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Il proliferare della materia e il sogno nel teatro di Ionesco

di Liliana Paganini

II parte

Ne Il re muore , Bérenger I, il re, sogna del suo piccolo gatto rosso che entrava dentro il camino:

Bérenger : “Lo sognavo… Sognavo che era nel camino, coricato sulla brace. Marie si stupiva che non bruciasse; io rispondevo “i gatti non bruciano, sono incombustibili”. Poi è uscito dal camino miagolando, dal suo corpo si sprigionava un fumo denso, non era più lui, che metamorfosi! Era un altro gatto, brutto e grosso. Un'enorme gatta. Come sua madre, la gatta selvaggia. Rassomigliava a Marguerite.

La regina Marguerite è come il celebrante del Bardo Thödol (Il libro tibetano dei morti) che accompagna l'anima del defunto, lei accompagna il re nel suo difficile trapasso. La trasformazione in gatta è propria delle streghe, comunque di chi ha a che fare con il soprannaturale. Anche il personaggio di Roberte II in Jacques o la sottomissione , alla fine della pièce si trasforma in una gatta.

“Per Ionesco le parole proliferano, come gli uomini, come le uova, come i mobili, come ogni altro oggetto, al punto da costruire una massa compatta, una specie di “materia parlata” nella quale hanno perso il loro senso e finanche il loro suono. Quando nel “tutto è gatto, ogni cosa si chiamerà gatto”.

Jacques assicurava Roberte, che egli era in grado di “esprimere qualunque concetto in ventisette parole”. Roberte riteneva questo french-basic ancora troppo complicato.

E rispondeva a Jacques :

“Per indicare le cose, una sola parola: gatto . I gatti si chiamano: gatto, i cibi: gatto, gli insetti: gatto, le sedie: gatto; gatto: tu, gatto: io, gatto: il tetto, gatto: il numero uno, gatto: il numero due, gatto: il tre, gatto: il venti, gatto: il trenta, gatto: tutti gli avverbi, gatto: tutte le preposizioni…”

E Jacques , meravigliato, esclama: “È davvero facile parlare, non vale neanche più la pena… ””

In Jacques o la sottomissione , Ionesco racconta di aver utilizzato diversi sogni, uno in cui appariva uno stallone galoppante con la criniera in fiamme, e un altro già citato, nel quale ricorda un porcellino d'India e piccoli animali che si trovavano sul fondo di una vasca da bagno piena d'acqua.

D'altronde, Sinesio di Cirene, lo scrive nel suo Il libro dei sogni :

“Secondo l'antica filosofia, l'intelletto contiene le immagini delle cose che sono; noi potremmo aggiungere che l'anima ha in sé le immagini delle cose che divengono: dunque l'intelletto sta all'anima come l'essere sta al divenire (scambiando i termini l'intelletto starà all'essere e l'anima al divenire, e secondo i princìpi della scienza, l'operazione sarebbe vera anche invertendo i termini). Ecco dunque dimostrata la nostra ipotesi, cioè che l'anima contiene le immagini di ciò che diviene: essa ha in sé ogni cosa, e crea proiezioni di quelle più opportune e le riflette sull'immaginazione, come se fosse uno specchio.

Per Amedeo o come sbarazzarsene il punto di partenza è stato un sogno. Ionesco aveva sognato che un enorme corpo ingombrava il corridoio della sua casa. E la trama sarà: un cadavere, quello del seduttore di Maddalena, la moglie, ingombra la camera da letto dei coniugi e, proprio come un personaggio kafkiano, subisce una metamorfosi: gli crescono le unghie, gli occhi illuminano la stanza, e il corpo cresce secondo una progressione geometrica. In breve l'intero appartamento rischia di crollare, si rovescia come una barca. Amedeo decide allora, con il favore delle tenebre di portare fuori l'ingombrante cadavere, ma sopraggiunge la polizia e allora la barba del morto si gonfia come un paracadute-mongolfiera e trascina in volo il protagonista che così sfuggirà sia agli inseguitori che alla bisbetica moglie.

