EditorialeFocus In itinere Nuove arti visive e performative A sipario aperto LiberteatriContributiArchivio
         
       
 

Il proliferare della materia e il sogno nel teatro di Ionesco

di Liliana Paganini

I parte

 

Per tutta la vita Ionesco è stato in bilico tra l'aspirazione verso l'assoluto, verso una spiritualità che avrebbe dovuto farlo volare oltre la realtà del quotidiano, in un mondo invaso dalla luce della trascendenza, e l'oscurità che s'identifica con la materia, la pesantezza del corpo, il mondo come luogo in cui trionfa il male:

“Senza dubbio tale stato di coscienza è molto raro, la felicità, lo stupore di essere in un universo che non mi tiene prigioniero, che non esiste più, che non ha più consistenza. Più spesso io sono dominato dal sentimento opposto: la leggerezza si muta in peso; la trasparenza in spessore; il mondo pesa; l'universo mi schiaccia. Una cortina, un muro insuperabile si frappongono fra me e il mondo, fra me e me stesso, la materia colma tutto, occupa ogni luogo, annienta sotto il suo peso ogni libertà, l'orizzonte si restringe, il mondo diventa un carcere soffocante. Il linguaggio si spezza, ma in un altro modo, le parole ricadono come pietre, come cadaveri; mi sento invadere da forze pesanti, contro cui conduco una battaglia che non può non vedermi sconfitto ”.

Philippe Sénart, nel suo libro Ionesco , sostiene che:

“Questa doppia disposizione di un essere che è diviso tra la leggerezza e la pesantezza, ora spinto in basso ora trasportato in alto, che non ha mai potuto essere all'esatto livello della realtà, si esprime nel teatro più disinvolto dell'epoca, il meno aderente a quella stessa epoca, un teatro che sembra ondeggiare.

Il tema della materia che riempie tutto, saturando lo spazio intorno, proliferando e soffocando l'uomo, compare in diverse opere di Ionesco.

Nel suo teatro tutto può moltiplicarsi: gli oggetti, gli animali, gli esseri, i cadaveri, il linguaggio, i nomi.

Che si tratti di sedie, che ospitano esseri umani invisibili, oppure visibili solo ai protagonisti della pièce come è il caso della commedia Le sedie o si tratti di cellule umane che continuano a crescere, in un cadavere che subisce una metamorfosi, al quale il corpo cresce con progressione geometrica e che ingombra prima la camera da letto dei protagonisti per poi, arrivare a mettere a repentaglio l'intera casa, come in Amedeo o come sbarazzarsene o di una incessante quanto necessaria produzione di uova, costretta a deporre Roberte dalla famiglia, come se si trattasse di una super chioccia, mentre il giovane marito Jacques, sempre dalla famiglia, è costretto a covarle, come ne L'avvenire è nelle uova, o, ancora come una quantità inaudita di mobilio che riempie tutto l'appartamento e la scena, nascondendo e seppellendo il protagonista come ne Il nuovo inquilino, oppure come ne Il gioco dell'epidemia, il centinaio di personaggi che muore, nelle diciotto scene di cui è composto il testo, o, anche i rinoceronti che prendono via via il posto di quasi tutti i personaggi, ne Il rinoceronte . Del resto anche i nasi, delle volte, si moltiplicano per tre, come quelli di Roberte, in Jacques ovvero la sottomissione, si moltiplica per tre anche Bartholomeus, personaggio di L'improvviso dell'alma : diventa I, II e III. Si moltiplicano gli incendi per il pompiere e per l'estro poetico di Mary ne La Cantatrice calva, si moltiplicano gli arcobaleni in Delirio a due, che si conclude con corpi moltiplicati che scendono dall'alto senza teste e da teste senza corpi.

Philippe Sénart vede nel proliferare incontrollato della materia l'immagine del cancro e quindi della morte: “Se è vero che due e due fanno quattro- dice Dostoevskij – è altrettanto certo che questa verità non rappresenta la vita, bensì l'inizio della morte. Il mondo descritto da Ionesco è un mondo in cui due più due fanno quattro: è il mondo degli assiomi, delle leggi e delle regole, ma è anche un mondo in cui un cane è un gatto, perché ha quattro zampe: è il mondo della formula, il mondo ridotto in formula. La logica vi edifica la sua dittatura su un pensiero paralizzato, un pensiero morto, un pensiero soffocato entro i propri rigidi schemi e sminuzzato dai suoi stessi congegni, un pensiero che, divenuto cadavere, si fa materia e ritorna al magma originale e vi si decompone, nutrendosi di tutti gli elementi della sua putrefazione, in una specie di germinazione mostruosa in cui compare la figura del cancro.

