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Il pensiero teatrale di Carmelo Bene, oggi…

di Giorgio Taffon

 

Tra gli anniversari che cadono in questo anno 2018, ce n'è uno in particolare che m'interessa e che potrebbe coinvolgere chiunque segua a qualsiasi titolo il teatro italiano, con tutte le sue contraddizioni, mediocrità, e le pessime vicende che lo contraddistinguono. Mi riferisco, dunque, al cinquantenario di Nostra Signora dei Turchi , il lungometraggio di Carmelo Bene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, appunto nel 1968 (uscito in forma di romanzo due anni prima, e presentato al teatro Beat 72 di Roma, in prima edizione, protagonista C.B., nel dicembre del 1966).
Il film fu accolto tra mille proteste e discussioni, nonostante un meritatissimo Premio della Critica. Film anti ideologico, né di destra, né di sinistra, tanto meno di centro, contro le regole e i canoni della cinematografia di quel periodo storico; film surreale, visionario, anti realista, in cui genialmente si con-fondono tempi storici, figure religiose e personaggi privi di ogni morale positiva e imposta.
La ricorrenza mi spinge, in questa sede, da vecchio studioso (a suo tempo innamorato spettatore dello straordinario, unico, Bene!), a scrivere non tanto di Nostra Signora dei Turchi , che diviene un pretesto, ma di quegli aspetti fondamentali che costituirono il ‘pensare teatro' di C.B., più che le sue realizzazioni spettacolari. Vorrei anche qui ricordare un'altra opera, poco conosciuta, rimasta solo allo stato di sceneggiatura, ma considerata dall'autore quasi un romanzo storico sperimentale: Giuseppe Desa da Copertino. A boccaperta (uscito per Einaudi nel 1976, ora in Opere , Milano, Bompiani, 1995). Sono opere che precedono l'incontro di Carmelo con la scuola francese filosofica e ideologica (da Deleuze a Klossowski, a Manganaro), che risulterà negli anni Ottanta più una colleganza legittimante la riflessione beniana e il suo lavoro scenico, che giungerà all'apice con le performances da ‘macchina attoriale' (P. Giacchè) in piena sintonia con le espressioni musicali, tutto a favore dello svolgimento dei significanti e non dei significati.
Dunque, se pongo attenzione al ‘pensare il teatro' di C.B., è perché più che agli estremi valori, forse inarrivabili oggi, della sua ‘macchina attoriale', credo che ora dobbiamo considerare altre dimensioni estreme dell'arte e della stessa esistenza di Carmelo Bene. Quando appunto negli anni Sessanta-Settanta giungeva, attraverso le lezioni di Nietzsche, di Joyce, di Schopenhauer, e dello stesso Deleuze, alla dimensione del de-pensamento , del vuoto , del vano , Carmelo si avvicinava sempre più verso l'annullamento dell'arte teatrale, del teatro stesso, se non dell'arte in generale: fuori da schemi ideologici, da ‘idee ricevute', da condizionamenti di alcun genere. Il suo PENSARE TEATRO fu un ciclone che ci ha lasciato, dal nostro punto di vista, in una sorte di annichilente e repulsivo deserto di immaginazione, di relazionalità tra artisti e spettatori, di totale estraneità alle logiche dell'attuale mercato dello spettacolo e della comunicazione. Eppure…

 


Eppure un orientamento ce l'abbiamo, ed è rappresentato da quella sorta di ‘mistica negativa', o ‘apofatica', a cui, da Schopenhauer e dallo stesso Meister Eckhart, C.B. si rivolse da sempre. Il che non volle dire, secondo quanto ben si può capire grazie ad un grande studioso come Marco Vannini (si veda almeno il suo Oltre il cristianesimo , Milano, Bompiani, 2013), che la mistica, come rinuncia all'Ego, e ricerca in Sé delle profondità, e del Fondo di religiosità, comporti l'adesione ad una fede religiosa positiva, storica. In molte occasioni C.B. ebbe a dire proprio questo, cioè di sentirsi una persona ‘religiosa', legata alla ‘religiosità', non alla religione. E perfino le estasi rappresentate dal Bernini nelle sue statue di sante mistiche, sono state viste da Carmelo come la cattura dell'istante-eterno in cui l'estasi porta fuori da sé ma in un massimo di esperienza totale del vivere, in cui l'Ego sparisce, il pensiero si annulla, e si resta ‘a boccaperta'. E i Santi mistici, come Giuseppe Desa, rappresentavano per C.B. un'unica possibilità per sfuggire ai lacci della Storia e del Pensiero dominante.
Va detto, ora, che, a parte alcuni tratti della filosofia schopenhaueriana, Bene non ha incontrato in profondità l'apporto, gli influssi, gli esempi provenienti dal pensiero, dalla filosofia e dalle religioni orientali, a differenza di un GROTOWSKI, e anche di Barba. Tale versante gli avrebbe probabilmente permesso di trattenere l'ultimo passo verso il nichilismo totale e l'autoannullamento, anche fisico. A cancellare il Soggetto e la Storia stessa! (Si pensi all'esempio di Lorenzo de' Medici in Lorenzaccio ). Nella sua ribellione io credo che C.B. non sia riuscito a svincolarsi dalla rete di pensiero di matrice storica occidentale, finendo per ribellarsi a ogni sovradeterminazione da lì derivante, e finendo per pensare che la vera opera d'arte consiste nell'essere lui stesso un'opera d'arte: il che vorrebbe dire che con la sua morte è morta la sua stessa arte!
Si, penso che questo sia accaduto, e che tale assenza (grande tema beniano, quello dell'Assenza ontologica) pesi grandemente. Chi, in questo periodo di odii profondi, di conflitti sociali, di capitalismi sfrenati, si ricorda più di C.B.? E alle nuove generazioni chi, come e perché si dovrebbe parlare di Bene, ricordarne l'opera? Ricordarne specie, lo ripeto ancora, il pensiero teatrale? Mi auguro che ciò possa avvenire presto, nel momento in cui il teatro diverrà terra libera da falsi rivoluzionari e da superficiali integrati nelle logiche del consumo di spettacolo. Avviciniamo il lavoro su noi stessi alle esperienze della grande mistica come pienezza di Vita (Panikkar), nel mentre pensiamo e facciamo teatro!