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Morte di Danton , Mario Martone e lo scontro tra morale e libertà
Intervista a Mario Martone


di Federico Raponi

Produzione del Teatro Stabile di Torino, trenta attori e attrici in scena, è a Roma (Teatro Argentina, fino al 28 Maggio) Morte di Danton di Georg Büchner. Ne parliamo con Mario Martone, che del poderoso spettacolo ha curato scene e regìa.

 

Com'è nato il progetto teatrale?

 

Viene da lontano, è un testo che ho sempre amato, come ho sempre amato Büchner, tanti anni fa avevo anche messo in scena il suo Woyzeck . Lavorare poi a Noi credevamo , sui cospiratori italiani dell'Ottocento che venivano dall'esperienza della Rivoluzione francese, mi ha avvicinato sempre di più a quel mondo. Essere quindi passato da una riflessione sulla Storia a Giacomo Leopardi ne Il giovane favoloso è stato un ulteriore passaggio, perchè i due hanno molto in comune.

Gli aspetti che più l'hanno convinta, anche riguardo al portarlo in scena?  

È un testo straordinario, ha un'ampiezza shakespeariana - del resto Shakespeare per Büchner era il grande riferimento - con argomenti che si ritrovano ancora nella nostra attualità, a partire dalla violenza fino a quelli che riguardano la democrazia, quindi il discorso su dove deve arrivare la morale e dove finisce la libertà. Basterebbe pensare al testamento biologico o ai diritti civili per vedere quanto siamo tuttora immersi in quel contesto. E poi Büchner non scrisse un'opera ideologica, ma la immerse in una dimensione umana, facendo di ciascuno dei tanti personaggi un ritratto bellissimo, quindi è anche un'occasione per realizzare del grande teatro.

Al centro, lo scontro dei titani Robespierre/Danton, dotati di grande abilità retorica e forza oratoria.

Era uno dei piani più importanti della Rivoluzione francese, perché i rivoluzionari erano tali se riuscivano a convincere il popolo, l'altro grande protagonista. Da un lato c'è infatti Danton, con la sua fazione e i suoi amici, dall'altro Roberspierre e il Comitato di Salute Pubblica che li manderanno a morte, ma terzo elemento decisivo è il popolo, perché la rivoluzione è per esso, e da esso è trasformata. Quindi, la partita di chi si assume la responsabilità di tagliare la testa a un re non è che si possa giocare senza un rapporto oggi diremmo 'con le masse'. In quel caso era il popolo parigino, e allora ecco che la dimensione oratoria, la capacità politica di saper parlare, argomentare, organizzare le parole in maniera che possano smuovere gli animi, diventa un atto fondamentale, non soltanto un artificio.

Altro elemento in evidenza è la ristretta e cinica cerchia giacobina, che pone un'altra questione basilare: chi e come gestisce il potere.  

Questo ha a che fare con la trasformazione di ogni rivoluzione in un sistema di potere. Ci sono molti modi di conquistarlo e gestirlo, però il potere - come scriveva Shakespeare - contiene il male, ha qualcosa di difficile con cui convivere. Le rivoluzioni che si fondano sull'idea di una verità assoluta, e sull'esigenza di imporre questa visione, a un certo punto fatalmente si sono irrigidite in un autoritarismo sul quale si sono infranti tutti i sogni, le illusioni di chi, all'inizio, vi ha partecipato in maniera più libera e aperta. È uno dei drammi fondamentali della rivoluzione francese, un po' la 'madre' di tutte le rivoluzioni, e la Storia insegna che ciò si è ripetuto ciclicamente: la Primavera araba, nel giro di poco tempo, ha portato a omicidi, imprigionamenti, e poi a una totale conversione ad un sistema autoritario. Poi è anche vero che, dal punto di vista storico, la Rivoluzione francese va presa in blocco, non ha senso tirare via il Terrore: è un dramma complessivo, e anche un fenomeno importantissimo che comunque ha portato a una grande evoluzione sociale e politica, le nostre democrazie le sono in ogni caso debitrici, tutti i discorsi su diritti e uguaglianza nascono da lì. E rispetto a Robespierre e Danton, ogni spettatore può trovare a chi è più vicino, tra due posizioni che Büchner ha messo in campo con la stessa forza.

L'inflessione partenopea di alcuni interpreti è un richiamo, un parallelo?  

Per il popolo ho voluto attori napoletani, che naturalmente - con il corpo e il suono della voce - danno appunto un senso di popolo. Questo avviene sia perché a Napoli c'è ancora un popolo, sia perché io sono napoletano, e la terza ragione certo è un omaggio alla Repubblica del 1799, l'unica rivoluzione tentata in Italia dopo quella francese.

Un drappeggio rosso vivo, e il rumore di ghigliottina, cadenzano la rappresentazione.  

La scenografia è composta di cinque sipari, che consentono velocità e leggerezza necessarie affinché un dramma così imponente venga messo in scena senza pesantezza. Sono cambi molto fluidi, con un ritmo cinematografico, e per me i sipari rappresentano l'idea della Storia come macchina celibe che produce fondamentalmente se stessa, senza riuscire a risolvere il problema - e torno a Leopardi - della felicità dell'essere umano. È come una ruota dentata, con un sipario che apre su un altro sipario, e sempre si ha la speranza, l'illusione, che qualcosa finalmente si apra, ma in realtà si apre solo su un'altra speranza e illusione.

 

Morte di Danton  

di Georg Büchner  

traduzione Anita Raja  

regia e scene   Mario Martone

con   (in ordine alfabetico ) Giuseppe Battiston, Fausto Cabra, Giovanni Calcagno
Michelangelo Dalisi, Roberto De Francesco, Francesco Di Leva, Pietro Faiella
Gianluigi Fogacci, Iaia Forte, Paolo Graziosi, Ernesto Mahieux, Totò Onnis
Carmine Paternoster, Irene Petris, Paolo Pierobon, Mario Pirrello
Luciana Zazzera, Roberto Zibetti  
e con Matteo Baiardi, Vittorio Camarota, Christian Di Filippo, Claudia Gambino
Giusy Emanuela Iannone, Camilla Nigro, Gloria Restuccia, Marcello Spinetta, Beatrice Vecchione  

costumi Ursula Patzak
 
luci Pasquale Mari
 
suono Hubert Westkemper  

registi collaboratori Alfonso Santagata e Paola Rota  

scenografo collaboratore Gianni Murru  

si ringrazia per la collaborazione Bruno De Franceschi

Teatro Argentina, Roma, dal 16 al 28 maggio 2017