D'altronde è lo stesso Ionesco a spiegarcelo in Jacques ovvero la sottomissione, Roberte II racconta:

“Volevo fare un bagno. Nella vasca piena fino all'orlo, ho visto un porcellino d'India, tutto bianco, che vi si era installato. Respirava sott'acqua. Mi sono chinata per guardarlo più da vicino; vedevo fremere appena il suo muso. Era immobile. Ho voluto immergere un braccio nell'acqua per toccarlo, ma ho avuto troppa paura d'essere morsa. Dicono che quegli animaletti non mordano, ma non si può mai essere sicuri! Lui mi guardava attentamente, mi spiava, si teneva vicino vicino. Aveva socchiuso un occhio piccolo piccolo, e mi guardava, fisso. Non sembrava vivo. Eppure lo era. Lo vedevo di profilo. Ho voluto vederlo in faccia. Lui alzò verso di me la testina con i suoi piccoli occhietti, senza muovere il corpo. Siccome l'acqua era limpidissima, ho potuto vedere sulla sua fronte due macchie scure, marron, forse. Guardando meglio, ho visto che gonfiavano adagio adagio, due escrescenze…due piccoli porcellini d'india umidi e molli, erano i suoi piccoli che spuntavano di là…”

Jacques (freddo) “Quell'animaletto nell'acqua? E' il cancro! Non ci sono dubbi. In sogno lei ha visto il cancro. E' chiarissimo.

La trama della commedia è presto detta: Jacques è un giovane ribelle, che non vuole prendere moglie, ma la famiglia borghese alla quale appartiene, riesce a farlo capitolare. Attraverso il meccanismo dei sensi di colpa viene manipolato, e dopo aver rifiutato una prima fidanzata, Roberte I, viene fatto sposare con Roberte II.

In un capitolo intitolato Note sul teatro , nel libro Note e contronote , Ionesco scrive:

“Mi sono stupito quando ho visto che c'era una grande somiglianza tra Feydeau e me…non nei temi, non nei soggetti; ma nel ritmo e nella struttura. Nella costruzione di un lavoro come La pulce nell'orecchio , ad esempio c'è una specie di accelerazione vertiginosa nel movimento, una progressione nella follia; mi sembra di riconoscervi la mia ossessione della proliferazione. Il comico sta forse in questa progressione disarmonica e disordinata del movimento.

C'è una progressione anche nel dramma, nella tragedia, una specie di accumulazione degli effetti. Nel dramma la progressione è più lenta, meglio controllata, meglio diretta.

Nella commedia il movimento sembra sfuggire all'autore. Questi non guida più il meccanismo, ne è guidato. Forse qui sta la differenza. Il comico e il tragico.

Prendete una tragedia, fatene precipitare il movimento, avrete un'opera comica; svuotate i personaggi di ogni contenuto psicologico, avrete ancora un'opera comica; fate dei personaggi persone soltanto sociali, assorbite dalla “verità” e dal meccanismo della società, avrete di nuovo un'opera comica…tragicomica.

Ma il tema del proliferare della materia, in Ionesco, nasce anche dalla trasposizione di sogni (e incubi) che lo scrittore pazientemente annotava nei suoi diari e, in alcuni casi, costituivano già la base di racconti raccolti nel libro La foto del Colonnello . Interessante è anche capire la genesi delle sue commedie, che Ionesco giudica non sia soltanto un processo conscio. Secondo lui ogni processo creativo è un misto di pensiero conscio e di spontaneità. La storia, in qualche caso, rappresenta il momento iniziale di una commedia. Ma, in effetti, spesso inizia con lo scrivere direttamente la commedia, senza sapere dove lo porterà:

“Scrivo le storie, e poi, altre commedie vengono fuori da queste storie. Delle volte leggendo uno dei miei racconti, mi dico, questa storia è buona, sembra andare bene per il teatro. Bisogna che ne scriva una commedia. Quando capita, la storia in realtà rappresenta un materiale grezzo, un primo abbozzo. Ho provato anche a tirare fuori commedie da storie non teatrali, o da qualcosa di non adatto al teatro. Il racconto, la storia in se stessa, è già un passaggio, una trascrizione e la commedia è la trascrizione di una trascrizione. […] D'altronde tutta la letteratura è una trascrizione o una registrazione di quanto si è visto o pensato.

Ionesco spiega che l'inizio, di ogni suo lavoro teatrale, varia di volta in volta, in alcuni casi parte da un breve racconto, questo è il caso di Assassino senza movente , altre volte parte da un sogno o da una considerazione, un'idea, un'immagine.

