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Il proliferare della materia e il sogno nel teatro di Ionesco

di Liliana Paganini

III parte

Ne Il pedone dell'aria, l'azione si svolge in Inghilterra, in una bella, assolata, domenica d'aprile. Ionesco risveglia qui un ricordo delle sue vacanze. Una parte della scenografia sul palco mostra la campagna inglese, “un campo di erba, molto verde e fresca su di un piano che domina una vallata”. Il quadro è bucolico, ci sono degli alberi, “dei ciliegi e dei peri in fiore, il cielo è estremamente puro e blu”. Ma il ricordo, espresso dalla scenografia, scivola verso uno scenario di sogno, come indica Ionesco :

“In seguito, via via che l'azione procederà, vedremo comparire altri accessori e assisteremo a modificazioni della scena. Così, durante la passeggiata di Bérenger e della sua famiglia, lungo il precipizio, appariranno rovine fiorite e rosate, la frontiera del nulla, un ponte d'argento, un treno a dentiera sulla collina di fronte, ecc.

Più avanti, dopo il bombardamento, un'altra didascalia rinforza l'idea d'imporre al regista il carattere immaginario del testo:

“[Rientrano] il giornalista e il secondo inglese, sufficientemente trasformati perché ci si possa stupire del cambiamento, ma tuttavia riconoscibili, deformati come in sogno, ma appena appena. Forse il cambiamento può essere realizzato con la luce. Oppure i personaggi si sono applicati maschere raffiguranti i loro volti. Questa soluzione sembra preferibile.

I ricordi si mischiano agli elementi eterogenei dei sogni, Ionesco inserisce un personaggio che si chiama John Bull, ed è quello creato da John Arbuthnot alla fine del '700, diventato la personificazione del popolo inglese, e reso popolare dal periodico “Punch or the London Charivari”, Ionesco lo presenta in scena così:

“Al centro, in fondo, John Bull nel suo caratteristico e ben noto abbigliamento. […] Lo si vede, simile a un'enorme marionetta, levarsi lentamente il tipico cappello, asciugarne il sudore all'interno. Poi si deterge la fronte con un grande fazzoletto, ripone il fazzoletto in tasca, il cappello in testa, volgendosi lentamente verso il pubblico; quindi, compiuto questo movimento, si mette le mani dietro la schiena, divaricando le gambe. ” Quel che colpisce in questa didascalia, è la precisione dei movimenti che indica l'autore, burattinaio dell'enorme marionetta che mette sulla scena e che ci fa ricordare il suo amore, da bambino, per il teatro dei burattini e per la favola di Pinocchio. John Bull nel testo, come un attore- marionetta, si trasformerà in altri personaggi, in un giudice e poi in un carnefice che mitraglia prima due bambini, poi le loro madri e i loro padri.

Queste due trasformazioni nella commedia sono all'interno di uno dei due sogni che Joséphine, la moglie di Bérenger, fa in scena e dei quali noi spettatori non ci accorgiamo, se non quando l'autore ce ne mette al corrente. Il primo di questi sogni è poco dopo l'inizio della commedia: Josèphine sogna che suo padre non è morto e gliene danno notizia lo zio-dottore e un impiegato delle pompe funebri, e il fatto singolare è che Ionesco non ce lo annuncia come sogno, veniamo a saperlo dalla figlia Marthe, solo alla fine della scena e poi Bérenger, l'alter ego di Ionesco, commenta:

Bérenger : “Non preoccuparti per il tuo sogno, non è che un sogno, niente di più.” […]

Joséphine : “Non posso fare a meno di essere turbata. È mio padre.”

Bérenger : “Capisco perfettamente. Questo però significa soltanto che volevi molto bene a tuo padre, che lo vorresti ancora vivo e che ti rendi conto che questo è impossibile. Impossibile. Quando sogniamo i nostri morti, allora ci accorgiamo di quanto, quanto ci manchino. […] Di giorno dimentichiamo. Non ci pensiamo. Se avessimo sempre la coscienza sveglia come quando sogniamo, non potremmo più vivere. Di notte, si ricorda. Il giorno è fatto per dimenticare.

Nel secondo sogno, Joséphine, viene giudicata da un tribunale, presieduto da un giudice con due assessori, uno di questi è il carnefice John Bull, sono di nuovo presenti lo zio-dottore e l'impiegato delle pompe funebri.

Scrive a riguardo Mircea Eliade nel suo Giornale :

“15 novembre 1962.

