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Il teatro di Manfridi

di Giorgio Taffon

Il programma della rassegna svoltasi al Colosseo Nuovo Teatro

Dal 15 al 27 gennaio 2013 LA CENA di Giuseppe Manfridi regia di Claudio Boccaccini con Antonio Conte (il Padre)  e con Simone Crisari (Francesco) Francesca Grilli (Giovanna) Fabio Barbieri (Fangio) .

Dal 29 gennaio al 10 febbraio 2013 IL MAESTRO di Giuseppe Manfridi regia di Claudio Boccaccini con  Angelo De Angelis (il Maestro) Andrea Pirolli (Marco) Giuseppe Russo (l'Altro) Alioscia Viccaro (Luca).
Dal 13 al 24 febbraio 2013 GIOCO AL BUIO di Giuseppe Manfridi regia di Claudio Boccaccini con (in ordine di apparizione) Claudio Botosso (Pietro) Marco Guadagno (Luigi) Riccardo Bàrbera (Carlo)  Silvia Brogi (Adele).
 19- 20-21-26-27 gennaio e 9-10 febbraio 2013   IL FAZZOLETTO DI DOSTOEVSKIJ di Giuseppe Manfridi regia di Claudio Boccaccini musiche di Antonio di Pofi con  Paolo Perinelli
2 e 3 febbraio 2013   LA SUPPLENTE di Giuseppe Manfridi regia di Claudio Boccaccini musiche di Antonio di Pofi con  Silvia Brogi

Scrivo della rassegna “Il teatro dell'eccesso” dedicata a Giuseppe Manfridi a impresa conclusa, rinunciando all'immediatezza comunicativa sugli eventi tenuti al Colosseo Nuovo Teatro dal 15 gennaio al 24 febbraio scorsi. Parlo di eventi anche perché all'interno della rassegna è stato presentato il volume edito con grande merito dalla casa editrice lamongolfiera dal titolo omonimo Teatro dell'eccesso. Capitolo secondo , con un'importante Prefazione di Claudio Boccaccini storico regista di molte messeinscena di testi manfridiani; inoltre è stato organizzato, per l'occasione, un incontro tra critici, docenti universitari e pubblico sulla drammaturgia di Manfridi; infine il 4 febbraio si è svolto un pregevole concerto, Musica per parole , del M° Antonio Di Pofi, che appunto è autore delle musiche di diversi spettacoli del nostro autore.

Sulla resa artistica della rassegna spendo poche e rapsodiche parole, interessandomi e premendomi maggiormente ragionare sui significati generali dell'impresa compiuta da Manfridi, Boccaccini (Claudio e Chiara), Piero Pasqua, l'Associazione Culturale Beat 72 presieduta da Ulisse Benedetti.

Ho assistito a quattro delle cinque realizzazioni sceniche componenti la rassegna (eccetto, quindi, La supplente ). Penso che Giuseppe Manfridi, che conosco dagli esordi della sua pregevolissima attività di autore teatrale, sia uno tra i primissimi drammaturghi italiani di respiro anche europeo: questo mio giudizio è confermato, se stiamo al programma della rassegna, da La cena e Il fazzoletto di Dostoevskij , ma dovrei dire più esattamente dalla lettura mia personale innanzi tutto dei testi; poi è accaduto che la reazione chimica, sprigionatasi tra testo attori regia, ha portato a due spettacoli pienamente riusciti, il primo più giocato su registri drammatici, il secondo comico-umoristici; e davvero assistendovi ho percepito una sorta di “mesmerismo” tra scena e spettatori che raramente è contrassegnato da così altissime tensione e concentrazione: mi sentivo davvero come in un teatro di alto valore espressivo e culturale europeo, come insomma fossimo a Londra, Parigi o Berlino, dove, tra l'altro, esiste una cultura drammaturgica “altra”, rispetto al modesto interesse che si dimostra nel nostro disgraziato Paese.