Da un sogno, più esattamente da un incubo, dalla visione di questo enorme corpo, nascerà, come l'albero dal suo seme, il corpo che, in mezzo ai funghi, cresce nell'appartamento di Amedeo e che si sviluppa occupando l'intero spazio. In occasione della prima rappresentazione londinese della commedia, Ionesco presenta la sua opera con queste parole:

“Questa commedia è un'opera semplice, infantile e quasi primitiva nella sua semplicità. […] se è possibile rimproverare a quest'opera la banalità, non si può certamente condannarla per la mancanza di verità. Così vedrete crescere in scena dei funghi, avendo la dimostrazione irrefutabile di quanto, tali funghi siano veri e normali. Certamente si dirà che non tutti immaginano la realtà nello stesso mio modo. Ci sarà senza dubbio chi penserà che la mia visione della realtà è di fatto irreale o surrealista. [Era proprio del movimento surrealista l'utilizzo dei sogni come carburante artistico] […] tutto ciò che cerco di fare è di assicurarvi della completa obbiettività del mio atteggiamento rispetto ai personaggi che vedrete ben presto parlare e muoversi sulla scena. In realtà nulla posso opporre a questi oggetti, immagini, avvenimenti, personaggi che provengono da me. Essi si comportano a loro piacere, mi dirigono, sarebbe infatti un errore per me dirigerli. Sono convinto di dar loro completa libertà e di non poter far nulla che non sia di obbedire ai loro desideri. Non stimo lo scrittore che toglie la libertà ai suoi personaggi, che li trasforma in personaggi falsi, nutriti d'idee preconcette. E che, se non rientrano nella sua personale ideologia politica, non scaturita da verità umane, ma semplicemente da un'ideologia pietrificata, li sfigura. La creazione non somiglia alla dittatura, neppure a una dittatura ideologica. È vita, libertà, può persino andare contro gli ideali correnti e rivoltarsi contro l'autore. L'autore non ha che un dovere, non intervenire, vivere e lasciar vivere, liberare i propri incubi, i propri fantasmi; i propri personaggi, il proprio universo, lasciarlo nascere, prendere forma, esistere.

Quel cadavere, Gisèle Féal nel suo Ionesco un théatre onirique, lo vede come un simbolo fallico o come rappresentazione ingombrante del padre morto, poiché il cadavere non smette di crescere e d'invecchiare, o, come terzo valore simbolico, come un grande feto, il bambino che la coppia, Amédée e Madeleine, non ha mai avuto.

Spiega Ionesco:

“Certamente in Amedeo o come sbarazzarsene , si parla di una coppia, ma per me la cosa essenziale della commedia, la chiave per scriverla è stato il corpo. Tutto il resto lo considero un'imbottitura, anche se ha un significato per se stesso. L'importante è il corpo, come trasgressione, come peccato originale. La crescita ininterrotta del corpo rappresenta il tempo. ” Ionesco aggiunge che, simbolicamente, la coppia raffigura un intero mondo. È l'uomo e la donna, Adamo ed Eva, le due metà dell'umanità che si amano, che si cercano, che si stancano e smettono di amarsi, che nonostante tutto non possono amare qualcun altro, che non possono vivere se non insieme. La coppia in Amedeo o come sbarazzarsene , non è solo un uomo e una donna, ma simbolicamente può rappresentare l'intera umanità, che divisa cerca di tornare insieme, per divenire una cosa sola, in questo si può rintracciare il pensiero filosofico di Platone. I personaggi, ci avverte Ionesco, sono per lui un tramite simbolico per raggiungere la verità, poiché essi sono più o meno “reali”, sono personaggi che potrebbero esistere, persone che potremmo incontrare nella vita di ogni giorno. Così i personaggi sono in grado di far risaltare ciò che è ordinario e di accentuare tutto ciò che non lo è, tutto quel che è inusuale, strano o simbolico. Ionesco dice di usare la parola simbolo, nel senso di una immagine che contenga un significato.

Quel cadavere, invece secondo Sénart, può simboleggiare l'amore, la colpa, il rimorso, in realtà il pensiero morto, il pensiero trasformato in materia:

“Non è forse una massa che cresce continuamente e di continuo aumenta il proprio peso? Non è forse un tumore canceroso i cui tentacoli cingono l'universo per soffocarlo, paralizzarlo, divorarlo?

Ionesco è assediato dalla proliferazione morbosa della materia.

Ma questa proliferazione non è anarchica. È una “progressione geometrica”: obbedisce alla sua legge, si compie in un determinato ordine. È un cancro abominevole, è insomma il prodotto del mondo del male e della morte, del mondo materiale, del mondo meccanico in cui nulla viene lasciato all'ispirazione dello spirito e ai capricci del caso, in cui tutto è regolato dalla volontà suprema di un demiurgo organizzatore e distruttore.

Per Ionesco il finale in una commedia è solo un espediente:

“Oggigiorno, non c'è alcuna ragione perché una commedia debba avere un finale. Bisognerebbe poterla fermare in qualsiasi punto, come se si tagliasse un nastro. Se un'opera artistica è una trasposizione della vita, ogni finale diventa un artificio. Anche se gli eroi muoiono, la “vita” continua…il teatro continua. Il finale smette di essere un artificio solo quando moriamo noi. È la morte che chiude una vita, una commedia, un'opera artistica. Altrimenti non c'è la fine. Cercare un finale è un modo per semplificare l'arte della drammaturgia, e io posso capire perché Molière non sapeva sempre quale sarebbe stato il finale della sue commedie. Noi abbiamo bisogno di un finale solo perché il pubblico deve tornare a casa per andare a dormire.