Sto leggendo Il pedone dell'aria , l'ultimo lavoro di Eugène. Mi chiedo se la scena con i giudici mascherati e feroci non esista, come si ostina a pensare la ragazzina, che nell'immaginazione della madre, perché la madre ha paura; mi chiedo dunque se questa scena non derivi indirettamente dal Libro tibetano dei morti . Se Eugène conosceva questo libro, è curioso che ne abbia indovinato l'essenziale…

Anche nella fine tragica, pessimista dell'opera si potrebbe scoprire una certa influenza “buddhista”. Ma chi ha incitato Eugène a leggere e ad accettare simili testi? La fine contrasta sorprendentemente con l'ottimismo di Bérenger all'inizio dell'opera. Poter “elevarsi”, poter “volare” è una fonte di beatitudini sconosciute. Poi, quando Bérenger ritorna da questi mondi trascendenti, depresso da ciò che ha visto: la creazione e la distruzione ciclica dei mondi. Ma questa è una visione indù, asiatica. Mi chiedo come Eugène abbia potuto arrivarci.

In Briciole di diario Ionesco descrive un sogno nel quale è un assassino:

“Sono un assassino, ho ucciso dei bambini. Non sono il solo accusato: anche Beckett è accusato, come pure un terzo autore drammatico, forse Pinter, o Genêt che fonde, che io vedo fondere e svanire in un cielo grigio, ma senza nubi. Beckett si addossa i suoi delitti, non rimpiange nulla. Il suo viso è duro, ucciderà ancora altri bambini, se non si riuscirà a impedirglielo. Io sono sopraffatto dai rimorsi, attanagliato da un senso invincibile di colpa.

Un riferimento allo stesso sogno, appare anche ne L'uomo con le valigie :

Donna : (al Primo uomo) “Vieni, caro, vedrò di consolarti. Non avete ucciso dei bambini. Non siete assassini.”

Uomo : “Non ho paura mi faccio carico dei miei delitti. Ucciderò altre persone se non riusciranno a trattenermi.”

Primo uomo : “Ma io non posso più vivere col peso della mia colpa. Io, almeno, non ho ucciso bambini. Dunque perché questo rimorso incurabile?”

Donna : “Noi abbiamo ucciso dei bambini, ma non lo abbiamo fatto apposta.

L'uomo con le valigie allude nel titolo a un opera di Anouilh, Il viaggiatore senza bagagli del 1936, che traeva ispirazione dall'Edipo Re di Sofocle, nella quale il protagonista, Gaston, colpito da amnesia, viaggia alla ricerca del suo passato.

Nella pièce di Ionesco, il Primo uomo, l'eroe, al contrario non riesce a separarsi dalle sue valigie che rappresentano per Ionesco, il nostro inconscio sovraccarico, il peso della nostra vita, ciò di cui non possiamo e non vogliamo liberarci.

Scrive Emmanuel Jacquard:

“Ionesco non ama gli sprechi. Con lui, niente si perde, tutto si trasforma. Novelle e racconti si trasformano in commedie o in film e i sogni s'integrano alla creazione drammaturgica o le danno impulso. L'uomo con le valigie non sfugge alla regola. L'autore vi utilizza, più di quanto non avesse fatto in passato, l'onirismo unendovi i ricordi di gioventù. Ripresi o trasposti, dal pensiero diurno o dalla deriva notturna, i dati biografici privilegiano la famiglia e certi luoghi che la memoria affettiva associa alla felicità, al dolore o all'angoscia del sognatore. […]

Le dichiarazioni del drammaturgo definiscono in linea generale le sue intenzioni:

“Questa volta, ne L'uomo con le valigie , cerco di utilizzare situazioni sognate servendomi di un linguaggio parlato ugualmente onirico. Sino ad ora, avevo sempre dissociato il linguaggio dalla situazione. Li riunisco per la prima volta.”

Ionesco precisa inoltre:

“Ho cercato di sostituire alla coerenza razionale, un'altra coerenza che appare incoerente agli occhi della razionalità.”

Si capisce come cogliere il senso di un'opera del genere possa risultare inizialmente difficile, se non decisamente impossibile.

Infatti la pièce è costruita tenendo conto dell'indagine onirica junghiana e dell'esperienza surrealista, che indagava la parte oscura della psiche cercando di ricrearla nella scrittura automatica e nell'utilizzo dei sogni. A questo, va aggiunto lo studio degli aspetti mitico religiosi e della filosofia buddhista del suo amico e compatriota Mircea Eliade, nonché la conoscenza della teoria della “logica della contraddizione” di un altro romeno, Stéphane Lupasco che Ionesco cita in Vittime del dovere :

Nicola : “Ispirandomi a un'altra logica e a un'altra psicologia, introdurrei una dose di contraddizione nella non-contraddizione, una dose di non contraddizione in ciò che il senso comune giudica contraddittorio…Abbandoneremo il principio dell'unità e dell'identità dei caratteri, a vantaggio del movimento, di una psicologia dinamica…Noi non siamo noi stessi…La personalità non esiste. In noi ci sono soltanto forze contraddittorie o non contraddittorie…A proposito farebbe bene a leggere Logica e contraddizione , l'eccellente libro di Lupasco…

Commenta Emmanuel Jacquard:

“Secondo Jung, la struttura del sogno riproduce quella di un'opera teatrale greca:

•  Come l'esposizione, presenta subito i referenti: luogo, epoca e personaggi.

