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Giulio Cesare

di Letizia Bernazza 

È onirico e visionario il Giulio Cesare diretto da Andrea Baracco che, insieme a Vincenzo Manna, firma anche l'adattamento della celebre tragedia shakespeariana. I due autori restituiscono la grande modernità dell'opera, rispettandone nel contempo la limpidezza stilistica e compositiva. Il dramma politico del Bardo - ispirato alla Vita di Cesare di Plutarco e già di estrema attualità per l'epoca storica in cui Shakespeare lo aveva scritto dal momento che il tema dell'opposizione al tiranno toccava uno dei nodi centrali della problematica rinascimentale – diventa nello spettacolo uno spunto di riflessione “universale” sui giochi messi in atto nella conquista del potere. Giochi spesso meschini, orchestrati da persone senza scrupoli che segnano il crollo della società, <<vittima>>, dichiara Baracco, << del suo fallimento intellettuale, spirituale e politico>>. Indipendentemente dalle epoche e indipendentemente dai luoghi, aggiungo. E il pensiero all'Italia dei nostri giorni credo sia sorto spontaneo in molti degli spettatori.

Assistendo alla messinscena, infatti, appare chiaro come per il regista non sia tanto importante soffermarsi sulle due concezioni contrapposte veicolate da Shakespeare (l'assolutismo cesareo, o monarchico, basato su una rigida visione gerarchica e simbolica della società e l'idea repubblicana, fondamentalmente antisimbolica e relativistica), quanto evidenziare i contrasti e le contraddizioni del Giulio Cesare che, come tutte le opere del drammaturgo inglese, esprime in maniera encomiabile la poliedricità del reale e la complessità morale degli individui. Donne e uomini divorati dalla cupidigia, dall'ambizione, dalla vendetta, dal sospetto, le cui azioni sono costantemente avvolte dal livido, acre, sapore della violenza, indispensabile ai protagonisti per uscire dal conflitto fine-mezzo, libertà-congiura. In uno spazio scenico “vuoto”, scarno ed essenziale, il buio incombe alla maniera delle frasi intimidatorie sussurrate all'inizio da una voce fuori scena: <<Cesare attento a Bruto, bada a Cassio, non avvicinarti a Cinna, guardati da Casca…>>, che preparano il clima generale di soffocante diffidenza della lunga notte tra la vigilia delle Idi di Marzo del 44 a.C. e la disfatta di Filippi. Nella storia, illuminata soltanto dal rapporto fallimentare fra virtù pubblica e privata, fra un ingenuo senso politico dell'azione e un diffuso sentimento di rancore da parte di chi non ha ottenuto gli sperati riconoscimenti e compensi, non ci sono eroi, ma soltanto esseri umani deboli, timorosi, soli, riflesso di una realtà altrettanto fragile, mutevole e inafferrabile. Andrea Baracco nella sua messinscena sa cogliere con grande intelligenza tutte le sfumature dell'ordito drammaturgico shakespeariano. Nell'area destinata agli attori, tre porte e una sedia sfondata sono gli unici oggetti che rimandano a un mondo svuotato, asettico, eppure ancora esplorabile, vivibile come la vita sa essere. Le tre porte, sollevate, rovesciate, sbattute, spostate, verniciate dagli attori con potenti e calibrate azioni fisiche diventano luogo di pensiero, dimore, letti, tombe; mentre la logora poltrona senza seduta è il simbolo agghiacciante della morte, cui spinge l'avidità del potere.

Un potere sterminatore che annienta tutti coloro i quali provano a servirsene, trasformandoli in esseri abietti che si trascinano dentro di essa fagocitati dalla sua follia omicida. I loro corpi stremati vengono vilipesi dal rosso sangue di gessetti colorati, inferti come fendenti dall'uno sull'altro indistintamente e non c'è vittoria per nessuno, ma soltanto violenza, perno intorno al quale il regista struttura l'intera messinscena. <<La violenza necessaria (per preservare la libertà), quella che genera violenza (la guerra civile che segue la morte di Cesare), quella con effetti collaterali (le vittime innocenti come Porzia). E allora nel declino inarrestabile di una società consumata dalla brutalità, i protagonisti sono anch'essi figure isteriche, ansiose, agitate. Bravissimi soprattutto Giandomenico Cupaiuolo e Roberto Manzi, che vestono rispettivamente i panni di Bruto e di Cassio. Il primo incanta con la sua potente interpretazione e la grande presenza fisica e vocale, il secondo con la sua intensità espressiva facciale che lo rende un'eccezionale maschera in movimento. Originali e di geniale creatività le scene di Arcangela di Lorenzo e i costumi di MarianoTufano. Gli attori in frac, in pantaloni di pelle nera o in abiti formali e le attrici in leggerissime e morbide vesti, sottolineano la grande modernità dello spettacolo: la tragedia della vacuità del potere è destinata a ripetersi nel tempo, travolgendo destini e manipolando coscienze.

(Teatro Vascello, Roma, febbraio 2014)

Giulio Cesare

adattamento Andrea Baracco e Vincenzo Manna

regia Andrea Baracco

con Livia Castiglioni, Giandomenico Cupaiuolo, Ersilia Lombardo, Roberto Manzi, Gabriele Portoghese, Lucas Waldem Zanforlini

scene Arcangela di Lorenzo

consulente ai costumi Mariano Tufano

disegno luci Javier Delle Monache

regista assistente Marta Montevecchi

Spettacolo in tournée in Italia e in Spagna

@foto di Giuseppe Di Stefano