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Seminari di Drammaturgia ( 2 )

Tra Eugenio Barba e Eduardo De Filippo: teoria e pratica del teatro” 

di Alfio Petrini 

Il secondo seminario del Cendic è stato svolto il 2 ottobre da Alberto Bassetti, un drammaturgo che gode, in Italia e all'estero, dell'attenzione dei teatri stabili e delle compagnie private.

Il relatore ha messo in parallelo Barba e De Filippo, registrando tre punti di contatto - l'interesse per il “teatro della comunicazione”, la piena consapevolezza della finzione scenica, la necessità artistica come radice del fare teatro -, anche se i punti di contatto sono quantitativamente inferiori alle differenze riguardanti premesse, strategie e metodiche della scrittura. Barba parte, per esempio, dal lavoro degli attori e sugli attori approdando al testo linguistico di retroazione e utilizzando nella scrittura scenica un sistema variegato di segni in funzione del linguaggio estensivo. De Filippo parte dal testo linguistico, fondato essenzialmente sui segni verbali, nella prospettiva strategica di un linguaggio logico discorsivo.

Bassetti ha posto al centro del suo seminario la questione che può essere riassunta con queste parole: “come se fosse vero”. Che vuol dire? Il drammaturgo racconta un fatto, una storia che non è vera; che non è reale, ma irreale. Questa irrealtà è fatta della materia di cui sono fatti i sogni. Non essendo una realtà vera non può che essere una realtà di natura linguistica, una realtà ri-creata, cioè poetica, dove il termine poetico non sta a significare l'aura poetica della forma, della bellezza estetica, ma il senso di quello che accade in scena. In altre parole, è la sostanza raccontata dal drammaturgo in virtù del comportamento poetico assunto nello svolgimento del suo racconto (lineare o tabulare). L'atto della creazione artistica, e nel caso specifico della scrittura drammaturgica, è dunque un atto di ri-creazione, e su questo punto il nostro autore è stato chiaro e inequivocabile, come nel dichiarare la predilezione rivolta al “teatro della comunicazione”: della comunicazione chiara e della comunicazione oscura, destinate ad intrecciarsi nella tessitura del racconto teatrale. Un racconto “che produce energia vitale”, un racconto “vitale e comprensibile”: comprensibile di certo non fino al punto da indurre il drammaturgo a dire quello che non può e/o che non deve essere detto.

Bassetti ha posto poi in pragmatica evidenza la funzionalità della stesura del soggetto, la scaletta dei fatti e degli avvenimenti, il trattamento, la organizzazione dei “colpi di scena” con lo scopo di tenere desta l'attenzione dello spettatore e di salvarlo dalle atmosfere del “teatro mortale”, per dirla con Peter Brook. Il drammaturgo scrive per l'attore o per il pubblico? Scrive “per essere attivo”, “per intervenire” nella vita della polis, “per comunicare” il suo punto di vista su un determinato fatto o avvenimento. Scrive “per il pubblico contando sulla mediazione dell'attore”. L'arte dell'attore può essere trasmessa ad altri? Un'attrice - ha raccontato conclusivamente Bassetti -, dopo aver studiato, lavorato ed essersi allenata per molti anni con il suo maestro, un bel giorno ebbe nei suoi confronti un atto di rifiuto e di ribellione violenta. Il regista l'ascolta, poi la guarda negli occhi e le dice: “Adesso posso dire che sei stata una mia allieva”.

Un drammaturgo di talento, un seminario che ha prodotto senso, un bel gruppo di uditori, attenti e partecipi. Il Cendic ha fatto centro anche con questo seminario.