•  Segue l'enunciato del problema: l'inconscio pone la questione alla quale dovrà poi rispondere.

•  Le peripezie, che costituiscono la sostanza del sogno, incamminano l'azione verso un culmine e uno scioglimento.

•  Infine, la conclusione rivela un messaggio dotato di una funzione compensatrice.

Grosso modo, L'uomo con le valigie è conforme a questo schema, integrando il mito al pensiero onirico. L'uno e l'altro recano con sé, agli occhi dell'autore, un messaggio rivelatore. “Per rimanere lucidi, - afferma il protagonista, - dovremmo passare la vita sognando.” Il viaggio iniziatico che ci propone L'uomo con le valigie comporta, come quello di Ulisse, una discesa agli Inferi: l'inferno degli Antichi (greci ed egiziani), l'inferno dell'inconscio e l'inferno totalitario, sovrapposti gli uni agli altri in una struttura stratificata.

Conosciamo l'interesse di Ionesco per Il libro tibetano dei morti , (la cui influenza ritroviamo nella stesura de Il re muore ) e per Il libro dei morti degli antichi egizi e aggiungerei per La Divina Commedia . La pièce si apre con un personaggio che dipinge, a significare che stiamo entrando in un mondo irreale, infatti il Pittore ci informa che siamo in una Parigi del 1938 che si trova ancora in piena rivoluzione del 1789, poi aggiunge che potrebbe essere il 1942 o il 1950 . Il dialogo ripercorre i temi di un brano in Briciole di diario , nel quale l'autore descrive alcuni suoi sogni che vedono una grande folla assiepata sulla Senna. La rivoluzione per Gisele Feal è simbolica, rappresenta il tumulto interiore che agita il protagonista. Un battelliere, in realtà un uomo con un remo, che trasporta i viaggiatori sulla Senna (o a Venezia) traghetterà il Primo uomo verso il suo passato. Nelle prime scene il viaggio lo porta verso sua madre. Dalla seconda alla quarta scena si mischiano i ricordi e gli avvenimenti, ma deformati come avviene nei sogni. In particolare la seconda scena è incentrata sul ricordo della morte della madre:

Primo uomo : “ […] Non so più se mia madre è morta, non so più se ho assistito alla sua agonia o se mi sembra soltanto. Forse la sua morte l'ho solo immaginata.

Vede apparire sul fondale una casa bianca dalle finestre illuminate, poco dopo lo scrittore puntualizza che sono illuminate internamente dalle fiamme e anche questa immagine è tratta da un sogno:

“Scendiamo ancora per guardare la facciata della nostra casa: è la stessa e non è la stessa; ha un piano in più? Le finestre del piano superiore hanno una linea più elegante, la casa è diventata tutta bianca, le finestre sono illuminate vivacemente, è illuminato l'interno e ciò nonostante non c'è nessuno. Mi accorgo che questa illuminazione proviene dalle fiamme di un incendio che devastano l'interno della casa. La casa è bianchissima, le finestre color fuoco su un paesaggio molto cupo e un cielo quasi nero.

Per Philippe Chavanne, in Ionesco:

“Sono rari gli spazi chiusi che ispirano benessere e felicità. L'autore è tormentato dalla casa bianca, con le finestre illuminate dalle fiamme. Arroventata da una luce senza tempo questa immagine è presa in prestito in numerosi sogni come luogo che brucia e si consuma o come la casa incendiata della zia Adelaide. Una cremazione simbolica che spicca su una casa tomba. Il fuoco e la luce si oppongono agli elementi terra e acqua. La teoria freudiana associa le stanze alla presenza femminile. La casa luminosa, quella del sogno, è la dimora della madre.

Secondo Gaston Bachelard:

“I quattro elementi – fuoco, acqua, aria e terra- che dai tempi antichi sono stati utilizzati dai filosofi per pensare l'universo, costituiscono i princìpi della creazione artistica. La loro azione sull'immaginazione può apparire remota, metaforica. Tuttavia, non appena s'individua l'esatta appartenenza di un'opera d'arte a una forza cosmica elementare, si ha l'impressione di scoprire una “ragione d'unità” che rafforza la coerenza delle opere meglio composte. Di fatto, accettando la sollecitazione immaginativa degli elementi, il pittore accoglie il germe naturale d'una creazione.

Bachelard, si riferisce alla creazione pittorica, ma considerando il teatro di Ionesco, che si basa su un susseguirsi d'immagini che Ionesco stesso, come abbiamo visto dalle didascalie, tratta come vere e proprie immagini pittoriche, penso che di diritto possa estendersi al suo teatro.

