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La vita cronica

di Alfio Petrini

 

Il Teatro Vascello informa: entro le 17,30 il ritiro dei biglietti. Alle 18.00 l'inizio dello spettacolo., spostato alle ore 18.30, causa la pioggia (!), senza darne comunicazione agli sventurati in attesa. Alle ore 19.00 finalmente si alza il sipario. Lasciamo perdere il vizio dei teatri romani che non rispettano l'orario e occupiamoci di quello che abbiamo visto.

Siamo nel 2031, in Danimarca. Una Madonna nera, una vedova basca, una rifugiata cecena, una casalinga rumena, un avvocato danese, un musicista rock delle isole Faroe e un ragazzo colombiano sono i protagonisti della vicenda incentrata sul tema della guerra e di alcuni fondamentali diritti civili, tant'è che lo spettacolo è dedicato a Anna Politkovskaya e Natalia Estemirova, scrittrici russe assassinate per aver manifestato opposizione al conflitto ceceno. Il ragazzo colombiano va alla ricerca del padre morto. “Ogni volta che c'era una guerra partiva, combatteva sempre dalla parte sbagliata”. Come suggerisce il testo, “non c'è alcuna misericordia e alcuna pietà”. Ma, se nello spettacolo non c'è stupore, non c'è emozione e non c'è sentimento, non c'è neppure quella energia che nei precedenti spettacoli dell'Odin Teatret aveva catturato la nostra attenzione. C'è una perizia tecnica che non sorprende, ci sono “azioni al lavoro” in funzione di una miscela linguistica algida, c'è il segnale di un declino derivante, forse, dall'esaurimento della vena poetica. E così il lancio ripetuto di monete e di carte da gioco, l'ondeggiare della bandiera danese, i patetici cinguetti della Madonna nera, l'affannoso lavoro di pulizia della casalinga, il suono romantico del violino che accompagna l'apertura della porta da cui esce il ragazzo colombiano, l'incontro/scontro degli individui, la marcetta e la mostruosa danza finale collettiva, assumono un valore - a volte descrittivo e a volte simbolico – , riferito al marcio che c'è in tutto il mondo, insanguinato da decine di guerre sempre accese che costringono i popoli in trepida attesa. Quando scoppierà la pace? Le luci servono fondamentalmente a illuminare le forme, i corpi sonori contribuiscono raramente alla comunicazione dell'indicibile e alla produzione di significati di rimbalzo. E la recitazione? La recitazione non c'è. Non ha rigore, non ha profondità. E va spesso in dismisura, con stonature vistose. Il processo di formalizzazione fa sentire inutile lo spettatore, il quale non è stimolato ad elaborare alcuna personale drammaturgia. E questo, forse, è il limite maggiore che sintetizza la qualità del risultato finale. L'insoddisfazione serpeggia tra gli spettatori, che tuttavia applaudono. Nonostante la fama e le straordinarie capacità del regista che in altre occasioni hanno suscitato il nostro apprezzamento, gli aspetti cronici della vita rimandano in questo caso alla vita cronica dello spettacolo. E alla cronicità dei ritardi.

 

La vita cronica

Testo: Ursula Andkjaer Olsen e Odin Teatret

Attori: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Freslev, Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Sofia Monsalve, Iben Nagel Rasmussen, Fausto Pro, Julia Varley

Dramaturg: Thomas Bredsdorff

Consulente letterario: Nando Taviani

Disegno luci: Odin Teatret

Consulente luci: Jesper Kongshaug

Spazio scenico: Odin Teatret

Consulenti spazio scenico: Jan de Neergaard, Antonella Diana

Musica: Odin Teatret, melodie tradizionali e moderne

Costumi: Odin Teatret, Jan de Geergaard

Direttore tecnico: Fausto Pro.

Assistenti alla regia: Raul Iaiza, Pierangelo Pompa, Ana Woolf

Regia e drammaturgia: Eugenio Barba

Una produzione Nordisk Teaterlaboratorium (Holstebro), Teatro de La Abadia (Madrid), The Grotowski Institute ( Wroclaw).