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Seminari di drammaturgia (6

“Dalla Bottega di Eduardo a oggi: come è possibile insegnare a scrivere un'opera teatrale?” 

di Giorgio Taffon 

Maria Letizia Compatangelo conduce il sesto seminario del 30 ottobre 2013, in una giornata ancora estiva: siamo immersi nel verde ancora molto vivo della villa Doria Pamphili di Roma, presso la Casa dei Teatri. Partecipano oltre trenta persone, a mio parere, assolutamente motivate. La Compatangelo , affermata drammaturga oltreché studiosa di teatro, docente universitaria a contratto presso La Sapienza di Roma, autrice di un sostanzioso e ottimamente documentato libro su Eduardo De Filippo “maestro” e “pedagogo” teatrale ( O capitano, mio capitano! Eduardo maestro di drammaturgia , Roma 2003 ) e presidente del Cendic, relaziona, appunto, in base alla sua esperienza personale, come può essere ancora attuale e importante la lezione di Eduardo circa la scrittura drammaturgica. La relatrice si chiede subito se e quando sarà possibile avere una scuola nazionale di drammaturgia, toccando un tasto già battuto da Eduardo, quando aveva creduto di poter fondare il vero teatro nazionale italiano individuandolo di fatto nella tradizione napoletana portata da lui a livello nazionale (e internazionale).

In realtà né in Italia né in genere in Europa esistono delle vere lunghe unitarie tradizioni (come ci possono essere nei Paesi orientali, dalla Cina, con l'Opera di Pechino, al Giappone col Teatro No, all'India con le sue antiche forme).

Fa bene allora la Compatangelo a scegliere una fra le varie tradizioni, anche perché ne ha potuto godere la trasmissione da persona a persona, durante le lezioni che il grande Eduardo tenne al teatro Ateneo della Sapienza, su chiamata del prof. Marotti, come docente a contratto, nei primissimi anni Ottanta. Lui insegna alla Compatangelo, come a tutti gli studenti corsisti, i fondamenti della tecnica base della scrittura, che poi, naturalmente, lungo gli anni e in seguito alle esperienze sul campo, ciascuno avrà saputo far proprie.

Eduardo, racconta la relatrice, pareva essere alla ricerca di giovani che potessero allargare la sua famiglia teatrale . Quella famiglia che quasi soppiantava la famiglia sua propria di vita, come fosse la prima, sempre, a offrire il fondamento al suo modo di vivere, alla sua visione esistenziale. La Compatangelo, molto opportunamente, mette in rilievo due modalità didattiche usate dal Maestro: una che lavorava sull'esplicito, sulle tecniche immediate richieste dalle singole parti di una commedia; l'altra su tutto ciò che resta quasi celato, e che da maieuta socratico il Maestro deve saper fare uscire dai suoi allievi. Tutto ciò doveva essere effettuato dando tempo, sapendo attendere i frutti con pazienza: ma insegnava pure ad essere pronti , a saper ribaltare sempre un assunto, una scelta.

Ecco perché preferiva sempre lavorare su cose scritte, anche quelle meno scontate, anzi, forse proprio perché meno scontate, per cui era capace di ascoltare chiunque, di aspettare qualcosa di importante da chiunque.

Alla base del lavoro drammaturgico via via la Compatangelo allieva eduardiana, pone la struttura dei tre atti (personalmente preferirei usare la terminologia musicale: tre tempi, che è poi una sorta di scansione tra momento forte e momento meno forte delle azioni antropologicamente diffusa da sempre come ci ricorda lo stesso Zeami).

E poi viene la messa a fuoco di una Idea , un qualcosa che deve intercettare lo spirito del tempo , gli interessi altrui; una Scaletta di come realizzarla; l'immaginazione delle scene ; la stesura dei dialoghi .

Eduardo insisteva, cosa che la relatrice sottolinea come per lei ineludibile, sulla specificità della scrittura drammatica, che è quella di essere per l'attore, innanzi tutto, e concepita immaginando sempre una spazializzazione scenica , che attragga lo spettatore.

La Compatangelo sottolinea l'importanza che l'Idea non sia qualcosa di astratto,ma che si concretizzi in un tema di vita , e che rappresenti anche un conflitto : sul conflitto s'instaura tutta una serie di azioni , che devono comunque avere in un modo o nell'altro un loro senso finale , il piacere pertinente di aristotelica memoria.

Già nella scrittura tutte le componenti devono avere una loro necessità : nulla deve essere scritto a caso, tutto deve avere una sua spiegazione, anche sottotestuale (aggiungerei anche: non detta ): su questa dimensione non esplicitata possono “giocare” sia gli attori, che soprattutto il regista (e in ultima istanza lo spettatore). Lo stesso Eduardo diceva che importavano non tanto i fatti , ma le loro conseguenze , e appunto l'interpretazione conflittuale di tali conseguenze.

Un traguardo personale che la drammaturga (diplomatasi a suo tempo anche come attrice) sottolinea è quello di aver capito cosa significa scrivere per un attore che deve incarnare un personaggio: partire dal respiro , perché il linguaggio di un attore nel suo personaggio è fondato sul respiro .

Seguono infine molte domande per nulla scontate dei partecipanti, a riprova della necessità che ogni teatrante ha di rifarsi a una tradizione tramite grandi suoi rappresentanti (anche se in alcuni pochi casi l'assenza di tale riferimento non ha significato l'impossibilità di grandi invenzioni!).