Il tema della casa che sprofonda nel fango, un altro degli incubi di Ionesco, compare subito dopo.

“Riconosco questa casa. Non ci sono tornato da molto tempo. Ma ci sono venuto spesso in sogno. Sul pendio, quasi ai piedi della collina, all'incrocio di strade fangose, è la casa dove abitai con mia madre. […] L'apparizione di questa casa nei miei sogni mi procura sempre un malessere. Qualche tempo fa era più sprofondata nella terra, come uno scantinato dalle pareti di terra umida, con delle fessure. Questa casa è sempre sul punto di sprofondare, d'essere inondata, di sfasciarsi. È minacciata da tutti i lati.

Dalla casa bianca esce una vecchia, la madre, che affida prima di morire il figlio alla nuora:

Vecchia : (alla Donna) “Te lo affido. Ora sei tu che devi averne cura. Lo amerai. Non sarà sempre facile. So che farai tutto ciò che è necessario.”

(Consegna alla donna il mazzo di fiori)

Donna : “Grazie, signora…Grazie, mamma.

In queste battute Ionesco trasferisce un vero ricordo, il passaggio di consegne tra la madre e la moglie:

“Il cerimoniale durò solo pochi istanti, ma dovette essere fatto secondo le regole, secondo una legge molto antica; e poiché era un mistero, mia moglie acconsentì, recitò la sua parte sacra e, obbedendo a una volontà, a una potenza che le trascendeva, mi legò a sé e si legò a me per l'eternità.

Poi un giovane, un altro alter ego dell'autore, cerca d'impedire che la vecchia (la madre), tutta vestita di nero, con i capelli che si ostinano a restare neri nonostante l'età, seduta su una sedia a rotelle nera (ricordo della nonna), si suicidi con delle pillole bianche e anche in questa scena, Ionesco, la trascrive da un sogno:

“ […] Il suo sguardo si è indurito, sotto i capelli neri. Anche il suo abito è nero. Ha una borsa nera che si apre e dalla quale escono un'infinità di piccolissime pillole bianche. Sono pillole velenose. Rovescio la borsa e la vuoto. Decine, centinaia di pillole bianche ricoprono il pavimento scuro e anche la strada davanti alla porta. Le raccolgo, le impedisco di raccoglierle, devo raccoglierle tutte una dopo l'altra, non deve rimanerne nemmeno una. A quattro zampe cerco dappertutto sul pavimento, sotto la tavola, in tutti gli angoli, sulla strada. Bisogna che lei non ne riprenda nemmeno una poiché ognuna di quelle minuscole pillole è spaventosamente potente. La donna mi guarda con ferocia, m'ingiuria.

Questo sogno è in realtà elaborato da un ricordo di una lite tra i genitori, e da un tentato suicidio della madre. Episodio, che già Ionesco aveva citato in Vittime del dovere .

Continuano le citazioni dei ricordi familiari riguardo ai nonni, ai bisnonni e al padre.

Nella didascalia all'inizio della sesta scena il gruppo familiare avanza compatto, gli uni stretti agli altri. Anche questa immagine proviene da un sogno.

L'autore, nella didascalia, dà indicazioni sulla messa in scena e consiglia di far scivolare il gruppo pattinando, in modo che l'avvicinamento risulti simile a un'immagine onirica.

Altra immagine simbolica è quella dell'occhio orientale della bambola, tenuta in braccio dal giovane:

“Da sinistra compaiono una donna, una vecchia, un vecchio e un giovane.

Il Primo uomo si trova in mezzo al palcoscenico. Il giovane tiene in braccio una bambola, di profilo, con un grande occhio nero, orientale, egiziano.

Un riferimento all'antico Egitto e al mondo di Osiride. Al passaggio nel mondo dell'oltretomba.

Nella scena seguente, l'autore ci fa entrare nel mondo greco e il protagonista, come Edipo, incontra la Sfinge, che sottopone il Primo uomo a una ridda d'indovinelli da gioco televisivo. Poi l'incontro con la madre, confusa con la moglie, il padre, i nonni e anche altri componenti della sua famiglia, compresa la figlia. Ritroviamo anche Schäfer, severo, esigente e autoritario, protagonista dei tre sogni che Ionesco appunta e che ha già inserito in La fame e la sete . Per il drammaturgo è l'immagine dell'autorità paterna, vissuta come tirannica. Ionesco ebbe un rapporto difficile con il padre, che aveva abbandonato la famiglia in Francia, durante la guerra, per tornare in Romania ad arruolarsi e non aveva dato più notizie di sé, tanto che la famiglia lo credeva ormai morto e invece in seguito scoprì egli si era risposato in Romania.