Philippe Chavanne, in La Drammaturgie onirique d'Eugène Ionesco , scrive che Ionesco è stato un grande sognatore, come del resto dimostrano la maggior parte dei suoi scritti autobiografici e delle sue opere teatrali. Molte di queste sono nate da sogni, incubi o ricordi .

Lo stesso Ionesco racconta che La lacuna gli fu in parte suggerita da un “sogno di fallimento” e da una fuga di temi d'esame che si era verificata in Francia.

È, più che altro, uno sketch senza pretese letterarie, al pari del Maestro (1953) e della Nipote sposa (1953), commenta Jacquard:

“Si basa su una situazione comica, incredibile, straordinaria: un accademico bardato di diplomi e coperto di onori è clamorosamente bocciato all'esame di maturità!

In questo atto unico, fin dal levarsi del sipario, Ionesco ricorre a una tecnica usata di frequente a teatro, e consistente nel moltiplicare e sottolineare gli effetti di contrasto.

Lo stesso drammaturgo lo racconta in un capitolo: Monologhi e messa in scena di certi sogni , citando un brano di un sogno nel quale il pensiero onirico risulta corroso da un profondo senso di colpa:

“Guardo mia madre: è molto cambiata, è magra, è come una stecca. Spiego che non sono potuto andare più spesso a trovarla perché ho dovuto terminare gli studi. Ho ventinove anni e non mi sono ancora laureato, ho appena avuto uno scontro con mio padre che è molto deluso delle mie lacune. Era furibondo. Infatti avevo superato i primi esami di laurea e gli ultimi, ma non quelli di mezzo. Ecco la grande lacuna.

Effettivamente Ionesco aveva sperimentato la paura del fallimento scolastico, carente nelle materie scientifiche, sostenne l'esame di maturità a Craiova e non a Bucarest, dove era richiesta una preparazione più accurata. Quello del buco o del vuoto è un tema che ricorre anche in Vittime del dovere e in La fame e la sete.

Proprio nella costruzione di La fame e la sete Ionesco utilizza diversi suoi sogni.

Nel terzo episodio de La fame e la sete : Ai piedi del muro , che fu scritto e aggiunto in un secondo momento dall'autore, la didascalia iniziale descrive un grande muro, che a Ionesco era apparso in diversi sogni:

“Un grande muro chiude completamente il fondo della scena; sull'estrema destra, rispetto allo spettatore, una porta bassissima si apre nel muro. Luce smorta. Il suolo, davanti al muro è ricoperto di rovi secchi, d'un colore quasi marrone. Quando si apre il sipario, la scena resta un momento vuota affinché l'attenzione possa concentrarsi sul muro.

L'immagine del muro appartiene a un sogno ricorrente, Ionesco, in Briciole di diario, scrive:

“Come fare per aggirare il promontorio, per scalare l'immenso muro che compare nei miei sogni, o per farlo crollare? Come fare per sollevare le barriere, e chi mi ha messo, chi ci ha messi in questa situazione? ” E qualche pagina dopo:

“Ritorno all'immagine del muro invalicabile, grigio e cupo della chiesa. Come sono concise, profonde, complesse le immagini, e come stentano le parole a tradurre il loro significato vivente! Dunque, sentivo il bisogno, ardente, urgente di scalare il muro, e nello stesso tempo sentivo che non avrei potuto superarlo. C'era, in basso, a destra, una porticina? Mi pare di sì, ma certamente era chiusa. Il muro è quindi il muro di una prigione, della mia prigione; è la morte poiché sembra un cimitero, visto da lontano; il muro è il muro di una chiesa, mi separa dalla comunità: è quindi l'espressione della mia solitudine, della non-interpretazione; io non giungo fino agli altri, gli altri non giungono fino a me. E nello stesso tempo è l'ostacolo alla conoscenza, è ciò che nasconde la vita, la verità. Insomma ciò che io voglio penetrare è il mistero della vita e della morte: né più né meno. […] Il muro esprime inoltre il limite invalicabile del mio essere umano. Io non sono di qui, vengo da altrove, e si tratta proprio di ritrovare questo “altrove” al di là dal muro.

