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Nel bosco

secondo studio

 

di Letizia Bernazza

Entro nella Sala Grande del Teatro dell'Orologio di Roma e mi ritrovo immersa da subito in un'atmosfera magica. Un insistente ululato di cani randagi risuona nel buio della sala, mentre dietro un sottile velo trasparente poco a poco fa la sua apparizione l'ambiente primordiale, sotterraneo, caotico ed oscuro del bosco. Le belle scene di Katia Titolo centrano alla perfezione l'idea della selva imprevedibile espressa dalla scrittura poetica di Andrea Zanzotto alla cui opera, Il Galateo in Bosco , si ispira lo spettacolo diretto da Luca Ricci. Quattro alberi posizionati ai vertici di un immaginario trapezio si stagliano di fronte alla platea. Un manto di foglie secche ricopre lo spazio scenico in cui agiscono i due giovani (ma bravissimi) interpreti Roberto Gudese e Alessia Pellegrino.

I loro corpi, sostenuti da una energia gestuale ed espressiva dirompente, giocano a rincorrersi, inseguirsi, incontrarsi, scoprirsi, amarsi in un luogo – il bosco appunto – dove tutto può accadere e dove l'esperienza e l'esistenza coincidono con inevitabili riti di passaggio. Luca Ricci e Lucia Franchi costruiscono un impianto drammaturgico che coglie con forza e con rigore l'essenza della raccolta di versi del poeta veneto: il bosco è la matrice, il principio generativo dell'essere, il suo grado zero ed è per questo che anche il linguaggio verbale risulta superfluo rispetto al fluttuare della natura circostante. Gli attori protagonisti non si dicono una parola. Dialogano fra loro scambiandosi sguardi, carezze, abbracci. La lingua non è più un codice convenzionale riconosciuto, proprio come nell'opera di Zanzotto. Essa è piuttosto un sistema magnetico di segni, di suoni, di voci, di parole proiettate sul pannello velato ai quali gli autori dello spettacolo affidano la comunicazione e la partecipazione condivisa tra i protagonisti e tra questi ultimi e gli spettatori. Non esiste l'univocità del dialogo, frammentato, scomposto e disseminato nello spazio.

Sostantivi, aggettivi, verbi, brevi frasi appaiono e scompaiono dentro la straordinaria architettura dei veloci fotogrammi iscritti sul pannello o risuonano nella voce fuori campo di Roberto Herlitzka. Lo spettatore è invitato a fare il proprio viaggio. A immergersi e a perdersi nell'oscurità di un non-luogo che porta inevitabilmente altrove. Sta a lui accettare di superare la soglia del cambiamento. Sta a lui disporsi ad accogliere dentro di sé quel profumo pungente di sughero e di foglie bagnate. Sta a lui lasciarsi travolgere dai ritmi sonori ideati da Fabrizio Spera e a “guardare la vita all'altezza dei fili d'erba”.

 

Nel bosco. Secondo studio

ideazione e drammaturgia: Lucia Franchi e Luca Ricci

collaborazione alla scrittura scenica e azione: Roberto Gudese e Alessia Pellegrino

scena: Katia Titolo

ambiente sonoro: Fabrizio Spera

effetti video: Andrea Giansanti

tecnico: Nicola Mancini

regia: Luca Ricci

produzione: Capo Trave e Kilowatt Festival