La barca porta il protagonista nell'inferno dell'est, inferno totalitario, come Ionesco spesso lo ha descritto, anche ne Il pedone dell'aria . Il rito del passaggio prevede che al posto di Cerbero con le sue tre teste, ci siano quattro poliziotti che richiedono una carta d'identità, nella quale appare un nuovo nome. Un nome che il protagonista non conosce, un nome imposto. Un poliziotto lo avverte che la carta dà diritto all'entrata, ma non all'uscita.

Ma anche questo viaggio in barca è preso da un sogno:

“Sogno un viaggio. Parecchie ore sono trascorse dal risveglio e quasi tutte le immagini sono scomparse nell'abisso della luce diurna, quest'altra specie di notte. Il ponte di un'immensa nave cupa. Ci daranno una buona cabina? Non voglio assolutamente essere sistemato in un dormitorio comune. Ma no, non si tratta del ponte di una nave, bensì dei grandi moli coperti di una stazione marittima, ecco perché sono bui. Non possiamo fare il viaggio perché una delle nostre tre valigie è andata smarrita. […] Questo sogno fa parte di un certo ciclo di sogni. Ho già viaggiato su questa nave più larga che lunga: tanto larga che nel corso dei miei ultimi viaggi sognati toccavamo quasi le due rive del Bosforo.

Nell'inferno dell'est, al protagonista capitano avventure di tutti i tipi, subisce un interrogatorio stringente, gli vengono tolti documenti, e i suoi amici di gioventù non lo riconoscono, gli mettono alle calcagna i poliziotti. Neanche il gruppo di turisti con cui è arrivato, si ricorda di lui, lo ricorda solo una ragazza, ma questa vive un'accelerazione del tempo e corre via perché non le sfugga il suo ventiseiesimo compleanno. Non gli resta che cercare un Consolato che gli procuri un visto o dei documenti per poter uscire dal paese del incubo.

Questa situazione si riferisce ai ricordi di Ionesco, che ebbe mille traversie nel 1942, per ottenere un visto per la Francia, dove si precedentemente trasferito nel 1938 con una borsa di studio dell'Istituto francese di Bucarest, per preparare una tesi di dottorato su “Il peccato e la morte nella poesia francese dopo Baudelaire”, tesi che non portò mai a termine e, tornato in Romania, riuscì con molta fatica a ottenere un lasciapassare per Marsiglia, (essendo parte della Francia occupata), dove si fermò fino al 1945, anno in cui potette tornare a Parigi.

Ma tornando alla pièce, il protagonista finisce in un ospedale – manicomio – prigione, dove si lamenta con il dottore – carceriere, di non aver avuto quel sogno assoluto che gli rivelasse tutte risposte. “Il sogno della verità assoluta”, come Ionesco lo definisce, in un sogno del suo diario. Quando riesce finalmente a liberarsi, il protagonista si ritrova in tribunale, accusato di spionaggio da una fruttivendola e anche questa insolita situazione si deve a un sogno del drammaturgo:

“Sono accusato e al medesimo tempo accusatore. […] L'accusato accusatore inveisce contro una donna poiché costei nei processi politici, recava false testimonianze sulla società del paese, dicendo che tutto andava bene e che l'accusato calunniava il paese. […] Ricordo un altro sogno in cui litigavo con una bottegaia alla quale volevo dare dei soldi per comprare delle verdure che lei non voleva vendermi.

Poi un'altra visione. Il protagonista torna al luogo mitico della sua infanzia, la Chappelle Anthenaise e qui i colori si schiariscono, prati verdi, sole e vita agreste, l'incubo svanisce per qualche pagina. Poco dopo torniamo nell'incubo, un altro passaggio preso da un sogno nel quale il protagonista, passeggia in un parco, entra in un alberghetto e ordina da bere, ma gli viene chiesto un certificato di salute mentale, perché lo credono pazzo e drogato a causa di alcune iniezioni, allora cerca nervosamente di accendersi delle sigarette, che però sono piene di buchi e si spengono in continuazione. Nel sogno riportato sul suo diario, Ionesco spiega al barman che le iniezioni sono contro l'angoscia.

Segue poi una scena in cui il Primo uomo diventa oggetto di seduzione di una donna bionda. Anche questa scena è stata ispirata da un sogno, del quale Ionesco aveva discusso con il suo psicanalista junghiano:

“Sogno erotico; abito in casa di una donna bionda, che non riesco a identificare. È una donna di mondo in quanto, benché nuda, porta i guanti bianchi. Esce con me in questa tenuta e cerchiamo per le strade un posto dove fare l'amore. Io non riesco mai a fare l'amore per impotenza, o per mancanza di tempo, perché ogni volta scorgiamo il profilo di un agente di polizia. Non abbiamo tempo anche perché devo prendere il treno […] Torniamo a casa sua e, cerco la camera dove ho lasciato le valigie […] erro nei corridoi, dei bambini mi intralciano il passo, non trovo le valigie. “Via”, mi dice la signora improvvisamente ricomparsa, un po' più vestita, con un cappello in testa, “prenda le sue valigie oppure non le prenda, il treno parte tra dieci minuti”. “Non c'è più tempo”, rispondo, “e non posso partire senza valigie, non posso lasciare le valigie.”