In un sogno ad occhi aperti, simile a quelli che sperimentava con il suo psicoanalista, Ionesco torna ancora sulla immagine ossessiva del muro:

“Immaginazione attiva. Coricato, ma sveglio, rivedo il muro del sogno. Bene. Esso simboleggia fra l'altro la separazione da me stesso. Esso è anche ciò che mi separa dalla verità o da una conoscenza più estesa, più esatta. Devo sapere ciò che vi sta dietro. A destra c'è dunque la porticina chiusa. Mi avvicino alla porta, guardo attraverso il buco della serratura: scorgo un occhio che mi spia. Mi ritiro. Mi avvicino, guardo di nuovo. Ricevo uno schizzo d'acqua in piena faccia e nell'occhio. Mi ritiro: Guardo per la terza volta. Ho appena il tempo di scansarmi: dal buco hanno scagliato una freccia che ora si smarrisce alle mie spalle nel nerume di una delle case in rovina che si trovano dietro di me e che sembrano un molare cariato. […] se attaccassi il muro di fronte? Mi lancio e, con mia grande meraviglia, faccio un buco, piuttosto grande, vedo solo del nero, un caos. […] Scorgo un pozzo nel cui fondo appare un chiarore grigiastro. Scendo nel pozzo. Arrivo in fondo: è una delle sale da bagno e di massaggio della clinica. Come dopo che ho fatto il bagno, sono disteso sul sofà di cuoio ricoperto di lenzuola e di asciugamani, avviluppato nelle coperte, come una mummia. […] Sopra di me il pozzo, aperto. Ho l'impressione di essere in una cripta. Così disteso sembro la statua di un morto come se ne vedono sulle tombe nelle cripte delle cattedrali.

In questo sogno troviamo un riferimento a un'altra ossessione di Ionesco, quella del fango, della casa-tomba e della morte. Scrive Emmanuel Jacquard, nel commento al testo La fame e la sete :

“L'acqua, il fango e la metamorfosi che ne consegue [la casa che si trasforma in un “antro pauroso”, in una “tomba”] corrispondono ad un processo di degradazione che desta nel protagonista un senso di “terrore” . Terrore della vecchiaia e della morte, tali sono le ossessioni di Giovanni, e dell'autore de Il re muore . ” E nella pièce, il protagonista afferma:

Giovanni : “È un vero incubo. Il mio incubo. Lo conosco quest'incubo. Da sempre, sin da quando ero piccolissimo, mi capita sovente di svegliarmi al mattino con un nodo alla gola, dopo aver sognato una di queste spaventose abitazioni, succhiate per metà dall'acqua e per metà dalla terra, piene di fango. To', guarda, c'è fango dappertutto!”

Maria Maddalena : “Sistemeremo. Asciugheremo.”

[…]

Giovanni : “La muffa! Il fondo delle pareti umido! Sporcizia, untume, rifiuti e tutto che continua a sprofondare.”

Maria Maddalena : “Ti monti la testa. Dove hai visto case che sprofondano?”

Giovanni : “Allora non ti accorgi di niente?”

Maria Maddalena : “Vedi tutto nero. Hai un'immaginazione morbosa.

Lo stesso Ionesco conferma, in libro di Simone Benmussa:

“So bene da dove mi arriva questa immagine, rappresenta la casa di mia madre. A Bucarest aveva preso in affitto un seminterrato, come ce ne sono lì e anche in Inghilterra, quelle case che si trovano al pianterreno e le cucine sono nel sottosuolo. Mia madre non ha mai avuto modo di abitarla perché è morta poco prima della data del trasloco. Questo ricordo di un appartamento di cui parla Giovanni ne La fame e la sete , all'inizio del primo atto è per me, insieme, quello di mia madre e quello della sua tomba. Penso che lei inconsciamente sapesse che sarebbe morta presto e il fatto di aver scelto quell'appartamento, quando avrebbe potuto prenderne un altro a un piano più alto, questo già mi appariva strano, mi sembrava essere una premonizione. Era come se lei accettasse la tomba, come se si rassegnasse a morire. Così per me, questo luogo dove lei non ha mai vissuto è diventata l'immagine stessa della tomba. Ogni volta che sogno una casa simile, mia madre è lì dentro.

D'altronde esiste uno stile proprio anche nei sogni e lo afferma lo psicanalista Salomon Resnik, ne Il teatro del sogno :

“C'è uno stile del sognare, come ci sono stili nelle arti plastiche o nella musica. Ci sono giochi di luci e di ombre: un clima plastico. Il pensare onirico mostra il suo stile intimo, ma anche le sue variazioni al passaggio da un'epoca all'altra della storia iconografica del paziente. Non bisogna dimenticare che all'origine il pensiero è fondamentalmente pittografico.

