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Macbeth, metafora del tempo presente.

Dalle Orestiadi con l'adattamento marionettistico dei Fratelli Napoli della tragedia scespiriana alle versioni cinematografiche, una durissima e ipnotica requisitoria sul tempo presente che ha dietro l'angolo la tragedia.

di Paolo Ruffini

Non so più distinguere ciò a cui si devono dedicare
pensieri da ciò a cui dedicarli: è una deplorevole
perdita di tempo e di concentrazione.

Javier Marías

 

Qualcuno ricorderà il film di Akira Kurosawa Trono di Sangue (o meglio, Il castello della ragnatela dall'originale Kumonosu-jo ), ispirato al Macbeth di Shakespeare e che legge la frattura esorbitata di un Giappone in ricostruzione lanciato verso una tragica modernità senza mito né memoria negli anni subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Uno dei tanti testamenti di Kurosawa nel cercare di riportare l'attenzione sui crucci che lo hanno ossessionato e lo ossessioneranno per molto tempo ancora, concentrandosi cioè sulla abiura che quella modernità post bellica rappresentava per il suo Paese, una abiura a tutto ciò che la tradizione e il carico di storie e di modelli rappresentavano mostrando le infezioni, il tradimento individuale e collettivo di una società rispetto alla propria storia attraverso gli occhi di Shakespeare. Come altre opere del maestro, Trono di Sangue è un capolavoro assoluto, e qui assumono il carattere di archetipo nella cultura giapponese le figure di Macbeth e della sua Lady in quella certa marcescenza morale e voracità del potere; la scrittura elisabettiana diventa uno sfondo nel quale ridisegnare una tragedia universale calandola nei tratti iconici del teatro No, e la morte che regna sovrana sin dall'inizio, incombente e testimone dichiaratamente, si offre come soluzione anche troppo umana al di là delle debolezze o degli eroismi che i personaggi hanno l' obbligo di asservire. A quella attesa snervante dell'accadere del destino, riproposto poi nelle parole «Sembra che pioverà stanotte», «Lascia che piova». Per certi versi, Trono di Sangue ha molto in comune con un'altra opera, questa volta teatrale e di questi tempi, che adotta strategicamente un rovesciamento prospettico nel raccontare gli episodi salienti del Macbeth e si fa forza di diversi immaginari nel riannodare i segni della tragedia, comprendendo in quei segni i trascorsi teatrali e le intuizioni cinematografiche al fine di reinventare una ulteriore superficie cinetica servendosi dell'opera dei pupi di tradizione catanese. Con La tragedia di Macbeth della Compagnia Marionettistica dei Fratelli Napoli di Catania, il festival Orestiadi ha presentato a Gibellina un piccolo capolavoro di genere, una sorta di fuori programma avvezzo alla grande tradizione siciliana di reinventare le storie della letteratura nelle nobili articolazioni fonetiche dei pupi, veri primi attori di una narrazione nella narrazione accanto ai loro pupari che in carne e ossa si dichiarano sul palcoscenico, partecipando e immolandosi come i protagonisti di un'opera di Bunraku giapponese. Il film di Kurosawa quanto il tratto essenziale dei pupi siciliani mostra quell'afflato esistenziale a osservare la vita da un punto che abbisogna sempre di essere riempito di significato.

 


 

Shakespeare secondo i codici teatrali dell' Opera catanese comporta una precisa attenzione ai passaggi drammaturgici. Così per La tragedia di Macbeth si configura un accadere degli avvenimenti esterni come compressi in un ‘accadere orale' dove soltanto l'incontro di Macbeth con le streghe ha un rilievo importante, altrimenti buona parte degli assassinii e delle malefatte, il turpe inganno e le angosce di una fine imminente della coppia infernale hanno lo spazio d'azione di uno straordinario teatro da camera con tanto di ‘parratrici' e ‘parratori', ‘conduttori' e ‘manianti' . In più, lo spettacolo dei fratelli Napoli opta per un aggiuntivo spostamento di senso, ovvero quello di debordare nelle atmosfere translucide del tardo gotico che vanno a collimare nella parafrasi visiva della Chanson de Roland con tanto di armature e piumaggi, seppure una ‘sfrontatezza' tutta sinfonica imbelletti questo Macbeth e consorte come sanguigni eroi protoromantici per via di arie musicali fin troppo vicine al moderno. Il ritorno all'ordine, d'altronde, a l'agognata giustizia, apparecchia un finale auspicato e in linea con l'anima profonda nell'opera dei pupi. Lo dichiarano gli stessi fratelli Napoli, molti sono i caratteri dei personaggi scespiriani che sembrano ‘assorbiti', ‘imbevuti' di pratica teatrale dell' Opera di tradizione: solo per fare un esempio, «Macduff, l'uccisore del tiranno, ci appare come un nobile paladino della giustizia che fa trionfare il bene sul male».

