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Infedele alla linea, Andrea Porcheddu
Maschietto Editore, Firenze, 2015, pp. 283, euro 18,00

di Letizia Bernazza


copertina e illustrazioni di Cristina Gardumi

 

Infedele alla linea di Andrea Porcheddu è davvero un bel libro. E mi pento un po' di averlo letto con ritardo rispetto alla sua uscita. Ma i libri, per fortuna, vivono nel tempo. Restano. E se, parafrasando Marguerite Duras, leggere è l'esplorazione dell'universo, ho semplicemente procrastinato la mia scoperta. Da quando, con puntuale attenzione, l'editore fiorentino Maschietto mi ha spedito il volume, a farmi compagnia è stata la bella copertina di Cristina Gardumi: lì sul mio comodino, pieno di cose da leggere, quella scala disegnata con gusto è stato un monito costante ad “abitarla” per vedere oltre, magari indossando anche il paio di scarpette poste ai piedi della scala.

Conosco Andrea da molti anni, e non avevo dubbi che si trattasse di un'opera ben scritta. Siccome non avevo letto i suoi romanzi precedenti, ma sempre e soltanto le sue attente e rigorose recensioni teatrali, non immaginavo la sua vena narrativa, altrettanto accurata, nell'imbastire una storia così avvincente e nel delineare fisionomie complesse di personaggi degni di rappresentarla. Già, perché credo siano questi gli ingredienti fondamentali di Infedele alla linea . Con un'aggiunta degna di nota: ambientare la vicenda nel contesto del mondo teatrale. Andrea lo conosce bene e tra le sue fila si muove e si diverte con sagace umorismo. Coloro i quali sono abituati a frequentare il Teatro, non possono fare a meno di lasciarsi catturare dall'agire dei protagonisti principali. Non a caso due critici, che esprimono due differenti modi di essere, due opposte visioni del concepire il Teatro e, dunque, la vita: Achille Contri Finzi e Federico Mila. Il primo - malgrado si lasci emozionare soltanto dal calcio e dalla Roma, la sua squadra del cuore – è, almeno in apparenza, inserito nell'ambiente: lavora in una redazione e di questo ne va fiero. È integrato in un sistema, insomma. Federico Mila, invece, è il “disoccupato” del Teatro. <<Nemmeno precario>>, sottolinea Porcheddu, <<proprio disoccupato>>. Una non-integrazione, la sua, pagata anche e forse perché in fondo in quell'ambiente, finto non meno di tanti altri, è richiesto in ogni istante di collegarsi via Internet con qualcuno; che si postino in tempo reale le proprie foto su Facebook; che si pubblichino i propri articoli sui profili di altri con la smania continua di auto-celebrarsi; che si scrivano recensioni, condite di arroganti prese di posizioni, non supportate spesso né dall'esperienza maturata sul campo né da un serio percorso curriculare. Quanto è vero, mi viene da dire. Ma, in fondo, è questa la “doppiezza” della vita e dell'essere umano. Il sacro e il rozzo, per usare le parole di Peter Brook. Aspetti contrastanti che, tuttavia, si rincorrono e che costituiscono la complessità della nostra esistenza e della nostra professione. Ascanio Celestini lo evidenzia molto bene nel proprio scritto che chiude il volume. In fondo, chi può dire se sia migliore la posizione di Contri Finzi o di Mila: credo che la scelta sia nella posizione dei singoli. Autonoma e personale, certo. Ma, senza alcun dubbio, di coscienza e di onestà intellettuale.

Andrea Porcheddu dilata, volontariamente, tutte questi interrogativi. Elabora, crea e struttura una cornice narrativa encomiabile, fatta di situazioni parallele: la relazione sentimentale tra Mila ed Elisabetta, la scelta combattuta del “critico sfigato” di sposare lo stile vegetariano, le incursioni di Contri Finzi al Valle occupato o quelle dello stesso a un aperitivo organizzato dalla nobiltà romana a parlare di esperienze teatrali in Iran. Come se, le sacre rappresentazioni del Tazieh potessero interessare a qualcuno!

Nel sotteso, eppure diffuso disinteresse generale, è tuttavia la prosa asciutta ed incisiva dell'autore ad accompagnare il lettore verso la scoperta, reale ed immaginaria, di “atmosfere” romane e di luoghi teatrali: come d'incanto, si viene catapultati nel quartiere di Testaccio, in teatri come l'Argentina e l'Orologio, ma anche nel Festival di Castiglioncello o negli ambienti, talvolta noiosi, dei Premi teatrali, fino a quando a farsi strada è un possibile attentato ad Ascanio Celestini. <<Uno stupendo giullare >> , che sa raccontare, <<con grande partecipazione e lucida intelligenza >> la <<contro-storia dell'Italia>>. Ed è per questo, infatti, che diventa un obiettivo sensibile: il suo – sottolinea Porcheddu - è un Teatro, che <<sa arrivare alla gente>> molto di più di tanto teatro politico, stampo anni Settanta, che ha saputo parlare soltanto <<a chi era già d'accordo>>. Il finale non lo sveliamo. Di sicuro, però, posso affermare che il ritmo del romanzo è avvincente. Le ultime pagine, ancora più delle altre, si leggono tutte di un fiato. E quando si arriva alla riga conclusiva, una domanda non un'affermazione, resta l'amarezza di un'Italia in costante declino che inghiotte ogni cosa. E, forse, anche il Teatro.