Si accenna anche a un'altra immagine onirica ricorrente ne La fame e la sete , quella di una gatta bianca, tratta da un sogno riportato dall'autore in Briciole di diario :

“Una gatta bianca che usciva correndo dalla cinta di un orto, un orto senza erbe, senza verdure, soltanto seminato o forse (come saperlo?) già raccolto. La gatta diventa improvvisamente una signorina che dice a noi, che d'un tratto ci troviamo a tavola, una lunga tavola rustica all'interno di una cascina, con una finestrella sulla mia sinistra,: “Debbo sfuggire al controllo della famiglia, ho bisogno di libertà, devo sviluppare la mia personalità”. Per questo la gatta bianca era scappata attraverso la porta chiusa della cinta. Corre, cerco di acchiapparla. Anch'io, anch'io, dico, vorrei riuscire a sapere che cosa debbo fare. ” E nella pièce:

Signora : (a Giovanni) “Signore, mi risponda, non ha incontrato per caso una ragazza che correva, sollevando le cortine di pioggia, in direzione opposta alla sua, o non ha trovato il suo cadavere per la strada?”

Giovanni : (alla Signora) “Ho intravisto una gatta bianca che scappava.”

Giovanotto : (all'inglese, che abbraccia di nuovo) “Che pazzerella, si è trasformata, vedi, in gatta. Oh, che mattacchiona!”

Prima Inglese : (a Giovanni) “Dove andava? Forse si è arrampicata su un albero e non sa più discenderne; forse è andata a nascondersi nella tana del topo. (al giovanotto) Meglio così, piuttosto che si uccidesse, son più tranquilla.”

[…]

Signore : (alla Signora) “Va', portamela, te ne prego. Portamela presto. Una gatta bianca è come una sposa. Da un'infinità di tempo ne desidero una.

Un personaggio della pièce, Schaëffer, che simbolizza l'autorità paterna e il trasformismo politico paterno, è il protagonista di tre sogni che Ionesco appunta in Briciole di diario :

“Tre sogni con lo stesso personaggio. Tre sogni con Schäffer. ” (Ionesco aggiungerà poi una ë su cui sposterà la dieresi, nel nome del personaggio teatrale.)

Il terzo sogno con Schäffer che Ionesco trascrive, viene utilizzato pressoché integralmente dal drammaturgo:

“La terza volta che vidi Schäffer, egli era sceso ancora più in basso. Aveva l'aria di nascondersi, d'essere costretto a dissimularsi, era un reprobo.

Mi trovavo davanti a un enorme muro bucato da una porta. A che cosa poteva servire quella porta? Dall'altra parte del muro non c'era niente, se non la terra fangosa sotto un cielo bassissimo e cupo. Di dove ero arrivato? Non lo sapevo più. Da molto lontano certamente per essere lì, davanti a quel muro. Avevo il fango sino alle ginocchia, pioveva, tremavo di freddo, non avevo né soprabito, né cappello. Neppure un albero sotto il quale ripararsi, strana idea aver lasciato la propria casa. […] Mi appoggiavo contro il muro per aver almeno la schiena riparata. Dov'ero? Turista? Chissà cos'era quel paese fangoso e buio. Proprio in quel momento, ricordandomi di essere sceso da un treno, mi ricordai ugualmente dei viaggi a un tempo gloriosi e infami di Schäffer. Fu come se lo avessi chiamato. Di colpo, la piazza fangosa e vuota si popolò di proletari e miliziani, cioè di gente che aveva l'aria di essere proletaria e di altra che aveva l'aria di essere miliziana, a giudicare dalla ferocia e dalla malevolenza dei loro sguardi scrutatori.

Rivestito con una lunga tonaca nera, un grosso cappello rotondo a larghe tese, una barbona nera, una specie di rabbino cencioso o di maestro di scuola veniva avanti, cantando, seguito da un'intera scolaresca di piccoli ebrei, anch'essi con tonaca nera, cappello, lunga barba nera e bigodini.

Riconobbi subito Schäffer. Che strano uomo: per quanto miserabile, reprobo fosse, voleva a tutti i costi continuare a essere maestro tra i derelitti.

“Schäffer!” gli gridai.

Non rispose. Continuava a camminare cantando, salmodiando con i suoi bambini. Mi passò vicinissimo. Ne approfittai per tirargli la manica.

“Ssst,” diceva “Ssst.”

“La riconosco” gli dissi a bassa voce. “Lei è qui, in un paese ateo e marxista, come si spiega che autorizzano lei e i suoi bambini a salmodiare preghiere?”

“Mi sono arrangiato. Invece di far cantare a questi bambini i versetti della Bibbia o i salmi di David, li faccio cantare e recitare il manifesto del partito comunista.”

“Ma questo è contrario ai suoi principi. Insegna loro a essere antireligiosi.”

“No,” rispose Schäffer “questi bambini recitano e cantano il manifesto in ebraico. L'hanno imparato a memoria, ma non capiscono l'ebraico. Nessun pericolo per la religione; in questo modo tutto è salvo o, quanto meno, io me la cavo. Ssst.” mi fece ancora una volta andandosene con i piccini vestiti di nero e barbuti sotto la pioggia.

