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Seminari di drammaturgia (12)

“Dalla storia alla scena: come costruire un personaggio senza farne una statua”

di Alfio Petrini

 

Parizia Monaco e Maria Sandias hanno condotto in coppia il seminario “ Dalla storia alla scena: come costruire un personaggio senza farne una statua ”. Lo hanno sviluppato di comune accordo in virtù del fatto che nel corso degli anni hanno partecipato a numerosi progetti a tema, incentrati su figure di donne famose. Una delle prime questioni che hanno affrontato è stata la ricerca dei dati storici, fatti e avvenimenti riguardanti la figura del personaggio prescelto. Una fase entusiasmante di lavoro che alla fine genera, però, un senso di sgomento nello scrittore che si trova di fronte alla “montagna dei dati raccolti”. Che farne? Come utilizzarli in funzione di un atto creativo qual è la scrittura drammaturgica? “La fine della ricerca pone molti problemi”, hanno detto entrambe le drammaturghe. “Come veicolare i dati storici?, Sandias. “Cosa voglio comunicare al pubblico?”, Monaco. “Che taglio dare alla storia?”, Monaco e Sandias.

Nel presupposto (non scontato) che il drammaturgo scriva per lo spettatore e che il confronto con la storia debba implicare la “veicolazione” dei dati storici raccolti, è del tutto evidente che - finita la ricerca e individuato il taglio da dare allo sviluppo del racconto -, la scrittura drammaturgica imponga come logica conseguenza un “giusto equilibro”, una equilibrata corrispondenza tra storia e fantasia, tra oggettività del dato e interpretazione del dato stesso. E così, attraverso la disamina di personaggi come Mary Shelly, Maria Sofia di Borbone, Giuliana Benzoni e Lina Caico, le nostre drammaturghe hanno messo in perfetta evidenza le soluzioni adottate nel corso delle rispettive manovre , legate alle problematiche del passaggio dalla ricerca del taglio alla formalizzazione della scrittura drammaturgica. Nel contesto di questo ragionamento a Monaco e Sandias va riconosciuto il merito di aver fatto una riflessione lineare e utile allo stesso tempo: “la montagna dei dati raccolti” è praticamente inabbordabile, così come è inabbordabile una macroazione fisica per chi applica il lavoro sulle azioni fisiche alla scrittura drammaturgica. In entrambi i casi è necessario un appiglio. Un particolare. Un dettaglio. Solo il dettaglio è abbordabile, e suscettibile di trasformazioni teoricamente infinite.

Credo che la migliore metodica per lo scrittore che cerca il confronto con la storia stia nella risposta che Marquez diede ad un giornalista nell'anno della pubblicazione di “ Cent'anni di solitudine ”. “Quando tempo ha impiegato a scrivere l'opera?”. “Venti anni?”. “E cosa ha fatto nei venti anni trascorsi?”. “Ho viaggiato, ho letto giornali, riviste, libri di storia, di letteratura e di filosofia, ho visto film, sono stato bene, sono stato male, ho mangiato, ho bevuto, insomma ho fatto un sacco di cose”. “E poi cosa ha fatto?”. “Ho cercato di dimenticare tutto”, ha concluso Marquez. Ha cercato di dimenticare tutto prima di cominciare a scrivere, altrimenti - dopo l'atto della dimenticanza - nulla sarebbe tornato in forma originale e poetica nel luogo della fertile immaginazione. Ma questa è la metodica adottata da Marquez. Ha il peso di una opinione prestigiosa, ma è pur sempre una opinione che può essere messa in discussione e disattesa da altri scrittori.

Monaco e Sandias scrivono pensando al personaggio. Scrivono per il personaggio e si distinguono da altri drammaturghi che scrivono per un destinatore finale diverso - lo spettatore o l'attore -, nella prospettiva di risultati qualitativi diversi (le forme). Nell'ambito di questa loro visione le drammaturghe del Cendic hanno sottolineato con dovizia di particolari il paziente lavoro di controllo della scrittura finalizzato alla caratterizzazione del personaggio e hanno fatto un'altra considerazione, centrata e utile, di rilevante interesse culturale. “Non voglio far capire niente con le mie opere” - ha detto Sandias con l'esplicito consenso di Monaco: “voglio far provare sentimenti”, ha aggiunto. E' una affermazione che porta con sé il discrimine tra capire (con la ragione) e comprendere (con la totalità - corpo/mente - dell'essere umano). E conferma una pratica assai comune: non si va a teatro per imparare qualcosa, per nutrirsi di messaggi che ci piovono addosso, tanto meno per ricevere una buona educazione. Si va a teatro per divertirsi, per provare emozioni forti, per provare stupori e meraviglie.

Una chiusura intelligente per un seminario condotto in modo brillante da due esperte drammaturghe.