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Incontriamo Giuseppe Manfridi


di Giorgio Taffon

 

Ai primi di novembre al teatro Lo Spazio di Roma, per una settimana, è stato riproposto da Giuseppe Manfridi uno dei suoi testi più belli e “fortunati”, Ti amo, Maria! , ma va aggiunta la specificazione (In jazz) : Ti amo, Maria! (In jazz) , dunque. Coadiuvato sulla scena da Nelly Jensen (Maria), Marcello Micci (narratore-commentatore) e Francesco Cacace al sax, e lui stesso nei panni di Sandro, Manfridi ha dato un gran saggio di sapienza scenica creando un montaggio che punta diretto a una concezione “totale” dello spettacolo teatrale. Azione scenica, partitura musicale, data dagli interventi del sassofono, partecipazione del pubblico nel post spettacolo, con letture di poeti della beat generation , proiezione di un appassionante e coinvolgente bioptic dedicato a Gregory Corso Bomb! Burning Fantasy , regista Matteo Scarfò, attori, tra gli altri, Nick Mancuso ed Elisabetta Pozzi, hanno tutti concorso a creare sera per sera un originale e “nuovo” tipo di evento. Dunque una serata, nelle intenzioni realizzate dall'autore, dalle atmosfere underground , che ha riportato alla memoria altre serate di 40 anni fa, che, chi era già adulto in quel tempo, visse nelle cosiddette “cantine” romane; ma anche spettacolo dalle atmosfere dei locali nordamericani, dove la musica jazz contrassegna un ritmo, che è anche ritmo di vita, sincopato e “in levare”. Non c'è dubbio che ancora una volta Manfridi si è rivelato vero gran drammaturgo, oltre che autore e attore, dotato di rara cultura teatrale artistica e letteraria.

Incontro Giuseppe Manfridi che generosamente mi ha offerto tempo e attenzione:

Ho vissuto lo spettacolo al Teatro Lo Spazio come “evento” teatrale, con una sua dimensione anche all 'i mpromptu coinvolgente gli spettatori, appena finita l ' azione scenica. Tu che sei reduce da uno spettacolo in un teatro, l ' Eliseo di Roma, per così dire “maggioritario”, attribuisci una diversit à di valore alle due forme, o esperienze?

Sì, e in particolare per relazione al luogo. Lì l ' Eliseo, qui Lo Spazio, vale a dire una dimensione molto prossima a quella dei “campi di battaglia” che frequentavo negli anni Settanta, a Roma, quando ho cominciato a fare teatro. Lo Spazio ha coordinate e atmosfere completamente altre da quelle di una sala classica, sia pure di grande suggestione. Insomma, ho voluto approfittare di questa collocazione della mia commedia, difatti corredata dell ' indicazione tra parentesi: (In jazz) e che ho visto allestita molte volte secondo le regole, per dare senso alla sua anima scorretta, smarginata, per l ' appunto jazz. Underground, insomma; e del vero underground ho inteso fare, anche coniugando lo spettacolo a reading dedicati alla beat generation e a un bellissimo film di Matteo Scarfò, Bomb! Burnig Fantasy , sulla vita del poeta Gregory Corso. In quest ' avventura ho trovato dei complici ideali in Nelly Jensen, una Maria (il personaggio da lei interpretato) che mi regalava ogni sera squarci di brusca e tenera verit à , nel mio misterioso e coinvolgente alter ego Marcello Micci, a cui debbo l ' origine di questa operazione, e nel magnifico sax di Pierfrancesco Cacace. Le scene, giustamente definite da Paolo Leone “fantascientifiche e moderne”, le ha realizzate Antonella Rebecchini. Ma fammi aggiungere che ricordo con grande nostalgia il primo, superbo allestimento di questo mio testo, un allestimento voluto con forza da Massimo Chiesa, che lo produsse con la regia di Marco Sciaccaluga e con due interpreti strepitosi: Carlo Delle Piane, per cui il copione è stato scritto, e Anna Bonaiuto.

Non pensi che il valore del teatro oramai sia delegato ad enclaves particolari, ad esperienze sperimentali (quasi un ritorno per quanto riguarda Roma, alle “ cantine” ), ad artisti a se stanti che si costruiscono un loro pubblico: insomma pensi che il teatro sostanzialmente debba\possa fare a meno dello “spettacolo”, dei grandi teatri, di un pubblico eterogeneo?