La decadenza di Schäffer, del fiero Schäffer, mi rattristò, sebbene non l'avessi mai amato, a tal punto che la mia bocca si riempì di forcine nere da capelli, che io mi misi a sputare, a sputare, allontanandomi da quei luoghi, ma più ne sputavo, più ce n'erano e andandomene ne disseminai tutta la strada che divenne nera, completamente nera di forcine da capelli.

Il personaggio di Schaëffer appare per la prima volta nel testo La fame e la sete , vestito da rabbino, con una barba posticcia e pronuncia le pressoché identiche battute del terzo sogno. Torna, all'interno della stessa scena, due pagine dopo, travestito da guida turistica e Giovanni, il protagonista, lo riconosce:

Giovanni : “Schaëffer, lei è Schaëffer. Tu sei Schaëffer.”

Guida : Non sono Schaëffer, lei si sbaglia.”

Giovanni : (aprendo la giacca della guida, però senza rudezza, tira fuori da una tasca interna della giacca una barba posticcia) “E questo… Vede, non può negarlo, lei è Schaëffer.”

Guida : (con calma senza alcun turbamento) “In realtà sono Schaëffer. Sì e no. Mi hanno visto sotto tanti di quegli aspetti, sotto tante di quelle maschere, in tanti paesi e continenti, che finisco per essere riconosciuto a torto o ragione. Colui che si mostra sempre sotto il medesimo aspetto si perde nell'anonimato e nella convenzionale, impersonale identità. Le mie identità molteplici, le mie maschere tanto diverse mi rivelano e mi tradiscono. Infatti cambiando si attira l'attenzione, si spezzano le abitudini, gli automatismi. Io sconvolgo ogni volta la normalità. Siccome ogni volta sono un altro, fatalmente non sono mai del tutto me stesso.”

(Giovanni senza parlare indica il muro con la mano destra.)

Schaëffer : “Lo so che lei vuol passare. L'ho già vista altre volte. Ancora una cosa, affinché lo sappia: quando mi ha visto passare, circa… non so più quanto tempo fa, passare davanti a lei con i bambini, mi trovavo al primo gradino della scala, adesso sto rimontando il pendìo. Ben presto tornerò a essere un lupo o un leone, senza aver fretta, però. Voglio evitare i ruzzoloni… come i miei amici ed io ne abbiamo fatto fare ai bambini.”

Giovanni : (distratto) “Che cosa hanno fatto ai bambini?”

Schaëffer : “Tolte le piccole tonache, i cappellucci rotondi, rasate le teste e le barbe, li hanno… gettati nel precipizio, nudi e crudi.”

Giovanni : “Davvero?”

Schaëffer : “Oh, sì… (ridendo) Provi a guardare laggiù, in fondo alla valle c'è una specie di poltiglia. Mi accorgo che la cosa non la interessa affatto. Sì, ho qualche minuto per aiutarla a eliminare questo muro. Non è una grande idea, comunque, visto che lei ci tiene, lo farò. Sono un mago e lei lo sa. Non il solo, d'altronde. L'avverto che dovrà percorrere strade in discesa, mentre io, come le ho già detto, mi arrampico, mi arrampico. (Una luce abbagliante invade il palcoscenico) Vede? Il sole di Austerlitz.

(Senza che la guida compia un gesto, il muro di fondo scompare).

Nel primo dei sogni su Schäffer, Ionesco lo descrive come un istruttore, intento a far saltare dei bambini dal quinto piano di una scuola dentro una rete. I bambini rimbalzano su dei gradini prima di ammassarsi l'uno sull'altro dentro la rete, sotto lo sguardo indifferente dei genitori che guardavano la scena affacciati alle finestre del caseggiato di fronte. Più o meno quello che il personaggio racconta a Giovanni.

“Il personaggio di Schäffer, secondo Philippe Chavanne, ossessiona l'inconscio di Ionesco, che lo descrive in tre sogni, e diventa il simbolo della coercizione alienante. ” Per Emmanuel Jacquard:

“Il personaggio di Schaëffer, “maestro educatore” e “carnefice di bambini” che sostiene che “ogni educazione è dura”; Maestro di ballo, “condannato al carcere a vita”, poi sorta di “rabbino cencioso” incarna il potere abusivo, fascista, totalitario, sadico. Legislatore, immagine dell'autorità e simbolo del dominio, va accostato all'archetipo del padre come lo concepisce Ionesco.

