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Lungs

di Alfio Petrini

Gli allievi del secondo anno dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico hanno presentato come esercitazione finale 2013 Lungs , testo di Duncan Macmillan, regia di Massimiliano Farau. Lo spettacolo dell'autore inglese sarà replicato prossimamente al Festival di Spoleto.

Questa volta voglio prima di tutto riconoscere il merito della Direzione artistica dell'Accademia. Perché Lorenzo Salveti è responsabile del progetto formativo; perché ha giocato un ruolo determinante nella elaborazione della strategia vincente delle coproduzioni; perché nel corso degli anni ha contribuito ad accrescere il prestigio della istituzione pubblica, sia in Italia che all'estero.

Lungs , come testo linguistico, fa una scelta di povertà. Prevede uno spazio scenico vuoto e disadorno, occupato solo dal corpo degli attori. L'assenza di codici espressivi di diversa natura definiscono un'area di ricerca teatrale fondata sulla trasformazione della parola scritta in parola parlata. Il regista ha guidato con mano leggera ma sicura un gruppo omogeneo di attori dotati di buon talento, richiamandoli all'impegno sul versante del linguaggio logico-discorsivo, senza compiere prevaricazioni nei confronti del testo. La storia è incentrata su un Lui e una Lei - interpretati da un gruppo di attori e di attrici che si “passano” la parte -, che restano a lungo invischiati in una problematica forse più grande di loro, quella della nascita di un figlio.

Sul testo credo che debbano essere fatte due riflessioni. La prima. Non è buona pratica di scrittura drammaturgica alimentare nel crogiuolo della contesa il punto di vista di tutti i personaggi evitando che uno vinca su un altro? L'autore non deve sostenerli tutti con la stessa forza di argomentazione, secondo il principio della irriducibilità di valori (incarnati) opposti e contrari? Il comportamento della donna si carica invece di una nevrosi che introduce nello spettacolo una larvata misoginia e che depotenzia l'incontro/scontro tra i due sessi di segno opposto. Ad eccezione del finale, quando entrambi entrano nella verità attraverso il bisogno d'amore.

La seconda riflessione. Se è vero che il teatro è corpo, se è vero che anche la parola è corpo, cioè un fatto materico, lo scrittore - una volta messa in ordine la fabula -, non deve scrivere il testo fisico prima di provvedere alla stesura del testo linguistico? Il drammaturgo scrive per l'attore o per lo spettatore? Se scrive pensando all'attore, come ritengo che debba fare, non deve assolvere al compito fondamentale di prefigurare il come della scrittura scenica nella prospettiva dell'uomo concepito nella sua interezza, costituita da una parte sensibile e da una parte razionale? Se lo scrittore scrive il suo testo fisico, mette a disposizione dell'attore uno stimolo forte quanto necessario che lo induce, a sua volta, a elaborare il suo testo linguistico: un testo linguistico personalizzato e originale. La mancata elaborazione del testo fisico da parte dello scrittore e, conseguentemente, del testo fisico da parte dell'attore potrebbe implicare la doppia responsabilità di una parola esangue. Se l'uomo è corpo, non può dare forma a nulla d'immateriale che prescinda dalla materia.

 

Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D'Amico

Corso di Recitazione

Secondo anno

LUNGS

di Duncan Macmillan

con

Gabriele Abis

Gabriele Anagni

Simone Borrelli

Giulia Carpaneto

Federica De Benedittis

Serena De Siena

Maria Pilar Fogliati

Flavio Francucci

Lucrezia Gagnoni

Maria Silvia Greco

Laurence Mazzoni

Alberto Melone

Paolo Minnielli

Eleonora Pace

Francesca Pasquini

Giulia Salvarani

Stefano Scialanga

Paola Senatore

Francesco Tribuzio

Giuliana Vigogna

 

Regia di Massimiliano Farau