“Che pensa di questo sogno”, mi domanda Z. “Come lo interpreta?” “La polizia è la coscienza, naturalmente. Non riesco a fare l'amore perché in quel momento sono in condizioni d'impotenza morale […] vorrei partire ma le valigie me lo impediscono. Vorrei portare le valigie con me.” “No”, mi risponde Z., “in realtà lei non vuole liberarsi. Le valigie sono una scusa, un pretesto. Se lei volesse veramente emanciparsi, rinuncerebbe proprio alle valigie.

La pièce si conclude con il protagonista che riesce ad arrivare alla fine del suo viaggio. Il battelliere approda nel porto di Kichinev, il Primo uomo sbarca con le sue valigie. Lì ritrova la sua donna che lo attende:

Primo uomo : “Vengo da molto lontano. Ho attraversato città buie. Ho tentato di dire, dovevo dire la verità.”

Donna : “Quali verità dovevi dire, e a chi?”

Primo uomo : “Non lo so più. Forse non l'ho mai saputo. Non lo so. Per questo ho trovato soltanto parabole logore.

L'uomo con le valigie non è altro che la parabola del percorso esistenziale di Ionesco.

Scrive Philippe Chavanne:

“Un onirismo legato ai ricordi si fa più evidente nelle sue ultime opere. La memoria autobiografica invade il sogno. I fantasmi dei morti attraversano L'uomo con le valigie e Viaggi tra i morti , in quest'ultima pièce tutti i personaggi (26 in totale) riconosciuti o trasfigurati sono o membri della famiglia di Ionesco o suoi conoscenti.

Il padre, la madre, l'odiata matrigna, risorgono molto spesso dall'inconscio; rivivono attraverso i sogni e la creazione letteraria. I ricordi imprecisi si ricompongono nell'atmosfera brumosa della visione onirica. Lo sforzo della memoria s'accompagna a una disperazione discreta, come in questo brano tra il protagonista e la madre :

Jean : “ […] Qui dove siamo, siamo a Bucarest? Direi di sì.”

Madre : “Infatti siamo a Bucarest.”

Jean : “Mi sembra di riconoscere questa casa.”

Madre : “È l'appartamento della seconda moglie di tuo padre, la tua matrigna.”

Jean : “Ma tu, chi sei? Ti riconosco, mi sembra; mi pare di conoscerti da molto tempo. Ma chi sei tu esattamente?

Scrive Ionesco in Note e contronote :

“Un altro genere di teatro è ancora possibile. Più forte, più ricco. Un teatro non simbolista, ma simbolico; non allegorico, ma mitico; che abbia la sua sorgente nelle nostre angosce eterne; un teatro dove l'invisibile divenga visibile, dove l'idea si faccia immagine concreta, realtà e il problema prenda carne; in cui l'angoscia sia là, evidenza vivente, enorme; teatro che accecherebbe i sociologi, ma che farebbe pensare e vivere il saggio in quanto di lui non è ancora saggio; e l'uomo comune, di là dalla sua ignoranza.

Viaggi tra i morti è l'ultimo testo scritto da Ionesco. Più che un vero e proprio testo, si può considerare una serie di scene accostate che non compongono una vera trama, se non un filo conduttore di ricordi e sogni nei quali un figlio tenta di ritrovare la madre, vagando nel mondo delle ombre, come Ulisse, per trovare attraverso di lei la Madre Mitica, dispensatrice di vita e di morte.

Fu rappresentato per la prima volta il 22 settembre 1980 al Guggenheim Museum di New York per la regia di P. Berman. In Francia, Roger Planchon ne fece una elaborazione basandosi su L'uomo con le valigie e una raccolta di scene e monologhi autobiografici a cui Ionesco nel 1981 aveva dato il titolo di Viaggi tra i morti .

Dal commento di Michel Battaillon:

“Egli consegna dunque al teatro storie private, confessioni, contrizioni, sogni. Dopo questa prima pubblicazione, egli prosegue questa “memorizzazione”, questa “teatralizzazione” e le scene si accumulano, semplicemente giustapposte. Nessun filo le collega se non l'angoscia della dimenticanza, ossia della morte. Per la precisione sono variazioni su un tema unico: lo strappo familiare fra padre e madre, conflitto grave e grottesco che non si esaurisce e non termina mai.