La fame e la sete è un testo fortemente simbolico e contiene i frammenti di altri sogni di Ionesco. Un sogno è datato 1936, inizio di ottobre a Bucarest. Ionesco lo descrive ne Il mondo è invivibile :

“Ero sposato da poco. Sogno che mia madre era in mezzo alle fiamme. Mi guardava, la povera, con occhi terrorizzati. Mi chiedeva di salvarla. Io cercavo di farlo, a più riprese. Ma, a causa del fuoco, non riuscivo a prenderla fra le braccia, a toccarla. Ce l'avevo con me stesso. Mi sentivo infinitamente colpevole. Non c'era niente da fare. E i suoi occhi angosciati, i suoi capelli scarmigliati si mescolavano alle fiamme!

L'indomani mattina, la incontro a un'esposizione pittorica dove era andata con mia sorella. Mi si avvicina, lamentandosi di avere troppo caldo. In effetti, aveva la faccia tutta rossa. Le tocco il viso. Scottava. Le ho risposto, un po' innervosito, che non era niente, che non doveva mettersi in quelle condizioni. Mia moglie e io la lasciamo e torniamo a casa. […] Dopo pranzo arriva mia sorella per annunciarci (non avevamo il telefono) che mia madre stava male. […] L'amico di mia sorella il dottor S., chiamato, ci disse che aveva un'emiplegia. Se ne andò subito, senza nulla tentare. Corsi alla ricerca di medici, ma non era facile trovarli: era domenica. Durante la mia assenza, pare che la mamma avesse chiesto dove fossi. Le venne risposto che sarei arrivato presto, che ero andato a cercare un medico. Finii per trovarne uno. Le venne fatto un prelievo di sangue. Inutile: entrò in coma e morì durante la notte. Mi rimprovero sempre di non aver pensato di chiamare il dottor Lieblich, un amico devoto. Di sicuro si sarebbe potuto salvarla. Ricordai il sogno soltanto dopo che lei era morta.

Nel testo Ionesco traspone il sogno, nel primo dei quattro episodi, La fuga :

Maria Maddalena : “Stai battendo i denti, tremi. Aspetta, accendo il camino.”

(appare un camino sul muro di fondo, a destra, con fiamme; oppure nello specchio.)

Giovanni : “No, il fuoco del camino, no. Spegni presto che non veda più quella donna bruciare tra le fiamme. Appare non appena tu accendi il fuoco. Guardala, con i capelli che ardono. Appare così, col viso disperato… Mi tende le braccia dal rogo. Sempre, dopo avermi steso le braccia allo stesso modo, scompare tra il fumo; diventa cenere ai miei piedi; e rinasce ogni volta dalle proprie ceneri come un rimprovero. Non ho avuto il coraggio di gettarmi nelle fiamme. (Rivolgendosi alla donna che vede tra le fiamme) Sì, lo so, tu mi tendevi le braccia, gridavi, avevi paura, soffrivi. Avrei voluto; non ho potuto. Perdonami.”

Maria Maddalena : (alla donna che si suppone tra le fiamme) “Non è colpa sua, signora. Non poteva salvarla. Avrebbe fatto l'impossibile, non è colpa sua, mi creda, non è colpa sua. Se ne vada, la prego, se ne vada. (camino e fiamme scompaiono)

L'immagine del fuoco non è nuova nel teatro di Ionesco, scrive Benmussa:

“Ne La Cantatrice calva, “… un pompiere è anche un confessore” dice la signora Smith . E il pompiere:

Il pompiere , “ Proprio niente? Non avreste un piccolo fuoco nel camino, qualcosa che bruci in solaio o in cantina? Almeno un piccolo principio d'incendio? […] Non sono autorizzato a spegnere i fuochi degli ecclesiastici. Il vescovo se l'avrebbe a male. Quella è gente che se li spegne da sola, oppure se li fa spegnere dalle vestali.

La cameriera Mary per attrarre l'attenzione del pompiere recita una poesia: Il fuoco :

Mary :

“I policandri brillavano nei boschi

una pietra prese fuoco

il castello prese fuoco

la foresta prese fuoco

gli uomini presero fuoco

le donne presero fuoco

i pesci presero fuoco

l'acqua prese fuoco

il cielo prese fuoco

la cenere prese fuoco

il fumo prese fuoco

il fuoco prese fuoco

tutto prese fuoco

prese fuoco, prese fuoco.”

Il pompiere conclude: “ […] questa è la mia concezione del mondo. Il mio sogno, il mio ideale.

