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La drammaturgia televisiva di Michele Santoro in Servizio Pubblico : una piccola nota

di Giorgio Taffon  

Credo che, nel genere di appartenenza che le compete, la trasmissione di Michele Santoro, Servizio Pubblico , emittente La 7, è da considerarsi un vertice nel settore della comunicazione televisiva degli ultimi anni. Già, “nel genere di appartenenza”! Cioè in quelle trasmissioni che stanno tra il talk show politico-sociale, il servizio giornalistico, e quello di informazione tout-court . Ma la trasmissione di Santoro (e del suo regista Alessandro Renna) a mio parere, è qualcosa di più, ed è vero e proprio spettacolo, organizzato e strutturato con precisione di disegno, come ad ogni puntata ho potuto verificare. Servizio Pubblico ha una sua drammaturgia che molto deve alla comunicazione teatrale. Innanzi tutto i “personaggi”: Santoro è senza dubbio il protagonista , il quale è un “cane” che può, al momento, abbaiare, mugolare, latrare, mordere, far da guardia, come l'insegna-logo della trasmissione, a ripetizione, mostra, col suo dotto ma anche ormai popolare ammonimento latino: cave canem . Fanno da co-protagonisti i vari ospiti che, di volta in volta, partecipano alla trasmissione, o in studio o in collegamento esterno. Gli ospiti svolgono le due funzioni conflittuali base del teatro: o sono antagonisti , l'uno contro l'altro, o aiutanti , l'uno con l'altro (anche per una certa obbedienza alla par condicio): rispetto ad essi Santoro dismette il suo ruolo di protagonista, per fare il coordinatore: dirigendo gli interventi, facendo dei riassunti, per tornare in certi momenti a fare di nuovo il protagonista con brevi monologhi in cui si rialza la tensione dialettico-conflittuale, al fine di riattizzare l'attenzione del pubblico presente nello studio e di quello di casa: spesso, e in genere prima dell'invio della pubblicità, preannuncia il successivo servizio o ospite, creando volutamente un momento forte di attesa. Ma sull'attesa gioca un po' tutta la trasmissione, dato che il giornalista svolge un prologo o anteprima , in cui preannuncia i temi che verranno affrontati e discussi, sui quali lui stesso dà un suo iniziale e distesamente espresso parere personale. Se vogliamo, tali interventi ci riportano al teatro brechtiano, giacché Santoro sembra volerci dire: “Guardate che io vi sto insegnando come si interpreta la vita politica e sociale del Paese...”; e, naturalmente, nei prologhi, come avviene fin dalle commedie plautine, il giornalista cerca anche di ammaliare il suo pubblico.

A proposito di pubblico, quello che è nello studio (la cui scenografia rinvia a una sorta di ”officina” postmoderna, dove si lavora e si sperimenta) è anche, a volte, coro , che partecipa naturalmente applaudendo, ma anche inviando altri segnali, dal riso, alle voci commentanti, ai gesti, e sempre con Santoro pronto ad intervenire, e se necessita a censurare. Addirittura, nelle ultime puntate, ha voluto portare in studio persone “normali” coinvolte in certi accadimenti di interesse pubblico, divenendo veri e propri coreuti , appartenenti al coro dei vari pubblici, e portatori della loro parola, in questo investiti dal loro essere anche testimoni diretti di certe esperienze. Anche nei ruoli il rinvio è al teatro, per cui c'è Travaglio, il cattivo, il rompiballe, il perturbante, che crea conflittualità; o il filosofo Cacciari, il “grillo parlante”, o il Balanzone della situazione; e c'è, sempre in chiusura di trasmissione, il vignettista Vauro, il perdente-vincente della storia, il comunista vittima e idealista. Per la specifica natura del mezzo è ovvio che non ci possono essere i colpi di scena , ma Santoro cerca di crearli un po' artificiosamente fingendo di portare l'intreccio della trasmissione in una certa direzione, ben sapendo che uno degli ospiti, a l' improptu , lo obbligherà “inopinatamente” a cambiarla la direzione! Il titolo della trasmissione è “servizio pubblico” che rinvia a una definizione ancora una volta legata alla nostra tradizione teatrale: definizione coniata da Paolo Grassi quando nel '47 anno di fondazione del Piccolo di Milano, concepì il teatro nella moderna società come, appunto, “servizio pubblico” (su ciò si veda il bel volume su Paolo Grassi del nostro Carlo Dilonardo). Dunque sembrerebbe proprio che nella visione santoriana delle cose l'aspetto dello spettacolo benissimo costruito proprio non trovi 'sto gran spazio! Ma certamente non può non trovarlo quello relativo al lavoro drammaturgico! Come credo di aver dimostrato. E penso, come tanti altri, che il lavoro di drammaturgia si ponga come tratto unificante tra le varie forme di spettacolo, posto che Servizio pubblico è anche spettacolo televisivo di prim'ordine. E il teatro che c'entra in tutto questo mio discorso?

Il teatro, che pur offre a tutte le forme di comunicazione-espressione, il fondamento del lavoro drammaturgico, in quanto spettacolo non può che perdere: ciò è stato teorizzato, sperimentato, vissuto dai Padri fondatori del teatro del '900! Il teatro, semmai, “si serve dello spettacolo”, come ha spesso sostenuto uno dei miei maestri, Nicola Ciarletta. La butto lì: io credo che per trovare a teatro uno spettacolo di pari interesse e gaglioffa strizzatina d'occhio allo spettatore come quello costituito da Servizio Pubblico , ci si debba andare per dieci volte! E chi fa teatro inseguendo le forme e i criteri dello spettacolo televisivo è perdente in partenza, anche se compagnie, produzioni, circuiti si assicurano stagione per stagione il divo di successo e popolarità televisivi.

Perché il teatro si salvi, e non resti una salma ben conservata nei decenni, occorre che si sbarazzi sempre più dello “spettacolo”, tornando alle ragioni originarie del suo essere forma espressiva fondamentale. Non credo che si possa ora dire con certezza che tale auspicio si concretizzerà: io dico che dobbiamo coltivare, proteggere, aiutare senza condizioni, e trovando ciascuno il proprio giusto raggio d'azione, l'attore DI teatro, e non quello che sta anche IN teatro. Compito comunque difficilissimo per tante ragioni che in vari interventi del nostro Sito vengono discusse: certo è che il nodo è rappresentato da quella che è l'Arte dell'Attore DI teatro, aspetto ineludibile sul quale in particolare si sofferma con estrema efficacia Alfio Petrini.