In un'intervista in “Libération” con H. Gauville, Ionesco dichiara:

“[L'opera] racconta i miei sogni, i miei incubi, le mie ossessioni oniriche. Certe ossessioni che ritornano di notte, mentre dormo. Il conflitto con mio padre, con sua moglie, le miserie di gente meschina. […] Che mi piaccia o no, i personaggi che sogno hanno delle preoccupazioni di denaro. Soffrono per la povertà e anche a causa l'uno dell'altro. È una commedia familiare e realista, ma realista al contrario, per mezzo del sogno, il che rende i temi ancor più drammatici. In sogno ci si raccoglie e si prendono le distanze nei confronti di se stessi e degli altri, molto più che mediante gli artifici teatrali. I temi sono scelti da una sorta di coscienza inconscia, che li raduna e li porta in scena. […] Nelle mie precedenti commedie , mi servivo di un linguaggio ora disarticolato, ora costruito intorno ad immagini oniriche. Quando utilizzavo un'immagine onirica, come in La fame e la sete , essa s'inseriva in un linguaggio più o meno razionale. Adesso rendo irreale anche il linguaggio, che così offre la coerenza dell'incoerenza.” Alla domanda se riconosceva che la pièce avesse la struttura di un sogno, Ionesco risponde: “Sì, ad eccezione di una scena da incubo, quella del giudizio, dove sogno e realtà agiscono insieme.

Gisèle Feal scrive:

“In Viaggi tra i morti , Jean è alla ricerca di sua madre. Compie la sua ricerca attraverso i due rami della famiglia, incontrando, alternativamente dalla I alla VII scena, i membri del ramo materno e i membri del ramo paterno. Le prime due scene stabiliscono un contrasto topografico tra le famiglie.

Ritroviamo qui il tema del fango della casa umida che sprofonda sotto terra nell'ambiente che riguarda il ramo della famiglia materna. Dall'altra parte, nel ramo paterno, ritroviamo il tema della città radiosa di Assassinio senza movente, dove trionfa l'armonia e l'efficienza.

Ionesco si confessa senza pudore ed evoca parenti amici o avversari. Il padre ricopre una parte molto significativa. L'avvocato Ionescu aveva ottenuto un incarico importante al ministero della Polizia, e nonostante i numerosi cambiamenti di regime a cui la Romania fu soggetta, riuscì sempre a restare a galla, conservando il suo rango. Il drammaturgo non nasconde l'odio senza possibilità d'appello che prova per il padre al quale imputa l'opportunismo politico, di cui Ionesco non sarà mai capace, l'abbandono della famiglia, e il fatto di averlo diseredato e maltrattato.

La pièce che è costruita sulle ossessioni, gli incubi, i rimorsi, i ricordi, i rimpianti e il vissuto onirico che n'è derivato sembrerebbe essere semplicemente trascritta dall'autore, ma Jacquard ci avverte:

“Ma guardiamoci bene dal ritenere, ingenuamente, che tutti gli elementi ai quali Ionesco ricorre siamo di origine onirica. L'autore, e non il sognatore, partecipa attivamente al processo creativo. Ma poco importa. Secondo Freud, “i sogni inventati da uno scrittore possono essere soggetti alle stesse interpretazioni dei sogni reali, dunque […] nell'attività creativa del poeta, entrano in azione gli stessi meccanismi dell'inconscio che presiedono all'elaborazione del sogno e, quindi, dei sintomi. L'opera creata, l'opera sognata, nonostante la sua finalità pratica, partecipa al processo regolatore del funzionamento psichico. Si rifà alla vita, la esprime in immagini o in simboli e, momentaneamente, compensa i fallimenti, le paure e i rimorsi.

A questo proposito la scena del giudizio in cui il personaggio della madre (la Vecchia) si erge a giudice, si presta effettivamente a compensare i torti che, secondo Ionesco, la madre, sua sorella e lui hanno subito dal padre e dalla nuova famiglia che si era costruito:

Vecchia : (al padre) “Tu sei qui, allora?”

Padre : (alla vecchia) “Adesso ti credi più viva perché sei morta? No, tu non esisti più di prima, io non vi ho fatto nessun torto, non più di quanti se ne possano fare a chi si crede sempre vivo.”

Vecchia : Sì. Guarda, sono più viva di prima, perché da viva non avevo queste unghie che adesso ho, così lunghe, così acuminate. Sistematemi la poltrona, che sia il seggio del giudice, e il tavolo davanti, che sia il tavolo del tribunale, con un tappeto nero. Hai capito? [dice queste cose all'Amico] Vedi, vengono tutti, uno dopo l'altro, io sono il giudizio, sono il delegato dei giudici. Dio è giusto, ma anche feroce. Non lo sapevate che Dio è uomo che non perdona sempre.”

(l'Amico sistema il tavolo e trasforma la poltrona in una specie di trono.)

Amico : (alla vecchia) “Tutto ciò che si è fatto in terra non ha nessun valore, nessuna importanza, i più grandi crimini e le migliori azioni sono faccende che riguardano i vivi, ma tutto questo è nulla, assolutamente nulla, sia per l'altro mondo che per il mondo dell'altro mondo.”

