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Giudizio critico su

Il villaggio sommerso. L’ultima notte di Antonin Artaud
di Franco Celenza

Disamina dell'opera a cura della redazione di Liminateatri, nell'ambito della collaborazione tra la Rivista e il Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea

Nota critica di Letizia Bernazza

Il dramma è ambientato interamente nella notte del 3 marzo del 1944 che segna gli ultimi istanti di vita del grande poeta, attore e drammaturgo francese Antonin Artaud. Prima del suicidio, il protagonista si trova nella sua stanza da letto-studio dell’ospedale psichiatrico di Ivry-sur-Seine in compagnia di tanti pensieri e ricordi, che via via diventano dramatis personae in grado di materializzarsi di fronte ai suoi occhi e di parlare con lui. Il pretesto è un grande album fotografico (ma anche carte e libri), dal quale emergono le figure fondamentali della sua esistenza: la madre Euphrasie Nalpas; il suo psichiatra alla clinica di Rodez, Gaston Ferdière; la sua amata Genica Athanasiou; la veggente Madame Sacco; la segretaria Luciane Abiet e l’amica, nonché sua prima biografa, Paule Thevenin. Mentre, soltanto evocati, sono la nonna materna dell’artista (Nenè), il padre (Antoine Marie Artaud) e Sourìs, la piccola topolina che l’artista tiene gelosamente nella tasca della sua vestaglia.
Franco Celenza imbastisce un impianto drammaturgico dove il qui e ora ben definito in cui si svolge la storia si apre all’indefinito agire dei suoi protagonisti “rievocati”, che dialogano serratamente con il personaggio principale. Si crea, così, una duplice struttura temporale: presente e passato si intrecciano armoniosamente fino a restituire la complessa dualità della natura di Antonin Artaud. Un uomo costantemente scisso tra mente e corpo, vita e morte. La vita concessa dai suoi genitori diventa, infatti, progressivamente morte in un’esistenza segnata dalla privazione di affetto e di amore. Mancanze indelebili causate principalmente da un padre assente e burbero che conducono Artaud a proiettarsi gradatamente verso la fine di sé. Nel testo, la stessa suddivisione in quadri (l’imbrunire – la notte – l’alba) prepara formalmente l’epilogo finale del suicidio dell’artista. Unico atto concreto in un dramma costruito interamente intorno alla rappresentazione soggettiva di Artaud che capiamo essere tappe del lungo e sofferto “cammino di un Io” in un Mondo divenutogli estraneo e popolato soltanto di “presenze” con le quali si può istituire una dialogo interiore, ma non un rapporto interpersonale reale.