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Isola e sogna : la testimonianza di “una musicista di strada”

Conversazione con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi


di Letizia Bernazza

 

Seguo ormai da un po' il percorso artistico di Fiorenza Menni e di Andrea Mochi Sismondi. Nutro nei confronti delle loro creazioni un sincero rispetto per l'afflato poetico che riescono a far trapelare dalle pieghe dei loro lavori. Opere segnate sempre da una ricerca raffinata e sensibile in grado di contaminare la scrittura scenica e tutti i suoi elementi che concorrono a valorizzare l'atto teatrale, le sue differenti materialità e linguaggi. La sua specificità, insomma.

Ho visto Isola e sogna all'Angelo Mai di Roma. Un luogo per me speciale, a cui sono autenticamente legata, perché riconosco essere uno spazio dove ancora mi riconosco, dove vado volentieri, dove percepisco un ancestrale senso dell'accoglienza, del confronto, della condivisione.

Ho voluto scriverne volutamente qualche mese dopo averlo visto. E volutamente ho voluto seguire dentro di me le impronte e i semi lasciati da questo lavoro. Credo che occorra lasciar depositare, ogni tanto, quanto ci viene offerto e provare a fare del Teatro un'esperienza di Vita. Le parole pronunciate, urlate, sussurrate; la musica vibrante; i gesti e le voci dei due attori mi hanno stimolato a fare un viaggio tutto mio all'interno di Isola e sogna . E, soprattutto, a riservargli la stessa cura e dedizione che nel costruirlo vi hanno messo Fiorenza e Andrea. Certo, alla base c'è una problematica forte: quella dell'immigrazione, di un'isola divenuta il crogiolo-simbolo degli sbarchi dei migranti nel Mediterraneo, della non-volontà delle politiche europee di costruire una politica seria dell'accoglienza. Eppure, tutta questa immensa grande preoccupazione ha generato in me non soltanto una condivisione razionale nei confronti di un tema cogente che andrebbe urgentemente affrontato, ma soprattutto una ossequiosa-solidale vicinanza emotiva nei confronti di esseri umani, e dico esseri umani, proprio grazie a quanto ha fatto emergere il lavoro di Fiorenza e di Andrea. Mi hanno fatto tremare le parole, incarnate dai due attori, di Giusi Nicolini, delle voci contrapposte degli isolani, delle riflessioni che emergono sulle contrapposizioni “geopolitiche storicamente connesse ai colonialismi”. E ancor più la voce innocente di una bambina (la bravissima Giorgia) che all'inizio di Isola e sogna chiama in causa alcuni degli spettatori, inventandone le fisionomie e i caratteri, a partire dalle sue suggestioni-vere di bambina. Io ho avuto la fortuna di essere intercettata: ai suoi occhi ero una musicista di strada, arrivata con le ali all'Angelo Mai. Conservo le sue parole e il suo ritratto. Chissà quanti migranti avrebbero voluto avere le ali per arrivare a Lampedusa e quanti saranno stati dei musicisti.

 

Dalle prove di Isola e sogna

 

Ma ora la conversazione con Fiorenza e Andrea.

 

Il vostro Isola e sogna , a mio avviso, ha dell'incredibile: riesce ad esprimere al contempo l'incanto e il fascino che ai viaggiatori lascia nell'animo Lampedusa e l'oggettiva difficoltà in cui versa questa “terra di confine”. <<Un luogo per eccellenza ibrido>>, per citare le parole di Antonino Cusumano (Confini e frontiere a Lampedusa , Sellerio Editore), <<dunque, una realtà liminare, uno spazio  simbolico e cruciale del nostro tempo, delle contraddizioni e virtualità della nostra contemporaneità>>.  Quale il percorso, immagino non facile, per intrecciare armonicamente i due piani nella tessitura di quello che avete voi stessi definito un “report in forma di concerto”?

La forma concerto discende dal tipo di relazione che desideriamo instaurare con il pubblico, da quella prima scelta viene determinata la struttura, la costruzione attraverso la quale le parole vengono selezionate, montate, interpretate e condivise. In questo caso abbiamo scelto il concerto per la sua forma permeabile, aperta, per il suo alto potenziale di estroversione nel dialogo con il pubblico. Un desiderio di apertura che abbiamo sentito fin dai primi giorni passati sull'isola di Lampedusa, quando la dialettica tra “la voce di Giusi” e “le voci su Giusi” ha iniziato a delineare intorno a noi una complessità che non immaginavamo. Uno spazio del discorso che ha permesso alla figura scenica di Giusi Nicolini di assumere quella tridimensionalità, quei chiaroscuri, che nel lavoro ne impediscono la risoluzione definitoria.

Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, è la figura centrale intorno alla quale costruite il vostro “intervento artistico”. Come è avvenuto l'incontro con il primo cittadino donna dell'Isola?

I nostri lavori partono sempre da uno spostamento, dall'andarsi a posizionare in un altro luogo – in questo caso Lampedusa – per accogliere l'inaspettato. La scelta di partire è nata dalla profonda attrazione per una figura che ha giocato un ruolo centrale nel cambiamento del linguaggio sugli sbarchi. Migrazione, accoglienza, responsabilità sono parole che hanno iniziato a caratterizzare il racconto di Lampedusa al mondo, sostituendo all'arrivo di Giusi le precedenti: clandestini, invasione, emergenza. Proprio questa centralità dell'elemento linguistico è anche il bersaglio delle più feroci critiche rivolte alla Nicolini, i cui discorsi vengono accusati dai sui detrattori di sostituire azioni più dirompenti e interventi di critica più radicale alla gestione del fenomeno migratorio. Che sia stata una donna ad intervenire così incisivamente in questo spostamento linguistico è doppiamente interessante.

In Isola e sogna alla “voce” di Giusi Nicolini si alternano e si sovrappongono quelle degli abitanti di Lampedusa. In che modo le loro testimonianze e i loro pensieri si sono stratificati tra le maglie del vostro lavoro creativo?

Sotto lo strato argomentativo, ovvero lo scontro di visioni sulla questione migratoria, nello spettacolo si agita una questione di fondo: ovvero, come gestire una posizione di potere cercando di non esserne trasformati. Come portare avanti “la ricerca della comodità in una poltrona scomoda”, per usare il titolo di quello straordinario articolo di Bruno Munari del 1944 che è alla base del lavoro fisico che portiamo su palco. I cittadini di Lampedusa in questo frame rappresentano l'elemento più importante: stiamo parlando di una comunità di poche migliaia di anime, che attraverso le loro voci tratteggiano un paesaggio estremamente affascinante, un'isola in cui tutti si conoscono e in cui l'identità di ognuno si alimenta della percezione dei propri vicini. In questo paesaggio emerge – in primo piano – la figura di Giusi Nicolini, capace grazie al proprio carisma di incarnare con nettezza e lucidità tutte le contraddizioni che il ruolo del decisore assume in sé.

“Tutto lascia pensare che Lampedusa sia un braciere acceso”, dichiarate nel programma di sala. Partecipando a Isola e sogna , ho avuto la nitida percezione della possibilità che il braciere possa trasformarsi in un “grande incendio”, indomabile per le sue conseguenze politiche e sociali. Un sentore derivato dalla vostra capacità di far trapelare, attraverso la ricerca musicale e il lavoro attoriale, la tensione esistente tra il discriminare e l'integrare. Confermate sia questo il conflitto alla base del vostro lavoro?

La forma concerto ha la capacità di mantenere viva quella tensione tra la retorica dell'accoglienza e la retorica securitaria che, nell'approccio istituzionale, rappresentano due facce di una stessa medaglia e che invece nel percorso drammaturgico di Isola e sogna portiamo a separarsi e battere tra loro. Non c'è più pace – ormai – per organismi che con una mano colpiscono e con l'altra curano, l'incendio è già scoppiato.

Isola e sogna : isolarsi, vuol dire in qualche modo “rimanere separato”, “tagliarsi fuori” da alcuni contesti. Sognare, al contrario, significa che qualcosa può accadere. Cosa potrebbe accadere secondo voi nel contesto di Lampedusa oggi?

Nella primavera del 2017 Lampedusa tornerà al voto; contro la probabile ricandidatura della Nicolini è già scesa in campo la vicesindaco precedente, lampedusana e leghista, che dieci anni fa propose l'annessione di Lampedusa alla Provincia di Bergamo. Quest'isola meravigliosa, più a sud di Tunisi e Algeri e più vicina all'Africa che all'Italia, continuerà a produrre significato, ormai non più tagliata fuori dallo sguardo, ma anzi illuminata al centro della ribalta (seppur sola) a testimoniare attraverso quello che vi accade ciò che l'Europa sta diventando. Per quanto riguarda il sogno… piuttosto che isolarsi la questione è quella di stringersi e accogliere.

 

Isola e sogna

di e con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi

musiche di Vittoria Burattini (percussioni) e Mauro Sommavilla (elettronica, chitarra)

cura del suono Vincenzo Scorza

direzione tecnica Giovanni Brunetto

amministrazione e organizzazione Elisa Marchese

progettualità e comunicazione Tihana Maravic

in collaborazione con Cassero lgbt center