 

È un gesto importante quello che compie il direttore del festival Claudio Collovà, tentare cioè di spostare sempre oltre le aspettative del pubblico rivelando l'attitudine di questo festival con ‘elementare' processualità ricognitiva, orientata alla ricerca più virulenta ma allo stesso tempo volta a recuperare pezzi di storia siciliana e del nostro Paese della cultura scenica, quasi a indicare una strada di un presente che non può prescindere dal passato, un oggi che non può reggersi che sulle spalle della tradizione. Lo spettacolo, come si diceva, è ‘compresso', cioè trattenuto in un lungo unico tempo che la maestria della compagnia riesce a srotolare toccando i nodi narrativi della storia di Macbeth; cambiano repentinamente le scene, i quadri che si susseguono hanno il fiato rocambolesco di piani sequenza, i pupi scompaiono mentre sembrano materializzarsi personaggi veri e propri, una irradiazione fantasmatica, che ci fanno dimenticare la marionetta agìta dall'uomo in quella indole sincopata e geometrica, di cui saranno debitori l'enfasi post futurista di Franco Franchi e il surreale metalinguaggio di Totò.

 

E non è un caso che nel passato anno scespiriano diversi sono stati i contributi al Bardo dedicati, in particolare la figura di Macbeth ha goduto di un certo interesse cinematografico. Da poco nelle sale italiane un film durissimo, una irriverente e attuale opera prima di un regista proveniente dal teatro, un Lady Macbeth dark scivolato dentro un Ottocento inglese rurale e anfetaminico. Ancora una volta Shakespeare è uno sfondo, un panneggio pittorico nel quale ricamare delle intenzioni e far esplode emozioni, come nell'opera dei pupi la violenza è a portata di mano e i dialoghi si fanno serrati, ma nulla è scontato nei rapporti di forza tra personaggi. I quali sorprendo prima di tutto loro stessi, sono ‘vittime' di una istintività irrefrenabile, sanno prodigarsi in violenti plot che modificano l'asse binario sul quale avevamo pensato potesse muoversi la storia. Lady Macbeth come la omologa dell'Opera siciliana è scaltra, da vittima si trasforma in carnefice, ingenua e perversa al contempo non reprime la vita sebbene questa la soffochi.

 


 

La giovane Katherine è obbligata da un matrimonio di convenienza in una magione di campagna da un marito assente e violento, come lo è d'altronde il suocero che la vuole lì per riprodurre la genìa in estinzione. Abbandonata alle consuetudini di un trascorrere del tempo sempre uguale, noioso e privato anche delle piccole libertà quotidiane (poter uscire e passeggiare, parlare con qualcuno), Katherine approfitta di una lunga assenza di entrambi per ‘scendere' fra i lavoratori al servizio della famiglia e iniziare una relazione sessualmente avvolgente (e decisamente compromettente) con uno stalliere. Ispirato ad un racconto del russo Nikolaj Leskov, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk , il film di William Oldroyd immortala con il taglio riflettente e conturbante della pittura fiamminga le scene di interni, le quali si susseguono con un respiro materico e ricco di percezioni olfattive ed epidermiche scontornando gli animi dei protagonisti nella loro spietatezza esistenziale. Se la Lady dei pupi è sì risoluta ma anche si ‘guarda' nel loop delirante delle sue mani insanguinate (uno dei tanti refrain che il testo di Shakespeare ci offre), la Katherine non rivela mai i suoi dubbi insensibile com'è al senso di colpa, anzi rimanda al quel Uncuore così bianco (ripreso in uno dei suoi tanti titoli da Javier Marías) di brughiere e paesaggi campestri desolati che hanno il ritorno, il sentore di un altro film relativamente recente e che vede come mattatore Michael Fassbender , questa volta depotenziato e scarnificato della sua bellezza .

 

Il carattere estetico del film fa da sponda a un senso di ineluttabile astrazione dalla realtà . Così scrive Stefano Lo Verme su movieplayer.it a proposito di Macbeth di cui è protagonista assoluto Fassbender: «L'ossessione per il potere che si tramuta in sete di distruzione e in un selvaggio cupio dissolvi : è questa la cifra del Macbeth di Justin Kurzel, trasposizione vibrante e modernissima proprio per l'intima coerenza fra la poetica del regista e lo stile fiammeggiante del film. Il Castello di Macbeth (la vera location è Bamburgh Castle, nel Northumberland), che troneggia nelle nebbiose lande scozzesi, è assimilabile a un ‘luogo dell'anima', un imponente monumento alla solitudine del nuovo sovrano. La foresta di Birnam, che nel finale ‘avanza'contro Macbeth, è un'immensa distesa di rami infuocati: la figura umana si è dissolta definitivamente, mentre al cospetto di Macbeth si spalanca un inferno di fuoco e di sangue. E nell'epilogo, durante il duello conclusivo fra Macbeth e la sua nemesi Macduff ( Sean Harris ), i filtri rossi della fotografia di Adam Arkapaw suggellano il carattere quasi metafisico di un'opera arditamente visionaria».

Macbeth, dunque, che la Storia consegna all'eloquio del sangue è forse una metafore di questo tempo, nel vedere nemici ovunque, ricercando soccorso fuori da sé e tramando per non soccombere. È il caos dell'ultra moderno, dell'umanità affidata al dis -ordine, è la sfida al tempo.

 

 

La Tragedia di Macbeth

riduzione e adattamento per pupi e pupari catanesi, per voci recitanti e improvvise apparizioni

di Alessandro e Fiorenzo Napoli

con Fiorenzo Napoli, Agnese Torrisi, Davide Napoli, Dario Napoli, Marco Napoli, Salvatore Napoli, Giuseppe Napoli, Alessandro Napoli, Tiziana Giletto Scaragnino, Giacomo Anastasi, Salvatore Costa.

Gibellina, Orestiadi, 16 luglio 2017