In parte ho risposto con quanto detto in precedenza. Il “sotterraneo” non è l ' unico modo, ma è “un altro” modo. Il teatro deve senza dubbio vivere anche nella convenzione, ma continua a sentirsi la necessit à di istanze marginali in cui fomentare eresie vitalizzanti. La crisi economica che stiamo patendo è una realt à a cui i teatranti sono assuefatti da sempre. Le “cantine” di cui parli, perciò, non dovrebbero essere solo rifugi, ma laboratori che riesca no, almeno entro certi limiti, a insistere su indagini altrimenti vietate, o comunque rese impossibili dalla mancanza di risorse economiche non appena ci spostiamo a livelli “più qualificati”. Importante è vivere questi spazi nella loro essenza, e non farne, piuttosto, occasione per mettere su spettacoli, e spettacolini, con pochi soldi.

Vedendoti recitare gi à da tempo ho visto in te una grande profondit à di campo, data a mio parere dalle quadruplici nature che incarni sulla scena: la tua persona reale, il tuo essere attore, il personaggio, l ' essere autore della scrittura verbale di quanto viene agito sulla scena. Nel lavorare su Ti amo, Maria (In jazz) , pensi che sia stato un problema, o una soluzione, coordinare tali nature?

Un problema, ma un bel problema. Un problema quasi auspicato. Senza dire che ogni buon problema contiene in sé la propria soluzione. Mi è molto piaciuto, e commosso, interpretare un personaggio scritto a trent ' anni per un attore di sessanta. Ora ad averne sessanta sono io, e ho recitato in un ruolo che ho scritto quando ero giovane. Ci ho pensato sempre a questo: durante le prove, e poi durante le repliche. Comunque, recitare mi piace in assoluto. Se ho fatto teatro per decenni praticando altre funzioni espressive – la scrittura, innanzitutto - in fondo è stato per non sopprimere il sogno di poter essere io un giorno a salire su un palcoscenico a dire parole mie, ma non solo le mie.

Pensi che Sandro e Maria, i personaggi protagonisti, siano il frutto di una tua stagione drammaturgica, o, nel loro rapportarsi che rasenta lo stalking, non facciano altro che proporci e mostrarci l ' eterno incontro-scontro, o dissidio, o conflitto, fra uomo e donna, fra persona e persona, con le loro dinamiche portate a trafugare, plagiare, annullare l ' interiorit à e la psiche l ' uno dell ' altro?

Il plagio è il filo rosso che attraversa tutta la mia attivit à di scrittore. Sicché, è in particolare da questo punto di vista che vorrei ancora oggi venisse letto il copione. Certo, negli anni un certo tipo di comportamento, come quello di Sandro, è stato stigmatizzato anche linguisticamente (penso, ripetendoti, a termini come “ stalker, stalking”, ecc…), e questo finisce con l ' imporre giocoforza una lettura aggiornata della storia. A ben vedere, però, la persecuzione amorosa che lui impone a lei esula da contesti di cronaca troppo ravvicinati. Sì, direi che siamo piuttosto di fronte a un confronto forte tra sessi e tra differenti maniere di concepire un ménage. E qui mi piace citare Rodolfo Di Giammarco che, molti anni fa, in occasione della prima messa in scena di Ti amo, Maria! , scrisse che, per certi versi, quello tra Sandro e Maria è l ' incontro “tra una misantropia vegetativa (quella di lei) e una misantropia nomade (quella di lui)”.

Credi che oggi la scrittura letteraria (teatro, narrativa, poesia) debba essere più sfogo psichico onde permettere un ' identificazione con la vicenda scritta da parte del lettore e\o spettatore? O piuttosto credi in una scrittura che sia testimonianza civile, o etica, o politica? E, infine, credi in una scrittura che, alla Artaud, ri-crei, re-inventi per magia poetica la vita, il reale, il nostro mondo?

Una domanda così stratosferica pretende una risposta “monstre”, oppure deve piegarsi ad accettarne una scheletrica, quasi aforistica, ma niente vie di mezzo. Ti evito la risposta “monstre”. Non credo sia giusto ritenere un dato approccio alla scrittura, e alla Letteratura in generale, come migliore di un altro possibile. Aforisticamente, appunto, dico: non criterio, ma carattere; vale a dire che a dettare legge deve essere l ' inclinazione personale, il tratto distintivo del talento posseduto. Rifondare il mondo attraverso il teatro è un ' utopia, ma che Shakespeare non trovava blasfema. Dunque, vale la pena immaginarla. E farla immaginare allo spettatore per tramite di immedesimazioni suggerite. Dunque, in sintesi, debbo convenire che credo vere tutte le opzione suggerite dalla tua domanda. E anche altre.

 

foto di Elio Leonardo Carchidi

 

foto di Elio Leonardo Carchidi