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Guardarsi indietro per lasciare memoria del Nuovo: un importante volume raccoglie gli atti del Convegno commemorativo di Ivrea ‘67


di Laura Novelli

Elementi di discussione del Convegno per un Nuovo Teatro è il titolo dell'articolato intervento programmatico che, a firma di Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini e Franco Quadri, venne discusso durante il Convegno per un Nuovo Teatro tenutosi ad Ivrea nel giugno del '67 e che venne poi pubblicato nel secondo numero della rivista “Teatro”. Quel saggio era stato anticipato l'anno precedente da un breve manifesto sottoscritto su “Sipario” da più di venti personalità del mondo del teatro, della cultura, della critica, che iniziava così: <<La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica>>.
La frase suona ancora oggi emblematica. Soprattutto perché, letta alla luce delle irrequietezze sessantottine, ci riconduce alla natura fortemente sociale e politica di quell'ondata rivoluzionaria che, sebbene in modo diverso, ha influenzato la nostra ricerca teatrale successiva. Motivo per cui, di fronte al corposo volume Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia (1967-2017) , che raccoglie gli atti dell'omonimo convegno organizzato a Genova dal Teatro Akropolis nel maggio del 2017, credo che per prima cosa vada indagata sia la ‘relazione' tra gli eventi del '67 e le recenti giornate genovesi sia quella tra i due momenti di dibattito e il libro stesso. Libro che è sì testimone (ed erede) di entrambi gli appuntamenti convegnistici ma anche materiale nuovo esso stesso, ‘eredità' per le generazioni future. Curato da Davide Beronio e Clemente Tafuri (lo pubblica Akropolis Libri, che ha vinto il Premio Ubu 2017 nella categoria Progetti speciali) ma concepito come una vera e propria ‘opera collettiva', il volume organizza i contenuti e i numerosi interventi del convegno scandendoli secondo la scaletta immaginata a Genova. Sarebbe a dire: “Avanguardia / Nuovo Teatro: le parole e la storia”; “Dall'attore all'artista, dalla compagnia al progetto”; “Post-Novecento, nuove ondate, terza avanguardia: un'altra storia?”; “Nuovo Teatro e Nuova Critica: un bilancio”; “Dalle cooperative ai centri: vicissitudini di un'alternativa”. Cui seguono le lunghe “Testimonianze” finali (Giuliano Scabia in dialogo con Marco De Marinis, Pippo Delbono in dialogo con Roberto Cuppone e Carlo Quartucci in dialogo con Lorenzo Mango), gli apparati bibliografici e le note biografiche dei relatori.
Si tratta di una lettura poliedrica e impegnativa, che in molti passaggi necessita di un background culturale (di settore ovviamente) adeguato. Tuttavia, è proprio l'eclettismo dei diversi punti di vista in campo a rendere interessante la nozione stessa di Avanguardia (o meglio, di Avanguardie) che emerge da queste riflessioni. Ciò che il libro rivela è infatti la complessità di una questione – anche terminologica – impossibile da ingabbiare in categorie e certezze. Leggendolo, si segue piuttosto una geografia di pensiero che spazia indietro e in avanti, che guarda agli anni Ottanta e Novanta, all'oggi, che si interroga sul concetto di ‘nuovo' dal punto di vista storiografico ma anche dal punto di vista pragmatico, operativo. C inque decenni dopo si giudicano l'energia, lo smarrimento, le contraddizioni – e non furono poche – di Ivrea '67 (<<un punto di non ritorno per il Nuovo Teatro e per la critica>>), dando voce a chi c'era e a chi non c'era; a chi non era ancora nato; a chi da quelle idee ha tratto però linfa vitale per costruire la propria idea di teatro.
Le giornate di studio genovesi – inserite nel festival Testimonianze Ricerca Azioni e organizzate, oltre che dai già citati Beronio e Tafuri di Akropolis, da un comitato scientifico in cui figurano Fabio Acca , Roberto Cuppone , Marco De Marinis , Roberta Ferraresi e Silvia Mei s – mantengono, insomma, anche nella fissità del libro, il loro carattere fluido, mosso, eterogeneo. E l a prefazione stessa di De Marinis chiarisce la natura ‘anfibia' di questo oggetto/libro: <<Più che davanti agli atti di un convegno, quali oggettivamente sono, ritengo che siamo di fronte a un'opera collettiva, che potrà costituire un punto di riferimento importante per chiunque, in qualsiasi veste, vorrà d'ora in avanti avvicinarsi alle vicende del nostro teatro più vivo e più inquieto>>. Come è ben noto, il Convegno del ‘67 voleva fare piazza pulita del vecchio per fondare un nuovo teatro. Un teatro fuori dal teatro, sganciato dall'egemonia del testo scritto, dal palcoscenico, dal concetto di interpretazione. Un teatro che fosse sociale, che fosse fatto per la comunità. Un teatro-laboratorio ribelle nei riguardi della tradizione e di qualsiasi gerarchia estetica. L'attore era il drammaturgo di se stesso. Si contestava la concezione naturalistica della scena e si specificava che <<la scrittura drammaturgica è soltanto uno degli elementi che compongono la scrittura scenica […] >>. In quel periodo il teatro arrivò alla contestazione ‘totale e assoluta'. Erano gli anni del Living, di Schechner, di Barba. L'antropologia andava a braccetto con le estetiche dello spettacolo dal vivo. La figura del critico si confondeva sempre più – e sempre meglio – con quella dell'operatore, del fiancheggiatore, del traghettatore di artisti e progetti.
Nella prima sezione del volume (la più storiografica) parole illuminanti vengono da Antonio Attisani e da Lorenzo Mango. Sul concetto di ‘condivisione' insiste molto l'interessante intervento di Stefano Casi (<<Più della carica innovativa dei suoi primi esponenti, è stata la condivisione a formare ciò che noi chiamiamo Nuovo Teatro>>, […], che ragiona anche sul processo di espansione delle pratiche artistiche scaturite da quel manifesto. Lo stesso Casi introduce poi un altro snodo cruciale: lo spazio extra-teatrale in cui maturarono molte di quelle esperienze di ricerca. Gerardo Guccini si sofferma invece sulle loro implicazioni politiche e antistituzionali, per poi chiarire (citando Quadri) che il ‘68 creò un nuovo linguaggio ma che già a metà degli anni Settanta il teatro-immagine era finito e che in seguito arrivarono nuove ondate di ricerca (quelle degli anni Ottanta e Novanta).
La seconda sezione del convegno/libro è animata da un bel contributo di Laura Mariani (“Recitare? Che brutta parola!”. Culture attoriche del nuovo teatro romagnolo, dieci anni dopo Ivrea”) che, partendo da una citazione della Duse, indaga e sviscera lo statuto stesso dell'attore (e mi preme sottolineare il plurale usato per la parola ‘culture') e le generazioni teatrali della Romagna felix, focalizzando l'analisi critica su gruppi molto noti e sull'apprendimento del ‘mestiere'. Apprendimento che passa anche per una esposizione personale ad un determinato percorso ed è dunque prassi sospesa tra ieri e domani.
La terza parte del volume si concentra poi sul post- Novecento. Dunque, sulle nuove ondate artistiche del terzo millennio. La relazione di Silvia Mei insiste sul concetto di ‘tabula rasa' e mette in luce come il teatro sperimentale odierno declami ‘un ricominciamento' anche rispetto a Ivrea. All'interno di questa sezione, trovo molto incisivo lo scritto di Massimo Munaro, che fa coincidere il nuovo teatro con il teatro del margine, del pericolo, ma anche con il teatro che continua a sperimentare, a ragionare su nuclei fondamentali quali l'attore, lo spettatore, la loro relazione, lo spazio, il suono, la luce, la drammaturgia (da intendersi come libera scrittura scenica). Altre felici intuizioni arrivano nelle pagine successive: molto significativi, per esempio, lo sguardo di Fabrizio Arcuri, che alla soppressione dei padri sostituisce il concetto - forse più felice - di ‘dis-continuità', e quello di Gabriele Vacis, che affronta i cambiamenti nei finanziamenti pubblici e nell'organizzazione teatrale da Ivrea a oggi.
Insomma, non è facile tirare le fila, demarcare un solo ambito di indagine, una sola linea critica. Il libro, vista la robustezza della trattazione e dei singoli interventi, parla da sé, offrendo un caleidoscopio di visioni convergenti probabilmente in un'asserzione tanto elementare quanto importante: ciò che ha spinto i promotori di Ivrea ‘67 a cambiare il teatro è la stessa spinta che muove e ha mosso le generazioni successive. Pertanto, buona parte dell'Avanguardia italiana dagli anni Settanta ad oggi ha un debito nei confronti di quel manifesto. Perché in quel manifesto trova la possibilità di riconoscersi in una ‘tradizione' rivoluzionaria e contestatoria. Che è sempre e per sua natura politica. Senza impegno politico, senza occhi per il mondo, è impossibile fare le rivoluzioni. Lo dice bene Delbono in due passaggi della bella testimonianza/intervista finale: <<Il teatro è un incontro tra esseri umani diversi […]. Innovare vuol dire spostare i punti di vista. E per fare questo l'artista fatica. Ma solo con la fatica si sposta qualcosa>>. E allora sì, è vero : ‘La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica'. Per fortuna.

