire i suoi versi. Fu allora che mi appassionai a lui e che capii le parole che Francesco Pititto di Lenz Rifrazioni gli dedicò in uno dei saggi raccolti nella pubblicazione. <<Franco eleva la condizione morale del fare poesia e teatro al di sopra del macchinario istituzionale e ben oltre di quanto prodotto dalle cosiddette avanguardie degli anni Settanta e Ottanta… Non c'è in Franco… alcun intento di produrre arte al solo scopo di piacere, di soddisfare i bisogni culturali di un pubblico senza faccia – come si rimprovera spesso agli autori napoletani che tanto piacciono – ma pone al primo posto la creazione artistica stessa, la sua necessità, la sua bellezza. Imprevedibile, imprendibile.>>. (F. Pititto, Alla ricercva del cuore , op. cit., p. 144.).

Il Teatro è il Graal

<<Le parole dette dall'attore non si consumano. È come se dicessero sempre “stai sveglio, stai sveglio”. Mi sembrano educative; è importante stampare delle mappe.>>.

(M. Gualtieri, in E. Dallagiovanna - a cura di -, Teatro Valdoca , Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2003, p. 35.).

•  Al Teatro Valdoca mi sento legata dal filo sottile dell'appartenenza. Un'appartenenza che ho imparato a sviluppare, conoscendo negli anni il lavoro di Mariangela Gualtieri e di Cesare Ronconi. Ossicine , Fuoco centrale , Sue dimore , Nei leoni e nei lupi , Chioma , a distanza di anni sono ancora impressi nella mia memoria di spettatrice. L'effetto dirompente dei versi di Mariangela nell'armonico sviluppo creato dalla regia di Cesare, mi hanno aperto alla possibilità che le parole “dette in scena” possono farci entrare “nella cavità delle cose”, sfondando le porte di un Mondo che risiede dietro di esse. Necessità e Poesia del Teatro dunque nella ricerca di uno svelamento che, attraverso il lavoro artistico, ci rivela la nudità delle parole e l' aura che le avvolge. Ecco allora perché il Teatro è il Graal, perché può essere <<… la ricerca di qualcosa che sta sopra, sotto di noi o forse non esiste…Una spedizione nel bosco, a tagliare la macchia fitta per farne un sentiero.>>. (M. Gualtieri, in Teatro Valdoca , op. cit., p. 36.).

Mi piace concludere con le parole di Mariangela il mio scritto che ha la forma voluta di un puzzle, dove molti pezzi sarebbero sicuramente da aggiungere in modo da dare al lettore altri stimoli per percorrere il labirinto complesso tracciato dal lavoro e dall'opera teorica di altrettanti artisti/artiste, studiosi/studiose, attori/attrici. Voglio essere, però, un po' come il protagonista del romanzo La vita. Istruzioni per l'uso di George Perec. L'inglese Percival Bartlebooth, dopo aver girato il mondo dipingendo acquerelli, li fa trasformare in puzzle dall'artigiano Gaspard Winckler e passa il resto della sua vita a ricomporli. Lo stesso invito lo rivolgo ai nostri lettori: provare a costruire, ricostruire, de-costruire, aggiungere, a loro modo il cammino, del tutto in-definito, segnato. Perché le frasi proposte rappresentano storie ed esperienze, che possono essere arricchite con altrettante suggestioni, pensieri e riflessioni, essenziali a recuperare la dimensione responsabile di un' agorà nella quale i cittadini possano attivare la Memoria del loro vissuto pubblico e sociale. Un'unica raccomandazione mi sento di fare in un presente politico e sociale alquanto disgregato e disordinato: riconosciamo alle parole e alle azioni il loro valore, proviamo a non svuotarle dei loro significati, cerchiamo la coerenza e l'onestà intellettuale per non perdere la partita in difesa della nostra Cultura e della nostra Storia.