Meno riuscite mi son sembrate le messeinscena di Il maestro e Gioco al buio : mi piacerebbe che si aprisse sulla nostra rivista-sito un dialogo con l'autore su queste due opere; vorrei che mi fossero spiegate da lui stesso alcune sue scelte (o non-scelte) che mi hanno convinto poco. In sintesi, in entrambi i lavori trovo che sia a livello di intreccio, che di costruzione dei personaggi, che di psicologie e relative azioni derivanti, l'ambiguità la faccia troppo da padrona: mi pare che Manfridi abbia esagerato (finendo di “peccare” appunto “per eccesso”) nel voler forzare le “regole” di composizione drammaturgica; ne deriva, a parer mio, che tutto è un po' troppo studiato, a volte cerebrale, a volte algido, spesso poco attraente per il lettore\spettatore, che finisce anche per perdere quel filo che a teatro deve essere immediatamente percepibile. Forse che Manfridi abbia voluto confrontarsi, contraddittoriamente, dall'interno della scrittura testuale verbale con le acquisizioni del teatro cosiddetto postdrammatico ?

A parer mio, comunque, ciò su cui si deve riflettere al cospetto di questa notevole, impegnativa, ammirevole iniziativa, va ben oltre gli aspetti artistici ed espressivi. E soprattutto direi che la sua realizzazione serve a portare allo scoperto e alla discussione alcune problematiche centrali del nostro teatro, oggi, come pure della nostra stessa società.

Un primo spunto di riflessione viene dallo spirito generale di omologazione di qualsiasi prodotto-merce che deve entrare nel mercato generalizzato. Per cui anche i valori tendono a confondersi, ad annullarsi. Ecco quindi che uno dei nostri primissimi drammaturghi deve portare di nuovo l'attenzione sul suo lavoro per non sprofondare nell'indistinto e nell'anonimo.

 

Ma, a tal fine, poiché il teatro propriamente non ha un vero mercato, e non potrebbe sopravvivere a lungo senza contributi pubblici, Manfridi e i suoi colleghi di strada (compresi gli spettatori partecipanti) hanno dovuto “metterci del loro” per sostenere i costi dell'iniziativa, stante che nessun organismo pubblico ha riconosciuto il minimo aiuto materiale agli organizzatori.

E ancora, cosa più grave, il teatro italiano ha dimenticato che Manfridi è il nostro drammaturgo che ha saputo rielaborare la lezione pirandelliana, senza imitazioni e manierismi, intrecciandola con altri grandi modelli (da Shakespeare a Checov allo stesso Dostoevskij): non ci siamo accorti che il teatro scritto di Giuseppe Manfridi è il teatro della crisi della borghesia europea postmoderna: crisi etica, religiosa, antropologica, psicologica, relazionale, LINGUISTICA. Come pure, naturalmente, non ci siamo accorti del pregevole lavoro di altri nostri bravissimi autori.

Ciò vuol dire che la cultura teatrale italiana negli ultimi decenni ha pensato che il teatro può far a meno dell'autore di un testo letterario scritto, o\e dello stesso testo scritto, mentre in realtà il teatro vive di più scelte formali, tutte lecite, tutte valide, purché realizzate con arte: compresa la forma del mettere in forma scenica un testo pre-scritto!

D'altra parte lo stesso Manfridi è anche autore-attore che interpreta sulla scena alcuni suoi testi scritti, e sempre a parer mio con grande efficacia e forza attrattiva nei confronti dello spettatore. Manfridi sa cosa vuol dire scrivere, con precisione e controllo, per un attore! Sicuramente è consapevole che un testo per la scena per isomorfismi drammaturgici con-vive con la drammaturgia delle altre componenti sceniche.

E inoltre la scrittura manfridiana ha acquisito ad alto livello un po' tutti i moduli espressivi della lingua italiana: lingua standard, lingua regionale, forme dialettali, forme idiolettiche inventate!

Eppure Manfridi con i suoi compagni di lavoro e d'arte ha dovuto inventare una bellissima iniziativa, appunto la rassegna al Teatro Nuovo Colosseo, per far rivivere nuovamente in scena la sua scrittura drammaturgica. Io non so per il futuro se quanto è stato realizzato porterà dei frutti all'amico Manfridi, me lo auguro e glielo auguro, naturalmente: ma ho dei dubbi, ho i dubbi che le attuali leggi di mercato mettano del tutto fuorigioco il teatro non sovvenzionato: non resta che regolarsi pragmaticamente in base ai modi in cui oggi in Italia viene regolato il mercato delle arti dal vivo, dalla produzione alla distribuzione!

Sarà mai possibile? Sarà mai attuabile?