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Play Strindberg

di Maria Francesca Stancapiano

 

 

Il Teatro Eliseo ci ha regalato un capolavoro, un diamante grezzo che sa brillare da ogni suo lato. Sto parlando di Play Strindberg, opera scritta nel 1969 da Dürrenmatt e geniale riadattamento di Danza macabra del drammaturgo svedese August Strindberg.

Lo scrittore svizzero, voce caustica del Novecento e protagonista indiscusso del rinnovamento del teatro di lingua tedesca, utilizza alla perfezione l'arma del grottesco per smascherare i fallimenti e le ipocrisie della società perbenista del proprio tempo. Una società di facciata ben identificata in quell'inferno domestico dove i personaggi strindberghiani si attaccano a vicenda fino a sfidarsi in un gioco al massacro.

La messinscena, firmata da Franco Però (con le scene di Antonio Fiorentino), ha il pregio di restituire agli spettatori, come afferma lo stesso regista, <<… gli angoli più nascosti di quel nucleo, amato ed odiato, fondamentale – almeno fino ad oggi – delle nostre società: la famiglia>>. Non a caso, lo spazio dentro al quale si scontrano l'ex Capitano di artiglieria Edgar (Franco Castellano), sua moglie Alice (Maria Paiato) e il cugino-amante Kurt (Maurizio Donadoni) è un ring, minaccioso e ostile. In undici serratissimi round, intervallati dal suono dei gong, i coniugi danno vita a un vero e proprio combattimento “verbale” fatto di rimproveri, accuse, critiche reciproche che vengono costantemente soltanto evocate. Moglie e marito (una coppia ormai alla deriva) inveiscono l'una contro l'altro senza mai sfiorarsi e occupando ciascuno un posto diverso del ring. I due attori si muovono velocemente. Il ritmo delle loro battute è serrato, anche se di tanto in tanto la tensione si allenta e agli spettatori viene concessa una ‘sana leggerezza', restituita catarticamente da risate deflagranti. A contribuire, poi, alla ‘demolizione' della coppia, sarà la presenza di Kurt, ospite tanto indesiderato dall'ex militare di casa, quanto apprezzato da sua moglie. La presenza del cugino ricorda, in alcune sfaccettature, il dramma Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee uscito qualche anno prima, nel 1962. Anche in questo caso i protagonisti della pièce sono vittime della solitudine. Agiscono all'interno di una casa in rovina e si nutrono di un odio inspiegabile, tanto che alla domanda, più volte ripetuta da Kurt ad Alice, del perché di così tanto astio, lei un motivo vero non lo sa dare e afferma:<<Forse perché siamo sposati!>>. Il loro matrimonio dura da venticinque anni. Eppure non è mai stato riempito da una gioia e dal conforto della condivisione. Rimarrà, infatti, una vuota ‘carriola di letame'. Una grande Maria Paiato conduce lo spettatore a penetrare la natura del personaggio interpretato: lei è una donna arida, avara di sentimenti, dispettosa, antipatica e, tuttavia, divertente. Come in un ‘valzer isterico', ruota più volte la sua gonna di velluto rosso. Quasi fosse una bambina, ingenua protagonista di un gioco seducente messo in atto per attirare attenzione, riesce a sedurre il cugino, vendicandosi così del marito. Nello spettacolo, non c'è tempo di immergersi nella rassegnazione di una donna infelice, frustrata, segnata dal tempo e dalla noia. Al contrario, ci si specchia in un carattere forte. Alice è suadente, combattiva, rivoluzionaria, al pari delle donne dei drammi strindberghiani e ibseniani che hanno condotto i personaggi maschili verso lo spavento e la follia, in un secolo – quello dell'Ottocento – dove la donna, nei Paesi nordici, iniziava a rafforzare il diritto alla propria emancipazione.

Franco Castellano (Edgar), con la sua interpretazione, ci presenta invece un misero ex comandante di artiglieria. In divisa, stanco dell'ozio quotidiano e consumato dall'inesorabile trascorrere del tempo, tenta invano di mettere a postoi cocci oramai rotti di una relazione che unita e felice non è mai stata. C'è un terzo ‘carattere', però, al quale Maurizio Donadoni ha saputo dare in risalto: un ex affarista, astuto, viscido, pregno di falsità che, da buon calcolatore, sa valutare quando è il momento di lasciare il campo dopo aver sedotto Alice.

In definitiva si può dire che i tre protagonisti sono sullo stesso livello: quello di un disfacimento, esistenziale e sociale della famiglia. Sono tutti vittime del falso perbenismo borghese. Di una rovinosa decadenza di valori che non ha più le armi per tenere unito nulla.

 

 

Play Strindberg

di Friedrich Dürrenmatt

regia Franco Pero'

con Maria Paiato, Franco Castellano, Maurizio Donadoni

scene Antonio Fiorentino

costumi Andrea Viotti

musiche Antonio Di Pofi

foto Simone Di Luca

 

Teatro Eliseo, Roma, dal 9 al 21 maggio