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Tanto glamour per nulla
A Cat on a Hot Tin Roof all'Apollo Theatre di Londra: la rivisitazione del capolavoro di Tennessee Williams con Sienna Miller protagonista non arde e non seduce

 

di Carla Di Donato

 

 

<<Ma… è il sole o la lampadina che arde e scotta?>>, Tennessee Williams, Premio Pulitzer nel 1955, anno del debutto a Broadway del suo La gatta sul tetto che scotta , commenterebbe così A Cat on a Hot Tin Roof, che ha appena chiuso le sue repliche all'Apollo Theatre di Londra.

Benedict Andrews, alla seconda regia di un dramma di Williams dopo il potente A streetcar named desire (2014) , protagonista l'ex-star di X-Files Gillian Anderson, opta qui per uno ‘spaesamento' contemporaneo del testo in una produzione volta a dare ‘allure' patinata e prurito glamour a partire dalla scelta di casting: Sienna Miller (Maggie the ‘Cat') e Jack O' Connell (Brick, il marito, ex-atleta dipendente dall'alcol).

Due lead characters alquanto deboli però, con abilità limitate in scena, che stridono, talvolta letteralmente, con la tessitura policroma ed il mosaico di potenzialità latenti della scrittura di Williams.

Una struttura di pareti metalliche color oro, imponente nella sua laminata freddezza, ingabbia una scena sopraelevata (di Magda Willi) - la camera da letto dei protagonisti - ove troneggia a destra una doccia su cui si apre il primo atto con un Brick naturalisticamente nudo sotto il suo getto, a sinistra un grande letto matrimoniale, in diagonale opposta al quale si posiziona la toilette da donna con specchio, regno di Maggie… ‘the Star', più che ‘the Cat'.

Il primo atto è sostanzialmente nelle mani di Sienna Miller, che ha quasi tutte le battute. L'emissione vocale dell'attrice raramente esula da un vagamente stridulo mono-tono, con scarti di volume basso/alto tesi a dare ‘potenza' alla sua Maggie. Una fisicità extra-skinny, nervosa e più concentrata nel tuning giusto delle curve dei boccoli dorati che nella padronanza del ruolo, traduce la sensualità lasciva e divorante, frutto della frustrazione sessuale subìta nel matrimonio, che, insieme ad altri, è uno dei leit-motiv del personaggio.

Nel suggerirci che sensualità in un adattamento teatrale contemporaneo del capolavoro di Tennesse Williams è il composto del glitter di un abito da sera, di vistosi accessori (bracciale, orecchini), dell'incarnato classicamente eburneo esibito integralmente, il tutto sotto il giusto spot di luce, la Miller attrice apre la porta al fantasma di icona dei tabloid che combatte. Il gossip della stampa anglofona legato al suo nudo nel finale, a molti apparso pretestuoso - come il nudo di O'Connell/Brick in quasi tutta la prima parte - ne corrobora l' immagine.

Il secondo atto si presenta più potente e ben strutturato nell'orchestrazione drammaturgica degli attori grazie al resto del cast, in particolare Squires (la cognata Mae) e Palfrey (Big Mama). Nella scena padre/figlio, il cui perno è la presunta omosessualità repressa di Brick nel rapporto con il suo amico Skipper suicida dopo aver ceduto al desiderio di Maggie, Colm Meaney (Big Daddy) spicca per caratura e carisma interpretativo e O'Connell ha momenti di fiero dolore, dando vita e senso a quella spietata analisi compiuta dall'autore della società americana intrappolata - fino alla morte - tra ipocrisia e perbenismo.

In generale però l'assenza di complessità, di sottotesto, nel restituire i silenzi o i suoni gutturali di Brick, soprattutto nel primo atto, lo trasforma, nel suo apparentemente pago tacere, in un apatico quanto felice alcolista che attende soltanto il ‘click' mentale per disconnettersi dal mondo e finirla. Nient'altro. C'è di più in Tennessee Wiliams, ma non c'è qui. Per contrasto, balza agli occhi l'immagine di un Ed Harris in Buried Child (del Premio Pulitzer Sam Shepard, anche qui ricorre l'asse Broadway-Londra) tragico, silente naufrago nel suo corroso sofa, la cui abilità cinestetica suggeriva allo spettatore più d'un romanzo. Si avvalora pertanto l'ipotesi che a rivelarsi fallace sia la natura stessa di questa produzione che strizza vistosamente l'occhio allo star-system e si fonda su un rapporto di equivalenza ovvio dei plurimi e densi significanti del testo. Stride che sia stato lo Young Vic a produrlo, non ad ospitarlo. Subito in scena al West End, destinazione cool, a rispecchiare la temperatura dello spettacolo che non scalfisce l'estetica glamour della sua confezione.

crediti fotografici di: Johan Persso

 

A Cat on a Hot Tin Roof

di Tennessee Williams

regia Benedicy Andrews

assistente alla regia Finn den Hertog

design Magda Willi

costumi Alice Babidge

luci Jon Clark

musiche Jed Kurzel

suono Gareth Fry

con Brian Gleeson, Richard Hansell, Colm Meaney, Sienna Miller, Jack O'Connell, Lisa Palfrey, Michael J. Shannon, Havley Squires.

Apollo Theatre, Londra, dal 13 luglio al 7 ottobre 2017