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Ragazzi di vita

di Letizia Bernazza



foto di Achille Lepera

 

Il 13 aprile del 1955, Pier Paolo Pasolini spedì all'editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita , romanzo che verrà pubblicato lo stesso anno. Senza entrare nel ginepraio degli attacchi rivolti all'opera dalla critica e dalla magistratura di Milano di allora (tuttavia molto importanti per comprendere il carattere di grande innovazione del testo), quello che interessa in questa sede è avviare alcune riflessioni sul rapporto tra il componimento narrativo dell'intellettuale italiano più rappresentativo del XX secolo e lo spettacolo, dal titolo omonimo, presentato al Teatro Argentina di Roma con la regia di Massimo Popolizio e con la drammaturgia di Emanuele Trevi.
Questo non perché l'opera di partenza debba essere necessariamente il punto di vista adottato nella messinscena. Ma perché fare riferimento a Pasolini e alla sua scrittura non può evitare di far sorgere analogie e parallelismi.
Cosa comunica la creazione di Popolizio-Trevi rispetto a quell'acre ritratto dell'ambiente sociale delle borgate romane, popolate da una plebe ‘miserabile', restituito da Pasolini con un ardito processo di sperimentazione linguistica (l'‘impasto' tra l'italiano e il dialetto romanesco) e definito da lui stesso <<un'operazione regressiva e mimetica>>, atta a cogliere un Mondo, psicologico e culturale, distante da quello colto dello scrittore?
Di sicuro, la dimensione corale di un'umanità da cui trasuda lo squallore delle periferie, l'odore della sporcizia, le atmosfere di estati roventi in grado di ridestare gli ‘appetiti bestiali' di adolescenti dei rioni suburbani che conducono un'esistenza randagia e provvisoria.

 


foto di Achille Lepera


Diciannove attori - in uno spazio pressoché vuoto, eppure ‘riempito' dall''efficacia simbolica' delle scene di Marco Rossi – raccontano il loro ‘essere presenti-non-presenti' in un contesto socio-culturale avvolto dal degrado dove mancano i punti di riferimento fondamentali (la famiglia, la scuola e i luoghi più elementari di aggregazione) e dove sembra essere la noia a fare da padrona. Dimensione corale scandita dal procedere per quadri (come i capitoli che costituiscono il romanzo), intervallati da un Narratore (un energico e persuasivo Lino Guanciale) che brechtianamente veste i panni di Pasolini e, al contempo, interpreta le ‘scelte' registiche e drammaturgiche. Ci sono gli episodi che riferiscono del Riccetto, di Agnolo, del Begalone, di Alvaro, del Caciotta, dello Spudorato, di Amerigo, di Genesio, del Froscio. Bravi tutti gli attori, orchestrati e ben diretti da Popolizio. Spiccano, tuttavia, Lorenzo Grilli (Riccetto), Josafat  Vagni (Agnolo) , Alberto  Onofrietti (Genesio o Er Fusajaro) , Giampiero  Cicciò (Froscio).
Quando alla prima scena i ‘ragazzi di vita' fanno il loro ingresso in mutandoni bianchi (un plauso va anche ai costumi di Gianluca Sbicca), è impossibile non rimanere colpiti da quell'insieme di interpreti che ‘invadono' il palcoscenico. Con grande efficacia, si espongono, si offrono a noi spettatori, mettendo a nudo le loro esistenze, divenute estremamente ‘precarie' dopo il Secondo Conflitto Mondiale. Nello spettacolo, i singoli personaggi cercano di istituire un legame con l'ambiente in cui vivono che poi corrisponde - per citare le parole di Alessandro Leogrande - al desiderio profondo di Pasolini di <<… narrare Roma, la sua grazia e il suo sfacelo, la sua gente e il suo brulicare>>. Un ‘brulicare' che per lo scrittore di origine bolognese, è – continua Leogrande - <<… la Roma dei sottoproletari esclusi dalla Storia>>.

 


foto di Achille Lepera


Ad esprimere il desiderio pulsante dei protagonisti di riappropriarsi della loro città (nella quale scorrazzano senza sosta non disdegnando furti e rapine) sono soprattutto le azioni fisiche di grande energia degli attori e i dialoghi - dal ritmo incalzante - manifestazione dello schietto ‘vitalismo della borgata' che verrà via via condizionato dalla cinica indifferenza della classe borghese. Ne è la prova l'evolversi del personaggio e della natura morale del Riccetto: il giovane rischia la vita per salvare una rondine che sta annegando nel Tevere. Per aiutare l'animale, Riccetto si getta dalla barca e con amorevole cura lo mette al riparo da qualsiasi altro pericolo. Alla fine dello spettacolo, e del romanzo, invece, non farà altrettanto per strappare alle acque dell'Aniene l'amico Genesio. Il Riccetto ha ormai perduto lo slancio di spontanea umanità, consegnatagli da quella vita di borgata ancora in grado di trasmettere l'intimo significato della pietà e del rispetto.
Accanto alla coralità, il lavoro di Popolizio-Trevi restituisce un altro aspetto peculiare del testo di Pasolini: l'impiego loquace della lingua romanesca. <<Quella singolare invenzione verbale, di gusto espressionista e non neorealistico>> - si legge nelle note della messinscena - <<che Pasolini stesso definiva una lingua inventata, artificiale>>. Un idioma di eccezionale efficacia comunicativa e di intensa liricità che è l'estrinsecazione diretta del tentativo continuo dell'autore <<di trovare un punto di equilibrio, esistenziale prima ancora che intellettuale>>, nota ancora Leogrande, <<con la nuova lingua letteraria da consegnare ai ‘Ragazzi di vita'>>.

 


foto di Achille Lepera


Nella creazione di Popolizio-Trevi, gli attori, nell'essere personaggi-emblemi di differenti realtà (Ostia, il quartiere romano di Donna Olimpia, del Tibutino, del Prenestino, della Maranella, di Villa Borghese, di San Giovanni), ne interpretano gli umori e i nuovi cambiamenti. Ho trovato, tuttavia, un po' forzate le risate strappate al pubblico dal furto sul tram, ad esempio, o gli applausi fragorosi sollecitati dall'esagerato indulgere sui brani di Claudio Villa.
Detto questo, viene da chiedersi: cosa è cambiato oggi nelle borgate romane? Cosa sono diventati i quartieri periferici della nostra capitale? E i giovani che le abitano godono di un'inclusione comunitaria maggiore di allora? O non sono, forse, ancora esclusi dalla politica e dalla storia del nostro presente, frantumato dall'incertezza economica e dalla pressoché totale assenza di politiche sociali atte a favorire processi relazionali sul territorio?

 


foto di Achille Lepera

 

Ragazzi di vita
di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia  Massimo Popolizio
con Lino Guanciale e Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò
Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli
Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti
Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Silvia Pernarella
Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga
Josafat Vagni, Andrea Volpetti
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
canto Francesca della Monica
video Luca Brinchi e Daniele Spanò
assistente alla regia Giacomo Bisordi

Teatro Argentina, Roma, fino al 7 gennaio 2018 (in tournée)