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La poesia della vita: Leonardo Capuano in Elettrocardiogramma

di Letizia Bernazza

Assistendo allo spettacolo Elettrocardiogramma di Leonardo Capuano, nella mia mente si sono sovrapposte le parole di Kathe Koja e quelle di Victor Hugo. << Il palcoscenico non è solo un mondo a parte, è una miriade di mondi, ed è in quei mondi che un uomo può avere tutto quello che immagina, se solo lui crede in ciò che vede.>>, scrive la scrittrice statunitense; << il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco>>, annota il poeta francese.

Il perché queste frasi abbiano risuonato dentro di me con una forza prepotente, credo di averlo chiaro: ho partecipato a un lavoro serio e ben costruito dove Leonardo Capuano è capace di intraprendere uno straordinario percorso attoriale che accompagna lo spettatore ad attraversare universi, deliranti e onirici, eppure così saldi nella struttura drammaturgica da richiamare la complessità della vita. Il gioco teatrale si insinua, infatti, nelle radici del reale fino ad evidenziarne l'intricato e multiforme tessuto, svelando ed evocando non un solo mondo, bensì mondi differenti che si sovrappongono tra loro. Allo spettatore è concesso di fare il proprio viaggio, di scegliere la propria direzione tra i tanti frammenti di storie raccontate: un amore complicato, fragili relazioni familiari, vicende di ordinaria solitudine. Non è però difficile percepire quanto sia l'attore a guidarci: Leonardo Capuano è un interprete con rare qualità espressive che trasmettono un'energia travolgente, la stessa di cui si nutre il suo corpo, la sua impeccabile gestualità, la sua complessa vocalità. Quest'ultima, in particolare, è contrassegnata dall'inizio alla fine da una costante balbuzie, che segna il tempo e il ritmo di una comunicazione intermittente in sintonia con la ricercata discontinuità delle storie narrate. Allo spettatore arriva l'essenza e la fatica del lavoro fatto da Capuano, il suo profondo desiderio di “offrirsi”, corpo e anima, all'altro da sé (lo spettatore, appunto), ed è questo il valore aggiunto che genera fiducia, che predispone con autenticità ad accogliere lo sviluppo della messinscena.

Quando si entra nella sala gremita del Teatro Argot di Roma, Leonardo Capuano è già lì. Si fa trovare disponibile a ricevere il pubblico. Il buio che avvolge lo spazio scenico non impedisce di farci percepire i tratti della sua ieratica presenza. È seduto vicino a un tavolo bianco ed è vestito da donna. O meglio, indossa un abito femminile a maniche corte blu, che stride con i mocassini neri e i calzini corti tipicamente maschili. È spiazzante, certo, ma quasi non ce ne accorgiamo perché veniamo subito catapultati nel magmatico svolgimento delle storie. L'attore canta, balla, suda, beve di tanto in tanto un po' d'acqua, ma soprattutto cerca con il suo sguardo magnetico quello degli spettatori senza lasciare loro tregua. Il suo complesso repertorio di gesti e di movimenti, in molti momenti simili a dei veri e propri tic nervosi, avvince e affascina anche in virtù della poesia e del sano umorismo con i quali è in grado di condire ciò che racconta. Alla fine, non interessa tanto capire quale sarà la risposta di quel fantomatico elettrocardiogramma che la madre del protagonista dovrà avere; né se i quattro fratelli riusciranno a spararsi l'un l'altro, avendo la certezza reciproca di morire; o ancora se l'uomo in cerca di “equilibrio” troverà in qualche parte del mondo un farmaco che saprà garantirgli la tanto agognata stabilità. Quello che importa è, forse, recuperare la poesia della vita, inseguita dall'attore per l'intera durata dello spettacolo ed espressa dalla tragica vis umoristica che scompone il reale per metterne a nudo menzogne e falsità. Sconnessione e disorganicità sono allora elementi necessari di una forma grottescamente eterogenea per condurre lo spettatore a prendere con le mani “i respiri della vita” e “a braccetto” il sole.

 

Elettrocardiogramma

di e con Leonardo Capuano

assistente alla regia Elena Piscitelli

luci Corrado Mura

produzione 369 gradi- Armunia

Teatro Argot, Roma, fino al 1° febbraio

Teatro Vespasiano, Rieti, 3 febbraio

Mat MusicarTeatro, Viterbo, 4 febbraio

 

@foto Lucia Baldini