 

AA.VV., Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967-2017
(edizione a cura di Clemente Tafuri e David Beronio)
AkropolisLibri, Genova 2018, pp. 454. Euro 24,00.

Il Convegno Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967-2017 , a cura di Marco De Marinis, si è tenuto a Genova dal 5 al 7 maggio 2017 nell'ambito dell'ottava edizione di Testimonianze ricerca azioni , l'evento dedicato alla ricerca teatrale organizzato ogni anno da Teatro Akropolis.

Gli autori:
Fabio Acca, Fabrizio Arcuri, Lucio Argano, Antonio Attisani, David Beronio, Adele Cacciagrano, Stefano Casi, Sabino Civilleri, Roberto Cuppone, Pippo Delbono, Marco De Marinis, Simone Derai, Lorenzo Donati, Edoardo Donatini, Roberta Ferraresi, Laura Gemini, Piergiorgio Giacchè, Gerardo Guccini, Chiara Lagani, Manuela Lo Sicco, Valter Malosti, Lorenzo Mango, Salvatore Margiotta, Laura Mariani, Rossella Mazzaglia, Silvia Mei, Massimo Munaro, Angelo Pastore, Franco Perrelli, Armando Petrini, Oliviero Ponte di Pino, Andrea Porcheddu, Paolo Puppa, Carlo Quartucci, Amedeo Romeo, Paolo Ruffini, Giuliano Scabia, Clemente Tafuri, Dario Tomasello, Gabriele Vacis, Mimma Valentino.


foto di Luca Donatiello