[…] La costruzione di una commedia, con un inizio e una fine, è artificiale. In realtà dovrebbe avere una costruzione di gran lunga più complessa, dovrebbe essere in grado di non avere una fine, o di non avere una costruzione, o almeno non questo tipo di costruzione, una trasposizione di eventi. Qualcosa dovrebbe essere lasciato aperto nella costruzione. È così nella vita reale. Perché dovrebbe essere differente per l'arte? Quel che voglio dire è che un'opera d'arte è un frammento di vita che noi percepiamo senza limiti nel tempo e nello spazio; ma questa vita scorre via e continua altrove.

Un altro caso di commedia nata da un'immagine onirica è Le sedie . I protagonisti sono una coppia di vecchi di 94 e 95 anni, che vivono segregati in un faro su di una isola, ci notare Emmanuel Jacquard, che possono essere associati a i protagonisti di Danza Macabra di Strindberg o a quelli di Finale di partita di Beckett . Separati dalla società, senza amici, in una condizione di totale isolamento, rimuginano i loro rimpianti, rivivono le medesime situazioni, fino al giorno in cui decidono di dare un loro messaggio al mondo. Invitano allora un universo di personaggi invisibili, che fanno sedere su sedie visibilissime e ai quali un oratore, quasi muto, trasmetterà il loro importantissimo messaggio, mentre il vecchio e la vecchia si suicideranno, gettandosi dalle due finestre del faro.

La genesi della commedia è un sogno in cui Ionesco vede l'immagine di una gran quantità di sedie accumulata in una stanza vuota, poi qualcuno che velocemente porta in scena altre sedie fino a saturare completamente il palcoscenico. Ionesco racconta:

“Così, io avevo un'immagine iniziale, ma non sapevo assolutamente cosa significasse. Poi, ho capito. L'ho capito un po' prima che i critici dicessero: “Questa pièce è la storia di due fallimenti. La vita dei protagonisti, e la vita in generale è un fallimento, un'assurdità. Questi due vecchi, che non sono mai riusciti a ottenere alcun successo nella loro vita, immaginano di ricevere degli ospiti, per loro, questi ospiti esistono, s'illudono che esistano, si persuadono di avere qualcosa da dire…” In altre parole, la pièce è stata spiegata dai critici e dagli spettatori. Ma non era questo l'argomento della commedia.

Era qualcosa di leggermente differente: erano le sedie in se stesse, e cosa vogliano dire le sedie, beh, io ancora cerco di capirlo, ma è come tentare d'interpretare i propri sogni. Mi sono detto: è questo, è l'assenza, è il vuoto, il niente. Le sedie restano vuote, perché non c'è nessuno lì. E alla fine il sipario cala accompagnato dai rumori della folla, mentre in scena rimangono solo le sedie vuote e le tende delle finestre che muove il vento, e non c'è niente. Il mondo non esiste realmente. Il soggetto della commedia era il niente, non il fallimento. Era l'assenza totale, sedie senza gente. Il mondo non esiste perché nel futuro non ci sarà più, tutto muore, si sa.

Ora, il pubblico e la critica hanno dato una spiegazione chiara, ragionevole, psicologica della commedia, ma quello che è in realtà, è un diverso livello di coscienza, una consapevolezza di temporaneità, di evanescenza.

Scrive Senart: “Il Vecchio di Le sedie s'immagina che la sua sala sia piena di gente. Ora, noi sappiamo che non c'è nessuno. E, pertanto, la scena sembra piena, non solo di sedie che crescono in numero e che, con la loro presenza materiale, sottolineano un'assenza spirituale, ma anche d'invitati. La massa “visibile” di quegli oggetti è equilibrata dalla folla “invisibile” degli uomini. Il tutto equivale al nulla, il vuoto al pieno. Quel mondo rimpinzato di materia, in definitiva è vuoto. Ci si deve dunque stupire quando si è capito che la Materia è un vuoto, che la Materia è il nulla?

Considera Senart che: “In effetti le cose, moltiplicandosi all'infinito, si fondono tuttavia in una massa in cui si annullano le loro qualità ma si accresce continuamente la quantità. E allora, ancorché queste non si possono più conteggiare, sarà pur sempre possibile calcolarne il peso. Ciò vale anche per gli uomini. I Catari credevano che il numero delle anime fosse fissato al tempo della creazione e non potesse più aumentare. Si deve allora concludere che gli uomini in soprannumero, nel tempo in cui ce ne sono veramente troppi, non abbiano un'anima, e che appartengano soltanto al mondo della materia?