Vecchia : “Se anche tu non ti consideri più vivo nella non-vita, perché hai paura di ciò che chiami anche tu le mie unghie, i miei artigli, i miei uncini? E tu figlio mio siediti alla mia destra, sii il mio assistente, e che i colpevoli entrino.

Per Ionesco, nei suoi ultimi anni, la vita era più sognata che reale: “L'esistenza è diventata un sogno ossessivo, continuo: “sembra vera”; sembra reale. Spesso si sogna pesantemente, prigionieri del proprio sogno… Quando qualcuno o qualcosa ci sveglia bruscamente, ci strappa a quel sogno.

Il sogno dell'esistenza universale, questo sogno di “me”, “di me e degli altri”, di cui non mi ricorderò più. “Che cosa ho sognato?”, “Chi ero?”, mi ripeto sovente svegliandomi con il ricordo confuso di cose appassionanti, “importanti” che fuggono già via benché io cerchi di afferrarle, che dileguano nella notte dell'oblio, per sempre - non lasciandomi che il rimpianto di non poterle ricordare.

Strappato d'un solo colpo dalla “realtà” a questo sogno – morirò: non ricorderò più questo teatro, questo mondo, i miei amori, mia madre, mia moglie, mia figlia. L'Io non si ricorderà. E l'io non sarà “io”.

Eppure tutto questo sarà stato. Nulla può impedire l'esistenza di essere esistita, di essere scritta in qualche luogo, o di essere la sostanza assimilata di tutte le trasformazioni future.

 

Philippe Chavanne, La Dramaturgie onirique d'Eugène Ionesco , Edilivre, Sant-Denis, 2015 pp. 45- 46. (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Il pedone dell'aria, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 34, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . pp. 85- 86.

Ibid . p. 43.

Ibid . p. 48.

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Ibid . p. 929- 930.

Eugène Ionesco, Teatro completo I, a cura di Emmanuel Jacquard, Vittime del dovere, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 248, (trad. di Anna Maria Levi).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, L'uomo con le valigie, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 931- 932, (trad. di Sandro Bajini).

Nel 1950 Ionesco ottenne la nazionalità francese.

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Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, L'uomo con le valigie, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino,p. 585, (trad. di Sandro Bajini).

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Philippe Chavanne, La Dramaturgie onirique d'Eugène Ionesco , Edilivre, Sant-Denis, 2015 pp. 71- 72, (trad. di Liliana Paganini).

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Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 1970,pp. 134- 135, (trad. di Gian Renzo e Jole Morteo).

Ibid . p. 125.

Ibid . p. 146.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, L'uomo con le valigie, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 593, (trad. di Sandro Bajini).

Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 1970, p. 164, (trad. di Gian Renzo e Jole Morteo).

Ibid . p. 137.

Ibid . p. 77.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, L'uomo con le valigie, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 655, (trad. di Sandro Bajini).

Philippe Chavanne, La Dramaturgie onirique d'Eugène Ionesco , Edilivre, Sant-Denis, 2015 pp. 61- 62, (trad. di Liliana Paganini).

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Ibid .pp. 954, 955.

Gisèle Féal, Ionesco un théâtre onirique, Editions Imago , Paris, 2001, p. 176. (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Viaggi tra i morti, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 960, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . p. 722.

Eugène Ionesco, Note e Contro Note, Torino, Giulio Einaudi editore 1965, p. 232, (trad. di Gian Renzo Morteo e Giovanni Moretti).

 

 

 

 

 

 

 

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Eugène Ionesco, Perché scrivo? Editore Il Club di Milano EPUB Eugène Ionesco

Conferenze in Italia Editore Spirali.

Eugène Ionesco, Orifiamma. Editore Il Club di Milano EPUB.

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Eugène Ionesco, Présent passé, passé present. Editore Idée Gallimard.

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Eugène Ionesco, Passato Presente, Briciole di diario, Rizzoli Editore, Milano, 1970, traduzione di Gian Renzo e Jole Morteo.

Eugène Ionesco, La quète intermittente . Edizioni Gallimard.

Eugène Ionesco, La foto del colonnello. Editore Spirali. Traduttore O. Miani.

Eugène Ionesco, Il bianco e il nero . Editore Spirali. Traduttore G. Sangalli.

Eugène Ionesco, Vita grottesca e tragica di Victor Hugo. Editore Spirali. Traduzione di Gian Renzo Morteo .

Eugène Ionesco, Maximilen Kolbe. Libretto d'opera in tre parti. Testo a fronte su musiche originali di Dominique Probst. Editore Guaraldi.

Eugène Ionesco, Etienne Delessert, Racconti 1, 2, 3, 4 . Editore Motta Junior.

Traduttore A. Conti.

Eugène Ionesco, Katharina Busshoff, Giosetta e il suo papà . Editore Il Castoro (collana Il Castoro bambini). Traduttore P. Floridi.