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Nuove arti visive e performative
Mostra di Tadeusz Wierzbicki

La drammaturgia dell'osservatore

di Alfio Petrini

Ho chiesto a Tadeusz Wierzbicki: “Quando è nata l'idea di lavorare con la luce?”. “Quando ero bambino”, mi ha risposto. Mi ha raccontato che un giorno, in soffitta, ha visto un raggio di sole cadere su uno specchio e generare una strana forma di luce sulla parete. Quel giorno non diede importanza all'evento. Gli tornò alla memoria molto tempo dopo, quando pensò di lavorare con le forme di luce.

Quello che mi ha raccontato Wierzbicki contiene una indicazione metodologica di grande interesse che vale per le nuove arti visive come per il teatro. Vale per tutte le creazioni artistiche. Un fatto o un evento di cui siamo stati testimoni deve essere dimenticato prima di essere ri-fatto, cioè ri-creato in forma artistica. La dimenticanza precede la ri-creazione. La ri-creazione poetica è possibile soltanto se è avvenuta la dimenticanza: soltanto se, passato un congruo periodo di tempo, l'artista avverte la necessità di far rinascere quel fatto o quell'evento, che non sarà uguale a quello che è realmente accaduto, ma simile, quindi diverso nella forma e nella sostanza.

La metodica della dimenticanza vale per ogni genere di lavoro artistico, ma risulta particolarmente adatta alla realizzazione di opere che stabiliscono una relazione con la storia. Non è il caso di Wierzbicki, che non cerca in alcun modo di raccontare fatti storici. Semmai racconta la vita. Resta il fatto - consapevole o inconsapevole che sia -, che il procedimento adottato lo pone al riparo dal rischio dell'azione mimetica, ovvero della riproposizione realistica o addirittura naturalistica del fatto o dell'evento che è accaduto. Il segreto sta nel tempo. Risiede nella pazienza dell'artista, che dovrà aspettare il ritorno significativo di quel determinato fatto o evento. L'artista deve saper aspettare che il fatto ri-nasca sotto la spinta della necessità artistica e nella forma del favoloso possibile, come è accaduto in “Cent'anni di solitudine” di Garcia Marquez che, in una intervista, ha dichiarato di aver fatto uso della tecnica della dimenticanza.

Il ritorno all'infanzia, alla soffitta della casa, al mito dello specchio e della luce del sole, è stato per l'artista polacco una sorta di ritorno alle origini, un punto di partenza decisivo che ha orientato la sua straordinaria produzione artistica. Il suo modo fantastico e originale di realizzare opere visuali e performative si regge non solo su una metodica che lo protegge dai rischi che ho poc'anzi indicato, ma anche sul comportamento poetico che egli assume ogni volta che racconta il nostos di un determinato fatto o evento lontano.

Le forme fantasmatiche di Wierzbicki sono , non significano. I personaggi - tra cui la famosa “ i ” -, si autodeterminano attraverso quello che fanno. Sarebbe un atto di atroce banalità cercare di spiegare quello che Tadeusz scrive con la luce e con la luce dell'ombra. Le sue opere non accettano descrizioni. Favoriscono piuttosto l'attività interpretativa dell'osservatore. L'osservazione dei mondi visionari fanno sentire utile l'osservatore, così come il buon teatro d'arte fa sentire utile lo spettatore, favorendo la individuazione dei personaggi e stimolando quella drammaturgia che viene pertanto chiamata drammaturgia dello spettatore e che, nell'ambito delle nuove arti visive e performative, possiamo chiamare drammaturgia dell'osservatore.

Cosa utilizza Wierzbicki per realizzare le sue opere? Usa tutto quello che serve per comunicare: carta, plastica, pezzi di giornali, nastri magnetici, colori, suoni, rumori, luce e parole, tanto per fare alcuni esempi. Le parole sono sottoposte a un processo di scarnificazione, di eliminazione del superfluo fino al punto in cui della parola resta salva soltanto una vocale, la vocale “i”, che diventa protagonista di mirabolanti avventure. Assieme al materiali di varia natura Wierzbicki utilizza anche alcuni fondamentali strumenti: modellini metallici, riflettori, pannelli, schermi trasparenti, protesi funzionali alla manipolazione “in diretta” dei materiali e delle forme.