“Un palazzo di fiamme di ghiaccio, statue luminose, mari incandescenti, continenti che divampano nella notte entro oceani di neve!” dice Choubert in Vittime del dovere , “I fuochi sono meno luminosi, il palazzo meno scintillante, ogni cosa si oscura.” E più avanti, Choubert dirà ancora: “Non un angolo d'ombra. Il sole è enorme. Una fornace. Soffoco. Vado arrosto. In Amedeo o come sbarazzarsene , come ne Il Rinoceronte , si fa allusione a un pompiere, ma in Amedeo o come sbarazzarsene , le immagini che riguardano il fuoco diventano più impressionanti: “Mi scorticano i piedi…Spine di fuoco! Fiamme puntute, fiamme di ghiaccio…Mi affondano spilli di fuoco nella carne. Aaah!”, dice Maddalena e poi ancora: “Aaah! Aaah! (singhiozzi) Fuoco, ghiaccio…Fuoco… Mi penetra. Mi circonda. Mi avvolge, da dentro, da fuori!...Brucio-o! Aiuto!

Ne Il gioco dell'epidemia , uno strofinaccio prende fuoco e incendia l'appartamento.

Ci sono piscine incendiate ne Il re muore , incendi nelle biblioteche. Il re sogna del suo piccolo gatto rosso che entrava dentro il camino:

Bérenger : “Lo sognavo… Sognavo che era nel camino, coricato sulla brace. Marie si stupiva che non bruciasse; io rispondevo “i gatti non bruciano, sono incombustibili”. Poi è uscito dal camino miagolando, dal suo corpo si sprigionava un fumo denso, non era più lui, che metamorfosi! Era un altro gatto, brutto e grosso. Un'enorme gatta. Come sua madre, la gatta selvaggia. Rassomigliava a Marguerite.

 

Eugène Ionesco, Note e Contro Note, Torino, Giulio Einaudi editore 1965, pp. 154- 155, (trad. di Gian Renzo Morteo e Giovanni Moretti).

Philippe Senart, Eugène Ionesco , Borla Editore Torino 1965, p. 127, (trad. di Domenico Tarella).

Ibid . p. 87.

Eugène Ionesco, Teatro completo, Jacques o la sottomissione, a cura di Emmanuel Jacquard, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp.104- 105, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco , Note e contronote, Giulio Einaudi Editore s.p.a. Torino, 1965, pp. 216- 217, (trad. di Gian Renzo Morteo e Giovanni Moretti).

Claude Bonnefoy, Conversations with Eugène Ionesco , Faber&Faber, Londra 1970, p. 64. (trad. di Liliana Paganini).

Philippe Chavanne, La Drammaturgie onirique d'Eugène Ionesco, Edilivre, Saint Denis, 2015,

p. 41 (Trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo, a cura di Emmanuel Jacquard, La lacuna, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 873, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco Il mondo è invivibile , Edizioni Spirali s.r.l. Milano 1989, p.119, (trad. di Isabella Facco).

Per quanto riguarda la simbologia religiosa della pièce, vedi p. 55.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 205, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 1970, p. 70, (trad. di Gian Renzo e Jole Morteo).

Ibid . p. 73, 75.

Ibid . pp. 90, 91.

Vedi nel sogno ad occhi aperti appena descritto “le case in rovina che sembrano molari cariati”.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 862, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . pp. 170- 171.

Simone Benmussa, Eugène Ionesco , Théâtre de tous les temps, Éditions Seghers, Paris, 1971, p. 10, (trad. di Liliana Paganini).

Salomon Resnik, Il teatro del sogno, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2007, p. 40.

Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 170, p. 29, (trad. di Gian Renzo e Jole Morteo).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 212- 213, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 1970, p. 154, (trad. di Gian Renzo e Jole Morteo).

Ibid . pp. 158- 159.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 218- 219, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 1970, pp. 154- 155- 156, (trad. di Gian Renzo e Jole Morteo).

Philippe Chavanne, La Drammaturgie onirique d'Eugène Ionesco, Edilivre, Saint Denis, 2015,

p. 43 (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 865, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco Il mondo è invivibile , Edizioni Spirali s.r.l. Milano 1989, pp. 142- 143, (trad. di Isabella Facco).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 183, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco, Teatro completo I, a cura di Emmanuel Jacquard, La Cantatrice calva, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 26- 27, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . p. 34.

Eugène Ionesco, Teatro completo I, a cura di Emmanuel Jacquard, Vittime del dovere, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 234- 238, (trad. di Anna Maria Levi).

Eugène Ionesco, Teatro completo I, a cura di Emmanuel Jacquard, Amedeo o come sbarazzarsene, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 311- 312, (trad. di Gilberto Tofano).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Il re muore, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 153, (trad. di Gian Renzo Morteo).