EditorialeIn itinereFocus Nuove arti visive e performative A sipario aperto LiberteatriContributiArchivioLinks
         
       
 

Al palo della morte

di Letizia Bernazza

 

Ci sono alcuni spettacoli sui quali non riesco a scrivere subito dopo averli visti. È come se dovessero ‘abitare' dentro di me prima di restituire la mia testimonianza ai lettori. Mi è già capitato, di rado devo dire, ma amo ribadirlo ogni volta che accade. Si tratta di messinscene particolari, intense, poetiche che aprono una breccia nel cuore e nella mente. Al palo della morte di Margine Operativo è una di queste. L'ho vista al Teatro Argot a fine marzo e da allora ho ripensato spesso alla storia narrata: l'omicidio di Muhammad Shahzad Khan, un ragazzo pakistano di ventotto anni ucciso il 18 settembre del 2014 in via Ludovico Pavoni, nel quartiere romano di Torpignattara. Ho abitato per molti anni in quella zona. È stata il mio luogo di adozione durante gli anni dell'Università. Emotivamente non me ne sono mai separata. Conosco ogni angolo, ogni strada e ricordo perfettamente l'omicidio di Shahzad, sebbene ormai non vivessi più lì da un po'. Nel 2015, quando è uscito il libro-inchiesta di Giuliano Santoro ( Al palo della morte. Storia di un omicidio in una periferia meticcia , Edizioni Alegre) l'ho comprato immediatamente. Sono rimasta affascinata dalla sua scrittura semplice ed efficace, ma soprattutto ho apprezzato la capacità dell'autore di ricostruire una realtà complessa della quale l'ingiusta morte di Shahzad è soltanto la punta di un iceberg che affonda le sue radici nell'occupazione, da parte di qualche migliaio di migranti (in gran parte di origine pakistana), dell'ex pastificio Pantanella. Siamo nell'ottobre del 1990. Nella mia mente è impresso in maniera indelebile il delinearsi progressivo del fenomeno. Ogni sera - quando tornavo dall'Università e prendevo a Porta Maggiore il trenino o l'autobus in direzione via Augusto Dulceri – osservavo nell'edificio dismesso sulla via Casilina (a metà strada fra San Lorenzo e il Pigneto) un continuo pullulare di gente. Un'occupazione lenta che, come evidenzia lo stesso Santoro, ha segnato il rapporto città-migranti e il dibattito politico sul ‘problema' dell'immigrazione connesso all'assenza di un piano programmatico volto a risolvere le urgenze abitative e il flusso progressivo di persone. Senza mezzi termini si parlava di un' ‘emergenza nazionale'. L' ‘allarme' si traduceva anche lessicalmente, complici i media, in un insormontabile problema relazionale (Noi e gli Altri o peggio Noi contro gli Altri) da cui è derivato un pesante isolamento nei confronti della comunità stanziatasi nell'ex pastificio. E non solo.

Il lavoro di Margine Operativo - liberamente ispirato al libro di Giuliano Santoro - ha il pregio di entrare nel vivo delle questioni affrontate dall'autore, restituendole agli spettatori con un linguaggio teatrale potente ed incisivo. In poco meno di un'ora, Pako Graziani e Alessandra Ferraro tracciano un percorso a tappe, i cui tasselli prendono forma attraverso le parole e le azioni dei due bravissimi interpreti: Tiziano Panici e Aleksandros Memetaj. Quando si entra in sala, gli attori sono già lì, dietro un lungo tavolo affollato di giornali. Si guardano con insistenza. Impossibile non recepire l'impellenza di dover comunicare qualcosa in quello spazio semi-vuoto dove, sul lato sinistro, ci sono soltanto una bacheca e un microfono. <<Questa non è una requisitoria>>, afferma uno degli attori. È tra le prime battute ad essere pronunciate. E non è casuale: come a ribadire che non c'è l'intenzione di ‘mettere in scena' un'arringa finalizzata a riassumere e a precisare dei capi d'accusa contro degli imputati, quanto il proposito di condurre i partecipanti all'interno di una macro storia (la morte di Shahzad), tessitura drammaturgica di tante micro storie sovrapposte e concatenate tra di esse con lo scopo di comporre un unico grande puzzle.

Il pestaggio del giovane pakistano rivive drammaticamente nel racconto dei due protagonisti, i quali – vestendo, di volta in volta, i panni delle differenti persone chiamate in causa – sembrano accompagnarci in via Ludovico Pavoni dove risuona il canto di Shazad, prima di essere finito a calci e pugni da un minorenne romano; il grido di allarme di una signora che scongiura l'intervento della polizia, ma anche le urla di un uomo adulto che le intima di tornarsene ai Parioli e di non intromettersi. Non c'è tempo per distrarsi. Gli attori reclamano attenzione. Il turbamento per quanto avvenuto si trasferisce nella loro ‘partitura' fisica e vocale che raggiunge l'acme quando si scopre che ad istigare il minorenne a portare a compimento l'omicidio di Shahzad fosse proprio il padre. L'insano cinismo di quell'adulto irresponsabile stride con la ricerca dignitosa del ragazzo pakistano di intraprendere la strada dell'integrazione in una capitale segnata, suo malgrado, dall'esclusione sociale e dalla marginalizzazione. Shahzad aveva creduto nella realizzazione di un sogno: pensava di dare una svolta alla propria vita e consegnare un futuro migliore a suo figlio, mai visto e lasciato nel suo Paese d'origine.

I due attori, non si separano dalla bacheca sulla quale fissano foto, attaccano ritagli di giornale, evidenziano accadimenti, danno conto di una cronologia che dalla vicenda di Shahzad si allarga in un vortice che trascina <<migranti, giovani precari, un'opinione pubblica ossessionata dal ‘diverso'>>. In tuta e felpa con cappuccio, sono instancabili. Non risparmiano mai la loro energie. Né quando devono sottolineare il loro dissenso nei confronti di quell'ignobile fatto di cronaca nera né quando, allargando il cerchio, si spingono a raccontarci i meccanismi di ‘inclusione ed esclusione' di una capitale strozzata da una finta logica di gestione dell'emergenza che ha prodotto il sistema di Mafia Capitale e ha creato un'opinione pubblica ossessionata dal ‘degrado', dal ‘decoro' e dalla violenza.

La ‘terra di mezzo' del Pigneto si fa crogiolo e metafora di un Mondo che reclama comprensione. Un luogo definito da un personaggio di Carlo Verdone nel film Un sacco bello come remoto e imprecisato, che oggi è un quartiere di confine e, proprio per questo, un'originale esperienza di meticciato e solidarietà. Nello spettacolo ricordata con quei pranzi preparati intorno a grandi pentole i cui profumi di cibi e spezie imperlano le strade del quartiere e invitano gli abitanti a cibarsene e a prenderne parte tutti insieme.

 

 

Al palo della morte

uno spettacolo di Margine Operativo, liberamente tratto dal libro di Giuliano Santoro

ideazione Alessandra Ferraro e Pako Graziani

drammaturgia e regia Pako Graziani

con Tiziano Panici e Aleksandros Memetaj

sound designer Dario Salvagnini

light designer Valerio Maggi

foto Emanuela Giusto

Teatro Argot Studio, Roma, fino al 23 marzo 2017