Tra le forme di luce le maske hanno senza dubbio un fascino particolare. Suscitano una forte attrazione, non suggeriscono immediatamente la materia volatile di cui sono fatte, sono il frutto - lo ribadisco - di quella metodologia che si regge sulla bipolarità dimenticanza/ri-creazione e sul comportamento poetico assunto dall'artista nel racconto delle sue visioni. E penso che rappresentino la risposta ad una domanda fondamentale che tutti gli artisti si pongono nel pieno della manovra riguardante la creazione artistica: come è possibile dare forma a ciò che è immateriale, invisibile o impalabile?

Credo che Wierzbicki abbia saputo, a suo modo, rispondere a questo interrogativo soprattutto con le maske di luce, e sia riuscito a visualizzare la questione relativa al rapporto tra materiale e immateriale attraverso la sequenza in cui le forme vengono manipolate su uno schermo posto davanti ad una finestra del suo laboratorio, dalla quale le immagini esterne, ad un certo punto, “entrano” nell'opera a significare che la realtà quotidiana è una cosa e la realtà poetica – frutto della ri-creazione - è un'altra cosa.

Le opere di Wierzbicki ci donano la vista. La vista interiore. Ci mettono nella condizione di vedere le cose che ci sono e le cose che non ci sono, attraverso l'attività che ho chiamato drammaturgia dell'osservatore e che si fonda, dopo lo stimolo, sull'atto sublime della dilatazione del corpo e della mente. E cosa facciamo negli attimi dell'osservazione? Ci sentiamo utili. E cosa vediamo quando ci sentiamo utili? Vediamo ciò che solo la libertà concessa dall'artista ci consente di vedere. Per esempio, punti di fuga marini che annunciano a distanza il sole, nuvole che generano altre nuvole in spazi tridimensionali. E quando proviamo a far ruotare i cerchi che contengono macchie di colore scopriamo astri splendenti o sanguinolenti, e pianeti e draghi e pesci e sbigottite tartarughe, forse. L'acqua e l'aria che percepiamo non sono ornamenti, non sono elementi che predispongono atmosfere, ma energie vitali, ritmi, movimenti caotici che liberano movimenti del pensiero e movimenti del desiderio. Gli intrecci di luce e di ombra attengono al mistero della vita e, in quanto energia, sono la negazione della metafisica della luce. Attraversiamo mondi animali, vegetali, minerari, generati dalla manipolazione dei nastri delle cassette da registratore portatile e ne siamo allo stesso tempo attraversati: figure filiformi e magmatiche colte nel loro farsi e disfarsi continuo.

Cosa sono quei fili? Sono I fili della congiunzione o della separazione? Sono i fili della memoria sottoposta alla dimenticanza? Fili della ricordanza o della rimembranza, forse. Fili che, come gli altri materiali, non hanno valore simbolico. Sono segni che servono a fondare sapientissime miscele linguistiche eterogenee, in funzione della espressione artistica che accredita la natura percettiva dell'uomo, che guarda all'essenza delle cose attraverso la produzione di forme primordiali. Wierzbicki non usa tecniche di accumulazione dei materiali, ma tecniche dello scarto, dello scavo, della selezione e della combinazione di variegati codici espressivi che arricchiscono l'atto della creazione artistica di valore aggiunto poetico, attraverso una complessità semplice, densa e rigorosa che determina lo spirito dell'opera.

 

 

Nowe sztuki wizualne i perfomatywne
Wystawa Tadeusza Wierzbickiego

La drammaturgia dell'osservatore

di Alfio Petrini

Zapytalem Tadeusza Wierzbickiego: “Kiedy zrodzil sie pomysl by eksperymentowac ze swiatlem?:” “Kiedy bylem dzieckiem” – odpowiedzial. I opowiedzial mi jak pewnego dnia, na strychu, zwrócil jego uwage promien sloneczny, który padajac na zakurzone lustro tworzyl na scianie swiatlo o dziwnym ksztalcie. Tamtego dnia nie przywiazal do tego specjalnej wagi. Przypomnial sobie o tym wiele lat pózniej, kiedy postanowil eksperymentowac z formowaniem swiatla.

