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E poi verso il Performer

di Antonio Attisani

 

Se l'esilio è l'interdizione di vivere nel luogo a cui appartieni perché coloro che comandano non ti vogliono, il ritorno dall'esilio, per un intervenuto perdono o comunque per un cambiamento delle condizioni, è l'approdo del movimento di rivoluzione che sempre comincia con quella dis-grazia. Nella storia del cittadino Grotowski sicuramente ha contato molto l'esilio dalla Polonia degli anni Ottanta, ma un altro esilio, non meno pesante, è quello che ha vissuto come individuo: Grotowski infatti diceva chiaramente di considerare il mondo invivibile, di sentirsi non nato nel mondo e per il mondo, seppure aggiungendo che lavorando rigorosamente nel qui e ora è possibile trovare molte cose.

Che cos'è allora la salvezza? Ci sono misteri da meditare, esperimenti da realizzare. Come? Con lo strumento della performance, conducendo una “guerra santa” contro se stessi, ossia contro il potentissimo istinto di adattarsi al mondo com'è o come appare. Per realizzare cosa? In Performer Grotowski definisce l'esito breakthrough, sfondamento, traducendo liberamente Eckhart. Lo sfondamento è un ritorno dall'esilio, dunque possibile, ritorno non agli inizi ma all'inizio (to the beginning » ). E aggiunge di crederci, perché crede in ciò che ha sperimentato. La fenomenologia di Grotowski non ha dunque nulla a che vedere con una concezione altezzosa del teatro e della cultura, come qualcuno gli rimproverava, ma è l'espressione di una radicalità, di un rigore e di una intransigenza considerati indispensabili per sottrarsi a una “vita di merda”. Forse l'ossimoro della compassione crudele – per quel che valgono le definizioni – è quello che meglio traduce il suo atteggiamento e ne indica le valenze etiche e politiche.

Negli anni Ottanta Grotowski preferiva ricorrere a termini nuovi come performance e performer (e Performer con la maiuscola), insieme a attuante (traduzione dell'inglese doer), Azione, ecc., con ciò indicando qualcosa che ha a che fare con l'arte e il teatro ma al tempo stesso va oltre. Nonostante ciò, persino in un testo-chiave come Performer, alla fine ci si ritrova di fronte al termine più compromesso e inflazionato della storia umana: Dio. Per Grotowski e per coloro che si collocano nella medesima prospettiva queste oscillazioni concettuali non rovinano in contraddizioni invalidanti dell'agire, anzi, sono parte organica di una operatività basata certamente sulla primarietà dell'elemento fisico ma anche sull'impegno a costruire un linguaggio vivo, tale da consentire di condividere e decostruire esperienze che, benché indispensabili, rischiano l'entropia se non si depositano in una consapevolezza condivisa. In questo senso ricondurre l'elemento psichico al corpo è il segno di un superamento, non di una riduzione, e il corpo stesso non è più un valore limite nel momento in cui lo si riconosce come luogo attraversato e non come causa costituente delle varie istanze che le esperienze rendono operanti.