È ovvio che dietro questa impostazione vi è una complessa riflessione che proviene dal Corpus Areopagitico che ha sempre accompagnato Ionesco e che muove la spola della tessitura dei riferimenti del suo teatro dalla filosofia orientale buddhista a Friedrich Nietzsche.

Fa notare Philippe Chavanne che:

“Il tempo, la sua nozione, non il tempo naturale, universale, ma il tempo umano, meccanico, è, in Ionesco, assoggettato, quasi legato all'anima e alla sua intima relazione con l'invecchiamento e con la morte. Lontana dall'essere vissuta come un dato oggettivo della coscienza, la morte è immediatamente associata a una forma d'evanescenza, di deterioramento, perché il sentimento di una felicità perduta o inaccessibile altera la sua percezione. […] Questa idea è espressa anche ne Il re muore . Il regno di Bérenger I va in rovina, le crepe del suo palazzo si allargano. In questa prospettiva, Ionesco non nega la soggettività che è insita nella percezione del tempo, che non cessa di modificarsi con l'età. Confida le sue riflessioni sulla relatività del tempo, in un passo di Viaggi tra i morti :

Jean : “A quel tempo vivevo appassionatamente: quel tempo era pieno, gonfio, ricco. Succedevano tante cose. Adesso, da anni, il tempo è vuoto, floscio, l'ora passa. Non riesco più a cogliere l'attimo fuggente. Il fiume scorreva lentamente, oggi è una cascata, gli attimi ci lambivano, indugiavano…

Ne sottolinea anche l'assurdità, associando la nozione umana del tempo a un fenomeno generazionale o culturale come lo dimostra un dialogo tratto da L'uomo con le valigie :

Primo uomo : […] Signorina, signorina! Io lei la conosco. Durante le vacanze, saranno… poche settimane, sarà un anno. Jacqueline, mi pare. Lei aveva diciotto anni.

Ragazza : “È vero. Ora ne ho venticinque.”

Primo uomo : “Già venticinque? Passa in fretta il tempo.”

Ragazza : “Passa in fretta il tempo. Non lo sapeva?”

Primo uomo : “Sì, certamente, chi non lo sa? Ma non così in fretta. No, questo no, non sapevo che passasse tanto in fretta. Mi aveva detto l'anno scorso di avere diciotto anni.”

Ragazza : “Ora ne ho ventisei. Per il momento.”

Primo uomo : “Fra poco mi raggiunge. Appartengo a una generazione in cui i minuti sono più lunghi. Al tempo di mio padre, i minuti erano più lunghi ancora. Ogni minuto durava due settimane. Due settimane di oggi […] ”

Ragazza : “ […] Ho fretta. Devo festeggiare il mio compleanno. Non posso mancarlo, altrimenti, se lascio passare l'ora, dovrò festeggiare i miei trent'anni. Ci vogliono più fiori. Costa di più.

Le stagioni si susseguono con una velocità che sfida ogni comprensione: “la primavera non dura che qualche ora, l'estate dura due giorni.”

In altri punti è la vertigine che accompagna l'accelerazione del tempo, che coincide con l'inesprimibile impressione che la continuità del tempo, nei sogni, non è quantificabile, com'è provato dall'attesa febbrile di Giovanni ne La fame e la sete :

Giovanni : “ […] Che ore sono?”

Primo guardiano : “Mezzogiorno.”

Giovanni : “Che ore sono?”

Secondo guardiano : “L'una.”

Giovanni : “Che ore sono?”

Primo guardiano : “Pomeriggio avanzato.

O ancora:

Primo guardiano : “La giornata passa. È passata.”

Secondo guardiano : “La settimana è passata.”

Primo guardiano : “La stagione è passata. Noi andiamo in vacanza.”

Giovanni : “La vita è passata! Ahimè! Ancora una volta, è troppo tardi.

Bérenger in Assassinio senza movente , ignora persino la sua età:

Bérenger : “Ah, è previsto tutto…sì, signore, ho trentacinque anni, forse sessanta, ottanta, centocinquanta, che ne so?

Durata e tempo diventano dati relativi, aleatori. La proliferazione è una delle forme metaforiche dell'accelerazione del tempo.

Considera Senart che infatti l'uomo nel mondo di Ionesco, non può fornire referenze ad un sistema qualsiasi.

Nella “realtà materiale” non beneficia di alcun privilegio. Non può neanche essere vittima d'onore, capro espiatorio. È un oggetto qualunque.