Opowiesc Wierzbickiego zawiera w sobie cenna wskazówke metodologiczna zarówno dla nowych sztuk wizualnych jak i dla teatru. Wazna dla wszystkich dzialan artystycznych. Fakt czy wydarzenie, ktorego bylismy swiadkami, zanim go od-tworzymy, tzn. nadamy mu forme artystyczna, powinien ulec zapomnieniu. Zapomnienie poprzedza akt od-tworzenia. Od-tworzenie poetyckie jest mozliwe tylko wtedy, gdy ma miejsce zapomnienie, wylacznie wtedy, kiedy artysta, po odpowiednim uplywie czasu odczuwa potrzebe przywolania danego faktu czy wydarzenia, które nie bedzie identyczne z faktycznie zaistnialym lecz podobne, a zatem odmienne zarówno gdy chodzi o forme jak i o tresc.

Metodyka zapominania jest wazna przy wszelkiego rodzaju twórczosci artystycznej, zwlaszcza przy tworzeniu dziel nawiazujcych do historii, ustosunkowujacych sie do niej. To nie jest akuarat casus Wierzbickiego, bo on nie ma zamiaru opowiadac o faktach historycznych. Jesli juz, to opowiada o zyciu. Faktem jest, ze – swiadomie czy nieswiadomie – zastosowana technika chroni go przed ryzykiem mimetyzacji, a dokladniej przed ryzykiem realistycznego czy wrecz naturalistycznego odtworzenia faktów czy wydarzen wczesniej zaistnialych. Cala tajemnica zasadza sie w uplywie czasu. Polega na cierpliwosci artysty, z jaka powinien czekac na moment, w którym dany fakt czy wydarzenie powróci ze zdwojona sila. Bowiem artysta powinien umiec czekac, azeby fakt ten od-rodzil sie pod wplywem impulsu, artystycznej potrzeby chwili, w formie realizmu bajkowogo, tak jak to mialo miejsce w “Stu latach samotnosci” Garcii Marqueza, który w jednym z udzielonych wywiadów, przyznaje iz stosowal technike zapominania.

Powrót do dziecinstwa, na strych rodzinnego domu, do historii lustra i odbietgo swiatla slonecznego, byl dla artysty polskiego czyms w rodzaju powrotu do korzeni, waznym punktem wyjsciowym dla jego nadzwyczajnej twórczoci artystycznej. Jego oryginalny, fantastyczny sposób realizacji dziel wizualnych i performatywnych bazuje nie tylko na metodzie, chroniacej go przed wspomnianym wyzej ryzykiem, ale takze na pewnej postawie poetyckiej, jaka przyjmuje za kazdym razem gdy przedstawia nostos (powrót) zjawiska czy wydarzenia odleglego w czasie.

Fantasmagoryjne formy Wierzbickiego nie przedstawiaja, one po prostu SA. Postacie – jak to slynne “i” - samookreslaja sie poprzez to co robia. Byloby skrajna glupota próbowac opisac slowami to, co Tadeusz kresli swiatlem i swiatlem cienia. Jego dziela nie sposób opisac. Co najwyzej obserwator moze przekazac wlasna interpetacje tych dziel. Obserwowanie swiatów wizjonerskich nadaje range waznosci obserwatorowi, podobnie jak dobry teatr nadaje range waznosci widzowi, co sprzyja indywidualizacji postaci i tworzy dramaturgie nie bez przyczyny nazywana dramaturgia widza, a która - w przypadku nowych sztuk wizualnych i performatywnych - mozna nazwac dramaturgia obserwatora.

