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Birdman ovvero L'imprevedibile virtù dell'ignoranza
Dove finisce la vita ed inizia la finzione?

di Carlo Dilonardo

Il film del messicano Alejandro González Iñárritu fresco vincitore di quattro Oscar è un lungometraggio che pone l'attenzione su una serie di questioni molto vicine all'uomo, alla vita ed in particolare al suo rapporto con il successo, stadio della vita che non necessariamente ha diretta attinenza con il mondo dell'arte in quanto la voglia di “far succedere” qualcosa di positivo per noi stessi e per gli altri è parte del sé.

Nel film, Riggan Thompson (un eccezionale Michael Keaton) è una celebrità che ha raggiunto il successo interpretando il supereroe mascherato e alato, Birdman. Il suo rapporto con il successo però è travagliato, in quanto Riggan vuole dimostrare di essere un bravo attore e non soltanto un avvincente personaggio. Grazie al supporto dell'amico Jake (Zach Galifianakis) avvocato che si reinventa produttore teatrale, decide di avventurarsi nell'elaborazione drammaturgica del racconto dello statunitense Raymond Carver, What We Talk About When We Talk About Love , per farne uno spettacolo, dirigerlo ed interpretarlo in un teatro di Broadway. In questa folle impresa produttiva Riggan coinvolge due attrici interpretate da Naomi Watts e Andrea Riseborough, la figlia Sam (Emma Stone) appena uscita da un centro di disintossicazione e l'attore Mike Shiner interpretato da uno straordinario Edward Norton. Dopo le tre anteprime, gli spettatori assisteranno ad una prima davvero “teatrale”…

Il lungometraggio del premio Oscar, Iñárritu è un coacervo di riferimenti a tecniche di ripresa cinematografica e a film precedenti che fa invidia ai migliori manuali. Il primo lampante riferimento riguarda lo stesso Keaton che da essere l' attuale Birdman, non può non far tornare alla mente il suo Batman (Tim Burton, 1989) anche a causa degli analoghi travestimenti dei due supereroi; ancora, spiccano in maniera emblematica i piano-sequenza alla Robert Altaman o più radicalmente alla Sokurov, così come i lunghi carrelli presenti nel più noto Kubrick, nello Shining (Stanley Kubrick, 1980) dei lunghi corridoi.

Oltre a questi aspetti di tipo tecnico, Iñárritu realizza uno straordinario lavoro da un punto di vista letterario-drammaturgico e, direi, antropologico. La storia del protagonista del film-spettacolo è una storia vicina a molti uomini e donne di oggi: attori e attrici non soltanto di film o di spettacoli, ma anche nella vita. Non a caso, il regista messicano ha dichiarato: “Riggan è profondamente umano. Lo vedo come una sorta di  Don Chisciotte , con l'umorismo che nasce dalla discrepanza permanente tra le sue ambizioni grandiose e la realtà mediocre che lo circonda. Fondamentalmente, è la storia di tutti noi”.

Il mondo dell'immagine, del successo a tutti costi fa perdere freni inibitori, fa smarrire il controllo razionale nei rapporti con il prossimo (Riggan pur di riuscire a compiere il salto di qualità attraverso il suo spettacolo rischia l'omicidio del suo partner di scena poiché non lo ritiene all'altezza del suo lavoro). Il mondo del falso, contrariamente alla verità, fa paura ed è solo sul palco che, talvolta, si riesce ad esprimere compiutamente una verità-altra rispetto alla vita, quella scenica. Una verità che spetta agli attori, non alle celebrità!

Fra le due figure c'è una grande differenza, da pochi valutata, come afferma la cinica critica teatrale Tabitha, interpretata dall'eccellente Lindsay Duncan .

Il regista messicano mette anche a nudo una serie di tristi cliché che fanno parte del famigerato ed inesplorato “mondo dello spettacolo”: un universo fatto di sconfitte, di soprusi, di invidie, di case ipotecate per poter pagare i debiti contratti con uno spettacolo andato male, di sonni e sogni consumati sulle scale di appartamenti in infimi quartieri, di momenti in cui ci si rende conto che “la salute è durata più dei soldi”, ma soprattutto della paura di non contare niente.

Di fronte a questo cupo scenario, tuttavia, c'è sempre la speranza che tutto possa andare per il meglio, c'è sempre la voglia di superare le difficoltà anche perché la salvezza e il riscatto non sono lontani, sono in ognuno di noi.

E allora Riggan vede in Birdman il suo riscatto: trova nella possibilità di volare, nella capacità di guardare il mondo dall'alto la sua uscita di sicurezza e poco conta se questo volo sia reale o finto: è importante che non sia falso.

Nel finale del film, quando Riggan decide di lanciarsi da una finestra, questo suo “ultimo” volo lo porta verso l'alto, non verso il basso come dimostra una poetica inquadratura degli occhi della giovane Sam che ritrova il padre verso un alto-altro cui lo spettatore non è dato sapere, ma solo incentivato ad immaginare “come se” stesse assistendo alla più “finta” e, quindi, “reale” opera teatrale.