Come le sedie, come le uova, come le tazze, come i funghi, egli prolifera, e si moltiplica. […] Nel mondo dell'Abbondanza che noi intravediamo, ci sarà sovrapproduzione umana. Troppe uova! Troppe uova! L'Uomo che era stato gettato alla rinfusa sul mercato, tende a divenire merce spregevolissima. […] Costruito in serie, non ha più alcuna originalità: ormai è standardizzato . Così ne La cantatrice calva , tutti si chiamano Bobby Watson, e un terzo dei parigini, nell' Amédée o come sbarazzarsene , si chiama Amédée Buccinioni. È indubbio che fra i personaggi recanti lo stesso nome esista una rassomiglianza così perfetta da impedir loro di riconoscersi. Sempre ne La cantatrice calva il signor Martin non riconoscerà sua moglie nella signora Martin, se non quando avrà scoperto che essi abitano nella stessa città, nella stessa via, nella stessa casa, nello stesso appartamento e che, infine, dormono nello stesso letto. “Come è bizzarro tutto questo!” esclamano sia l'uno che l'altro. Questi personaggi, così identici, sono evidentemente intercambiabili. Non hanno bisogno di mascherarsi per rappresentare parti differenti. Nel finale de La cantatrice calva , il signore e la signora Martin prendono il posto del signore e della signora Smith, nelle loro poltrone inglesi, davanti allo stesso fuoco inglese, e la scena ricomincia come se niente fosse accaduto.

Infatti non succede mai niente. Lo constata Choubert leggendo il giornale, in Vittime del dovere :

“Non succede mai niente. Qualche cometa, un rivolgimento cosmico in un posto qualsiasi dell'universo. Qualche contravvenzione ai vicini di casa perché i loro cani fanno porcherie sul marciapiede..

Vittime del dovere è l'adattamento teatrale di un racconto scritto da Ionesco nel 1952 e inserito nella raccolta La foto del colonnello , che contiene peraltro altri racconti dai quali l'autore trarrà delle commedie ( La foto del colonnello che in teatro avrà il titolo di Assassinio senza movente, Il pedone nell'aria, Rinoceronte e Una vittima del dovere ).

In quel periodo Ionesco era in analisi da Ziegler, uno psicanalista zurighese di formazione junghiana, il quale attraverso l'ipnosi, lo guidava nella pratica dell'immaginazione onirica a occhi aperti. In queste sedute di sogni da sveglio, Ionesco doveva compiere un percorso immaginario e farne un resoconto preciso.

Nello stesso periodo, Mircea Eliade, grande antropologo e studioso delle religioni romeno, amico di Ionesco, gli aveva consigliato, per guarire dall'insonnia della quale soffriva in quel periodo, di praticare una tecnica di “reintegrazione spirituale” per ritrovare il sonno, che consisteva nell'immaginare di scalare una montagna per rimuovere gli ostacoli psicologici.

Il racconto è narrato in prima persona dal personaggio principale Choubert. La commedia vede Choubert ricevere la visita di un poliziotto che cerca un certo Malloud o Malloux. La moglie Maddalena, accoglie il visitatore con premura, mettendolo a suo agio al punto che, come il professore ne La lezione , questi da timido diventa spavaldo e arrogante e dopo aver sottoposto Choubert a un interrogatorio stringente affinché scavi nella sua memoria, lo obbliga a scalare una montagna altissima (in salotto) e, visto che Choubert non può fornirgli notizie di Malloud, lo obbliga anche a ingoiare delle durissime croste di pane per tappare i buchi della sua evidentemente difettosa memoria, che procurano non pochi dolori al poveretto. Poi pretende un caffè, Maddalena esce a prenderlo e non torna più. Arriva in scena invece un nuovo personaggio, Nicola, che pugnala il poliziotto, che cade, vittima del dovere.

Le esperienze psicanalitiche di Ionesco vengono trasposte in questo testo, nel quale il protagonista è costretto a scavare nel suo passato e a scalare un immaginario picco altissimo nel suo salotto, attraverso una ipnosi guidata, ma soprattutto obbligata.

Secondo Philippe Chavanne:

“In Vittime del dovere, il sogno prende una connotazione erotica. Choubert, sotto l'influenza del poliziotto e di sua moglie Maddalena, scende in sogno lentamente “per una rampa immaginaria”:

Il Poliziotto : “Non aver paura. Scendi, sbuca fuori, gira a destra, gira a sinistra.”

Maddalena : ( a Choubert) “Scendi, scendi, caro, tesoro, scendi bene…”

Il Poliziotto : “Scendi, destra, sinistra, destra, sinistra.”

( Choubert si lascia guidare dalle parole del poliziotto e prosegue con la sua andatura da sonnambulo)

Tanto che il personaggio scivola subdolamente da un sogno all'altro, attraverso un cambio di scena o un trucco scenico. In una didascalia è indicato:

“Chourbert sparisce per qualche istante nel buio e, dopo essersi allontanato in modo deciso, riappare, quando viene ridata la luce, dalla parte opposta del palcoscenico, con lo stesso effetto, spariscono gli altri due personaggi dalla scena.