Co Wierzbicki wykorzystuje do swoich dziel? Uzywa wszystkiego, co moze sluzyc komunikacji: chocby na przyklad papier, plastik, gazety, tasmy magnetyczne, kolory, dzwieki, halasy, swiatla, czy slowa. Slowa ulegaja procesowi oczyszaczania, uwalniania od wszystkiego co zbedne, az do zredukowania ich do jednej samogloski, do samogloski “i”, która staje sie bohaterka fantastycznych przygód. Obok przeróznych materialów Wierzbicki stosuje kilka podstawowych urzadzen jak np. metalowe makiety, relektory, panele, przezroczyste ekrany, protezy funkcjonalne do poruszania “bezposredniego” materialów i form.

Wsród swietlnych form, bez watpienia szczególny urok maja Maski. Przykuwaja wzrok, nie od razu zdradzajac ulotnosc materialu, z którego zostaly zrobione, sa efektem – przypominam – tej metodologii, która bazuje na dwubiegunowosci zapominanie/od-tworzenie i na poetyckiej poetyckiej przyjetej przez artyste przy przedstawianiu swoich wizji. I - jak sadze - stanowia odpowiedz na postawowe pytanie jakie sobie zadaja wszyscy artysci w chwili tworzenia dziela: jaka mozna nadac forme temu co jest niematerialne, niewidzialne, nienamacalne?

Mom zdaniem Wierzbicki potrafil na swój sposób odpowiedziec na to pytanie szczególnie w Maskach swietlnych. Udalo mu sie ukazac kwestie dotyczaca relacji zachodzacej miedzy tym co materialne a tym co niematerialne stosujac ruchoma sekwencje form na ekranie ustawionym przed oknem swojego studia, z którego obrazy zewnetrzne w pewnym momencie “wchodza” niejako do dziela, Na znak, ze codzienna rzeczywistosc to jedno, a rzeczywistosc poetycka – efekt od-tworzenia – do drugie.

Dziela Wierzbickiego daja nam dar widzenia. Widzenia wewnetrznego. Pozwalaja nam widziec rzeczy które sa i rzeczy, których nie ma, dzieki temu co nazwalem dramaturgia obserwatora, która, po otrzymaniu stosownego impulsu, jawi sie jako wysublimowany akt dylatacji fizycznej i umyslowej. A co robimy w momencie obserwowania? Czujemy sie uzyteczni. A co widzimy, kiedy czujemy sie uzyteczni? Widzimy to, co pozwala nam widziec swoboda pozostawiona nam przez artyste. Na przyklad morskie punkty zbiegu perspektywy, który zapowiadaja z dala slone, chmury, ktore daja poczatek innym, trójwymiarowym chmurom, albo kiedy obracajac okregi z kolorowymi plamami odkrywamy jasniejace lub krwiawiace gwiazdy, planety, smoki, ryby i byc moze, oslupiale ze zdumienia zólwie, Woda i powietrze postrzegane przez nas nie sa ornamentem, nie sa elementem atmosfery, lecz silami witalnymi, rytmem, ruchem chaoatycznym wyzwalajacym mysli i pragnienia. Gra swiatel i cieni przywoluje na mysl misterium zycia, a bedac energia jest negacja metafiyzyki swiatla. Przemierzamy a zarazem jestesmy przemierzani prez rózne swiaty, zwierzat, roslin, mineralów, wyczarowane poruszaniem tasm magnetofonów kasetowych: figury nitkowate i figury magmowe uchwycone w ciaglym powstawaniu i zanikaniu.

Czym sa te nitki? Czy to sa nitki które lacza czy które rozdzielaja? Nici pamieci, czy moze nici wspomnien? Nici, które, jak wszystkie inne materialy, nie maja wartosci symbolicznej? Sa znakami, które sluza tworzeniu uczonego barwnego bogactwa jezykowego dla potrzeb artystycznej wypowiedzi, potwierdzajacej perceptywna nature czlowieka, który istote rzeczy widzi w tworzeniu pierwotnych form. Wierzbicki nie stosuje technik kumulujacych materialy, przeciwnie, stosuje technike odrzucania, zglebiania, selekcji i laczenia róznorodnych kodów wyrazowych wzbogacajac akt tworzenia o poetycka wartosc dodana dzieki konstrukcji prostej, konsekwentnej i zarazem bogatej, która decyduje o wymowie dziela.