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#Dellalluvione di Elena Guerrini: il dolore che diventa creazione

di Letizia Bernazza

Sono passati poco più di due anni da quando ho pubblicato su Liminateatri.it alcune riflessioni su #dellalluvione di Elena Guerrini (si veda lo scritto Dal fango alla luce nella sezione “Contributi”). Allora, la mia testimonianza si era nutrita della calda e accogliente intimità che si respira quando si ha il privilegio di entrare a far parte dell'universo creativo di un artista.

Erano passati pochi mesi dalla terribile piena del 12 novembre del 2012. Il territorio centro meridionale della provincia di Grosseto era stato devastato. Elena Guerrini mi ha invitato nella sua casa alluvionata di Albinia per partecipare al primo studio del suo nuovo lavoro, dedicato appunto alla drammatica catastrofe che, ancora oggi, mostra segni indelebili sul territorio e nei cuori della gente.

Quello studio bellissimo, nel tempo è cresciuto, ha preso forma e ho potuto rivederlo al Teatro Due di Roma, nell'ambito della rassegna “A Roma! A Roma!”, ideata da Francesca De Sanctis (le linee guida della ricca kermesse vengono documentate dall'intervista alla curatrice sempre nella sezione “Contributi” di Liminateatri.it).

Memore dell'ospitalità già ricevuta da Elena - espressione sincera del desiderio di condividere un evento che l'attrice ha saputo incidere sulla propria pelle e nella propria anima – ho voluto anch'io lasciarmi “abitare” dalla forza dirompente dell'acqua e del fango. Ho cercato, attraverso il percorso tracciato da Elena, di entrare in comunione con quanti hanno visto e subìto la trasformazione dei loro luoghi, geografici ed emotivi. Mi sono fatta risucchiare dal flusso ininterrotto dei tanti racconti, nutriti di grande sofferenza e di arguta ironia, per afferrare il significato nascosto di una narrazione, che riesce a restituire l'universale valore della Storia a partire dalla preziosa particolarità delle testimonianze dirette.

Il fango che invade case, negozi, strade, scuole, è l'emblema, la metafora, di una magmatica poltiglia in grado di contagiare un intero Paese: dalla vita culturale alle relazioni private. Assomigliamo tutti a tanti alluvionati che cercano di togliersi di dosso una “melma” apparentemente cancellabile, eppure così incrostata da risultare permanente, sempiterna, inestinguibile. Siamo “alluvionati dentro”, siamo impoveriti culturalmente e umanamente al punto da essere disabituati a provare sentimenti di comune solidarietà che potrebbero, invece, essere lo sprone per stabilire relazioni autentiche, per coltivare il rispetto nei confronti di altri esseri umani e dell'ambiente in cui viviamo. È questa la “crepa” che Elena denuncia con il suo fare teatro: per uscire dalle sabbie mobili del fango, urge instaurare un nuovo rapporto con l'Altro da sé e un confronto con la propria comunità di appartenenza. Il Teatro ritrova il suo valore ancestrale: si fa agorà , spazio di eccellenza della Polis , di quell'armonia esistente tra “il tutto” e una “parte del tutto”, la società e l'individuo. E, infatti, è alla nostra società malata che Elena si rivolge, cercando quello spiraglio di luce che possa sovrastare il fango. Non è possibile restare inerti di fronte ai numerosi spazi teatrali che chiudono, alla tv spazzatura che ci fagocita quotidianamente, al disimpegno di politici corrotti votati soltanto agli interessi personali. #Dellalluvione è un grido d'allarme forte e potente cui fanno da cassa di risonanza le azioni fisiche dell'attrice e i tanti oggetti (bambole, un cavalluccio di legno, foto…) disseminati sul palco portatori ognuno di un ricordo, di un momento vissuto, di una testimonianza raccolta. Quando il mio sguardo ha fissato il cavalluccio di legno sistemato ai piedi del palcoscenico, mi sono ritrovata di nuovo nella casa alluvionata di Elena: ho sentito l'odore acre del fango, dell'umidità che trasudava dai muri e, malgrado, la distanza tra palcoscenico e platea, ho respirato la veemenza del dolore che diventa creazione.

 

#Dellalluvione

scritto, diretto e interpretato da Elena Guerrini

produzione Davide di Pierro

foto di Andrea Bastogi