Lo spettatore assiste a uno spettacolo nello spettacolo. Choubert sembra svegliarsi e grida: “Dove sono?” Dopo un po', quando lo spettatore si rende conto che è arrivato alle porte nell'inconscio, Choubert salta e affonda in un gran cestino per la carta straccia. La didascalia indica un brutale ritorno alla realtà, oppure un nuovo salto onirico? L'artificio scenico sembrerebbe, in questo caso, un poco oscuro. Il protagonista, come Jean nel Viaggio tra i morti , sembra avere padronanza del proprio sogno, fa apparire e sparire magicamente delle immagini, che come indicano le didascalie, dovranno materializzarsi grazie alle luci, sul fondale.

Ionesco scrive in Note e contronote , nell'articolo: Io e i miei critici , (nel quale lamenta l'incomprensione da parte del pubblico per i suoi testi), a proposito della versione teatrale:

“Credetti, allora, nonostante tutto, di poter trovare una soluzione che non si prestasse più a nessuna confusione: non scrivere una commedia, né un dramma, né una tragedia, ma semplicemente un testo lirico, qualcosa di “vissuto”; proiettai sulla scena i miei dubbi, le mie angosce profonde, li trasformai in dialogo: dando corpo alle mie contraddizioni: scrivendo con la più grande sincerità, mi strappai le viscere; scelsi il titolo: Vittime del dovere . Mi considerarono un impostore, un umorista da strapazzo.

Un altro testo fortemente influenzato dal sogno è Il pedone dell'aria , nato anch'esso da un precedente racconto pubblicato nella raccolta La foto del colonnello .

La commedia, datata estate 1962, è rappresentata per la prima volta nel dicembre dello stesso anno a Düsseldorf, in Germania. In Francia, all'Odeon di Parigi viene portata in scena nel Febbraio 1963 da Jean-Luis Barrault. Ionesco nella pubblicazione completa del suo teatro, la dedica proprio a quest'ultimo e a Madeleine Renaud.

L'azione è collocata in Inghilterra, nella placida contea di Gloucester, dove soggiorna lo scrittore Bérenger, (alter ego di Ionesco), che sta cercando di portare a termine la sua ultima opera. Sulla casa in cui Bérenger è intento a scrivere, cade una bomba sganciata da un aereo tedesco, (ancora in guerra, anche se siamo nel 1962), il protagonista ne esce indenne, davanti alla figlia e alla moglie di ritorno da Londra e a diversi personaggi inglesi che, Ionesco precisa, nella messa in scena, non dovranno avere alcun accento inglese.

A questo punto appare in scena un passante dell'anti-mondo, che offre spunto al protagonista di discutere sulla natura dell'anti-mondo e dell'universo. Poi, Bérenger si sente invaso da un'allegria indicibile, da una “certezza che lo inebria” e, prima si mette a correre all'impazzata, poi si alza in volo, su un ponte d'argento. Tornato a terra, riferisce alla famiglia di aver avuto una visione apocalittica: che dietro le porte del Paradiso si nasconde l'Inferno, dove cavallette gigantesche rodono il cranio degli uomini e arcangeli carcerieri li obbligano a fare autocritica e a imparare l'ottimismo sotto la minaccia di pugnali. Vorrebbero, la moglie e la figlia di Bérenger, cercare rifugio oltre l'Inferno, ma oltre c'è il nulla, ci sono solo gli “abissi illimitati.”

Commenta Jacquard:

“Il volo paradisiaco cui succede la visione apocalittica corrisponde a quel ribaltamento della psiche al quale Ionesco ci ha abituati. Come in Vittime del dovere , il protagonista passa dall'euforia alla depressione, le due condizioni fondamentali dello schema ciclotimico, alle quali l'autore afferma d'essere soggetto. […] Iniziatosi in un clima di felicità euforica simile a quella dei personaggi di Chagall, il volo di Bérenger, come quello di Icaro, termina in modo inquietante. Il sogno si trasforma in incubo.

A proposito di quest'opera, nella quale Ionesco va oltre il teatro, si spinge verso il funambolismo e le atmosfere del circo, l'autore dichiarò di aver utilizzato uno dei suoi sogni, quello di spiccare il volo.

