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Riflessioni a botta calda su Sorella con fratello al Teatro dei Conciatori di Roma

di Giorgio Taffon

Ho visto iersera, venerdi 18 dicembre, la messa in scena del testo di Alberto Bassetti, uno dei nostri migliori drammaturghi, al teatro dei Conciatori di Roma, per la regia di Alessandro Machia, e l'interpretazione di Alessandra Fallucchi e Alessandro Averone.

Quello di Bassetti è un testo coraggioso, difficile, e importante. Coraggioso per le tematiche espresse, a partire da quella dell'incesto, centrale in tutta la storia del teatro occidentale; difficile per come sono concatenate le azioni aristoteliche (il testo è fitto di dialoghi con un lungo monologo centrale del protagonista); importante perché si confronta con la crisi del genere tragico tipica del Novecento. Va detto subito che non è facile portare in scena un testo del genere, occorre molta esperienze scenica e una sensibilità a certe tipologie drammatiche: più sotto scriverò su tale aspetto. Ora mi preme esprimere alcune considerazioni sui personaggi, i conflitti e la vicenda creati da Bassetti.

Non vi è dubbio che già dal titolo sono i ruoli familiari e loro connessioni esistenziali a connotare i personaggi, appunto come funzioni della fratellanza nell'ambito di una famiglia: al termine dell'intreccio drammaturgico si verificherà che la sorella, Lea, vuol creare una propria vita indipendentemente dalla condizione della sorellanza. Viceversa il fratello, Leo, avvocato professionalmente preparato, è risucchiato dal desiderio di un legame sessuale, e quindi incestuoso, con quella sorella, che però ha ormai distanziato i propri valori interiori dall'unica, tragica, evenienza che l'ha portata a consumare il rapporto con Leo.

Di fatto, l'azione drammatica, che si svolge in una specie di sala prove musicale di un carcere psichiatrico, data la passione per la musica di Lea, che Leo ha voluto condividere pur di stare con lei, è una resa dei conti fra i due: Lea che ha finito di scontare la pena di quel fatto tragico condiviso col fratello, vuol ricostruirsi, avendo intuito che vi sono dimensioni spirituali assolute che possono farle ridar senso al vivere; Leo, invece, pensa che la vicenda si chiuda lì, con la pena ormai scontata, e con l'unica consapevolezza di aver regolato i conti con la legge, con le regole della società: ora sente che potrebbe convivere per sempre con l'amata sorella: quel rapporto è il principium individuationis su cui continuare la sua vita.

Oltre ad essere la loro una resa dei conti, è anche una ricostruzione dei fatti, un'analisi di quanto accaduto, un confrontarsi duro, urticante, decisivo, anche fisicamente violento: secondo Lea il percorso espiatorio non è ancora finito, manca ancora qualcos'altro…

I dialoghi portano avanti la narrazione dei fatti passati, dell'atto tragico compiuto, riavvolgendo man mano lo scorrere di lunghi dieci anni, per arrivare al presente: naturalmente secondo le due diversificate ottiche dei due fratelli, seppur con opportuni passaggi ambigui, fino allo scioglimento finale.

Il rapporto fra i due si fa confronto anche fra due visioni del mondo, della società, della vita personale: una, quella di Leo, è tutta volta alla individualizzazione dell'etica e dei rapporti giuridici e sociali; quella della sorella Lea è volta invece alla ricerca di una dimensione assoluta, vuoi estetica, come valore appunto assoluto della creazione artistica, vuoi come intuizione di quella dimensione interiore e spirituale che la società e il pensiero specie occidentali, postindustriali e postmoderni hanno quasi spento, a partire dalla nietzchiana “morte di Dio”. Ma, se esiste un valore assoluto, esso si pone come limite che l'uomo non può superare, se non vivendo quella tragica hybris come condanna assoluta, appunto. Drammaturgicamente può essere un nuovo giustificato ritorno al genere tragico, evitando la borghesizzazione delle vicende, secondo le intuizioni, ad esempio, di Szondi

La messa in scena, pur svolgendosi con grande intensità ed essenziale semplicità, secondo le regole aristoteliche delle tre unità volute dal testo, mi è sembrata a volte non del tutto risolta: mi chiedo, ad esempio, cosa volesse significare il crocifisso appeso su in alto, verso il soffitto: la domanda la pongo anche a quei lettori che spingo comunque ad andare ad assistere allo spettacolo; altro passaggio che mi ha lasciato perplesso è la conduzione del lungo monologo recitato da Alessandro Averone, attore ancor giovane e molto stimato nell'ambiente teatrale italiano: avrebbe giovato, a mio parere, l'inserimento del monologo in un'azione fisica che l'avrebbe meglio sostenuto; infine, registro qualche passaggio a vuoto, con abbassamento della tensione drammatica, da parte di Alessandra Fallucchi, che, in quanto libera da finalità epico-diegetiche, potrebbe darsi e dare un ritmo-tempo più incisivo.

In realtà il mio discorso dovrebbe allargarsi in generale all'attuale condizione della drammaturgia italiana, per nulla aiutata da un sistema teatrale che scivola sempre più in basso, nonostante leggi leggine e circolari che non fanno altro che premiare ciò che è maggioritario, ciò che può fare innanzi tutto “mercato”, alla faccia della qualità, della ricerca di nuovi linguaggi scritturali ed espressivi, e di nuovi potenziali artisti autori e pubblici che rischiamo di perdere per sempre.

 

Sorella con fratello

di Alberto Bassetti

regia Alessandro Machia

con Alessandra Fallucchi, Alessandro Averone

costumi Sara Bianchi

luci Paolo Macioci

produzione Il Carro dell'Orsa in collaborazione con Zerkalo

Teatro dei Conciatori, Roma, fino al 20 dicembre 2015