“All'origine di questo racconto ci sono, da un lato un sogno, sogno di liberazione, di potenza e, dall'altro una critica, una satira, una descrizione realistica della vita da incubo nei regimi totalitari, una profezia di sventura. I critici parigini, ad eccezione di alcuni, non hanno capito niente di questa storia che tuttavia è molto semplice. I critici della “intellighenzia” non hanno voluto capire. Sono partito da un sogno e allo stesso tempo da un pensiero cosciente. Il sogno è il signore che si alza in volo. La parte cosciente, è ciò che egli vede grazie al suo volo. E che cosa vede? Semplicemente quello che accade nella metà dell'universo, e che l'altra metà, per accecamento, per indifferenza, per partito preso, non vuole vedere: decine di milioni di persone vilipese; il terrore regnante, la tirannia, il potere divenuto folle, insomma la piccola apocalisse quotidiana, abituale, gli uomini che leccano il culo agli idoli e altre cosette catastrofico-divertenti. Ma quello che lei vuole sapere, penso, è come il racconto sia diventato una commedia. So il perché, ma non ricordo molto bene il come. So il perché, visto che mi sono semplicemente detto: “ Il pedone dell'aria non è teatro, e poiché è il contrario del teatro cerchiamo di farlo diventare teatro”. Anche il contrario del teatro può diventare teatro. Era una scommessa. C'era già stata la meraviglia, lo stupore davanti all'esistenza: partendo da questa condizione spirituale, mi proponevo di far qualcosa di teatrale con il non teatrale, come ne La Cantatrice calva . Fare teatro con Il pedone nell'aria , con un ometto che spicca il volo, con le storie che racconta la gente che passa di lì, invece di disporre di conflitti semplici e attuali. Ecco quel che mi ha tentato.

Jacquard, nel suo commento, pone l'attenzione sul simbolismo dell'opera collegato alla spiritualità, che riprende e sviluppa la duplice immagine già utilizzata in Vittime del dovere : l'ascensione e la caduta.

“Cronologicamente, il primo elemento d'ispirazione mistica si traduce sulla scena in un'apparizione luminosa. Bérenger, Josephine e Martha e gli spettatori vedono una “colonna rosa”, un “albero” e un “cespuglio” che a parecchie riprese appaiono e scompaiono. Il senso di questi simboli - che sfuggì al pubblico e alla critica – deriva da credenze antiche, radicate profondamente nelle mitologie, nelle religioni e nel folklore, come Mircea Eliade spiega a proposito di un esule romeno, conosciuto e apprezzato da Eugène Ionesco: “È significativo che Brancusi abbia ritrovato nella Colonna senza fine , un motivo folklorico romeno, la “Colonna del cielo” ( columna cerului ), che è il prolungamento di un tema mitologico già testimoniato nella preistoria, e che inoltre è diffuso in tutto il mondo.” […]

La spiritualità dispone di un potere che entusiasma Bérenger: “Non sono mai stato così felice”, “Sono inebriato di certezza” E, in quel momento, sorge: “un ponte d'argento, radioso di luce al di sopra dell'abisso di cui collega le due rive. Simile a una navata a forma d'arca, aereo, sembra sospeso, altissimo, sopra il fiume, scavalcando le cime luminose.”

L'arca, con le sue connotazioni bibliche simbolizza l'alleanza stabilita tra l'uomo e Dio, lo sposalizio del cielo e della terra, la manifestazione della divinità.

Ma la simbologia spirituale la ritroviamo anche nel crollo del tetto della casa di Bérenger e nel suo prendere il volo, in una nota del commento di Jacquard, leggiamo:

“Nell'opera intitolata Briser le toit de la maison (Gallimard, Paris, 1986), Mircea Eliade sottolinea il fatto che nel pensiero indiano “l'esperienza mistica fondamentale, cioè il superamento della condizione umana, viene espressa con una doppia immagine: la rottura del tetto e il volo in aria.

Scrive a proposito, Philippe Chavanne:

“L'onirismo di Ionesco è una ricostruzione caleidoscopica. Si compone d'immagini sfuggenti dell'infanzia, di brandelli di ricordi, di numerosi frammenti di sogni, e di briciole d'esperienze vissute. Si tratta di un continuo alternarsi di reale e d'irreale. Con quale grado di sincerità Ionesco trascrive questi frammenti di sogni? E in che misura sono deformati i ricordi? Quanta parte di reale vissuto è inserita nelle sue pièces? Queste domande cruciali meriterebbero di essere approfondite. […]

All'inizio l'autore si mostra desideroso di creare un universo onirico. La scenografia, come indicato specificatamente nella prima didascalia de Il pedone dell'aria , “deve creare un ambiente di sogno”. Ionesco consiglia che possa essere resa anche attraverso la pittura.

La didascalia iniziale si può definire perentoria circa le indicazioni date dal drammaturgo:

“Sulla sinistra, una piccola casa di campagna, in stile inglese: un cottage che ricorda un poco il doganiere Rousseau, oppure Utrillo, o eventualmente Chagall, a seconda delle preferenze dello scenografo. Questa villetta, come d'altronde tutta la scena, deve formare un ambiente di sogno. Tale onirismo deve però essere ottenuto più con i mezzi di un artista primitivo, falsamente maldestro, che non con quelli di un artista surrealista o scaltrito nelle tecniche dell'Opéra o dello Châtelet.

Philippe Chavanne ci ricorda che il teatro di Ionesco non è centrato sulla Natura, nei suoi testi non appare come un leitmotiv, ciò non toglie, che in talune pièces, assuma un ruolo importante. Ricordiamo come la sua esperienza al mulino della Chapelle Anthenaise, nella Mayenne, sia stata sempre rimpianta dal drammaturgo:

In più punti nelle sue creazioni evoca paesaggi, spazi aperti che liberano sia lo sguardo, che l'inconscio.Dipinto sul fondale o attraverso le parole dei personaggi si compone un singolare paesaggio onirico fatto di montagne, colline, sentieri, prati, pianure, deserti, laghi, mari, giardini.

Questo paesaggio scenografico oltre che statico, come il decoro sul fondale, si può anche muovere, trasformare.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Il re muore, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 153, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Nella traduzione italiana, Morteo usa la parola “Cor” perché si presta meglio alle moine che i due protagonisti si scambiano.

Philippe Senart, Eugène Ionesco , Borla Editore Torino 1965, p. 96, (trad. di Domenico Tarella).

Sinesio di Cirene, Il libro dei sogni, Archinto RCS Libri S.p.A. Milano, 2010, p. 42, a cura di Nicola Montenz.

Eugène Ionesco , Note e contronote, giulio Einaudi Editore s.p.a. Torino, 1965, pp. 188- 189, (trad. di Gian Renzo Morteo e Giovanni Moretti).

Gisèle Féal, Ionesco un théâtre onirique, Editions Imago , Paris, 2001, p. 26. (trad. di Liliana Paganini).

Claude Bonnefoy, Conversations with Eugène Ionesco , Faber&Faber, London 1970, p. 83. (trad. di Liliana Paganini).

Claude Bonnefoy, Conversations with Eugène Ionesco , Faber&Faber, London 1970, p. 82, (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo, a cura di Emmanuel Jacquard, Jacques o la sottomissione, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 772, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Claude Bonnefoy, Conversations with Eugène Ionesco , Faber&Faber, Londra 1970, p. 72, 73. (trad. di Liliana Paganini).

Philippe Senart, Eugène Ionesco , Borla Editore Torino 1965, p. 98, (trad. di Domenico Tarella).

Ibid . p. 90.

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Viaggi tra i morti, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 712, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, L'uomo con le valigie, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, pp. 616- 617, (trad. di Sandro Bajini).

Eugène Ionesco, Teatro completo, a cura di Emmanuel Jacquard, La fame e la sete, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 199, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . p. 202.

Eugène Ionesco, Teatro completo I, a cura di Emmanuel Jacquard Assassinio senza movente , Edizioni Einaudi-Gallimard, Torino 1993, p. 481, (trad. di Valentino Musso).

Philippe Chavanne, La Drammaturgie onirique d'Eugène Ionesco, Edilivre, Saint Denis, 2015,

pp. 75- 76- 77, (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo I, a cura di Emmanuel Jacquard, Jacques o la sottomissione, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 772, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . Vittime del dovere , p. 221, (trad. di Anna Maria Levi).

Traduzione di Liliana Paganini, perché nella traduzione del testo dell'Einaudi a p. 225 non risulta chiara l'indicazione di regia data dall'autore: “Oscurità. Luce. Choubert attraversa la scena da un capo all'altro. Gli altri due personaggi sono spariti.”

Philippe Chavanne, La Dramaturgie onirique d'Eugène Ionesco , Edilivre, Sant-Denis, 2015 pp. 47, 48. (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco , Note e contronote, giulio Einaudi Editore s.p.a. Torino, 1965, p. 82, (trad. di

Gian Renzo Morteo e Giovanni Moretti).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Il pedone dell'aria, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 824, (trad. di Gian Renzo Morteo).

Ibid . p. 820, 821.

Ibid . pp. 828, 829.

Ibid . p. 833.

Philippe Chavanne, La Dramaturgie onirique d'Eugène Ionesco , Edilivre, Sant-Denis, 2015 pp. 45, 46. (trad. di Liliana Paganini).

Eugène Ionesco, Teatro completo II, a cura di Emmanuel Jacquard, Il pedone dell'aria, Biblioteca della Pléiade, Einaudi-Gallimard, 1993, Torino, p. 33, (trad. di Gian Renzo Morteo).