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Logiche della performance.

Dalla singolarità francescana alla nuova mimesi

1. Il teatro dei santi folli

E davvero incredibile che ci si possa interessare alla storia del “comportamento teatrale” nelle diverse civilta ignorando figure come Francesco d'Assisi (1181-1226), il leggendario fondatore del teatro tibetano Thangtong Gyalpo (1361-1485?) e tanti altri “santi folli” appartenenti a diverse tradizioni. La modernità ha prodotto la frattura e imposto i propri paradigmi, forte degli enormi progressi e benefici apportati all'umanità ma forte anche della censura di possibilità diverse per concepire il senso della propria presenza nel mondo. I santi folli, poi, non si fanno incontrare in vere e proprie storiografie, perché essi stessi non si sono occupati di fissare le proprie gesta e ordinare una dottrina. Erano poeti e rivoluzionari, lottavano per cambiare se stessi e il mondo, per trovare una con-sonanza tra tutti gli esseri umani e la natura. Per quelli appartenenti alle religioni monoteiste il fine perseguito era l'unione con il divino, per gli altri la realizzazione della vita in sè (verità e senso), per tutti comunque si trattava di superare una vita “imposta” dalle convenzioni sociali e dalla cultura di appartenenza e di accedere alla “vita ri-creata”, o vita eterna. Il loro modo di intendere la vita e la poesia metteva in secondo piano la scrittura, convinti com'erano che l'essenziale si potesse trasmettere soltanto nella relazione individuale e comunitaria, al presente. Perciò non restano scritti che li rappresentino appieno e, quando si tratta di canti, ne possediamo a volte le descrizioni o i testi, ma poco o nulla si sa delle melodie, dei ritmi e delle coreografie corrispondenti, ossia di ciò che conta davvero, vale a dire il “teatro” in cui si realizzavano. Oggi possiamo affermare che la cultura e il teatro dell'Occidente non sarebbero ciò che sono se Francesco d'Assisi fosse stato considerato davvero parte della “nostra” storia, come e accaduto per esempio in Tibet con il nyonpa e fondatore del teatro Thangtong Gyalpo [1].

Un tale riconoscimento avrebbe dato vita a una tradizione delle arti rappresentative completamente diversa da quella che ci e familiare. Tuttavia, se è vero che applicarsi a tracciare una storia ipotetica e un'impresa vana, il fatto di orientare l'attenzione verso l'originaria idea francescana di teatro, o meglio – come si vedrà – di azione poetica, o meglio ancora: performance, aiuta a comprendere come in Francesco si incarnasse una concezione della teatralità non fondata sulla illustrazione ideologica di concetti o testi, ossia sull'articolazione discorsiva, e nemmeno riducibile alla successiva predicazione tramite exempla. In altre parole, ciò che si può definire come «teatralità Francescana» non ha nulla da spartire con il sistema della rappresentazione europeo rinascimentale e post-rinascimentale destinato a diventare il protocollo universale della scenicità. Dal Cinquecento il teatro assumerà la propria fisionomia moderna di specialismo e di arte intesa come produzione di forme, mentre Francesco concepiva la teatralità come un'attivita filosofica e cognitiva, una ontologia e una gnoseologia fisiche, come gioco e insegnamento nel quale ciò che conta non sono le forme intese come prodotto e modello (immagine), ma un'azione strutturata, un processo destinato a trasformare il corpo-mente di attori e spettatori.

Naturalmente il caso di Francesco d'Assisi, per quanto particolare, non è estraneo alle coordinate della storiografia. Per esempio nulla si può dire di lui se non si decide quale valore attribuire ai testi che lo riguardano. I mutamenti di cui è stato portatore nell'ambito della Chiesa e della stessa civiltà medievale hanno talmente scosso coloro che lo hanno conosciuto o che dovevano fare i conti con la sua eredità, da produrre una miriade di resoconti e interpretazioni della sua figura e della sua opera.

Ciò non toglie, però, che «gli elementi essenziali della [sua] biografia sono scomparsi o sono stati completamente alterati» [2] come ammetteva Paul Sabatier, il primo studioso moderno e rigoroso che abbia consacrato la propria vita allo studio della questione francescana. Un accurato vaglio delle fonti primarie portò Sabatier alla conclusione che, a parte i rari autografi dello stesso Francesco, per lo più scritti in latino – lingua che usava per dovere e senza particolare maestria –, ognuna delle sue biografie va letta secondo il progetto dottrinale della fazione committente. E poiché i contrasti e le valutazioni alterne caratterizzarono lo stesso ordine francescano fin da prima della morte di Francesco, si può immaginare in quale selva di interpretazioni ci si debba districare. Lo studio è però facilitato dall'abbondanza delle edizioni moderne e dei contributi storico-critici che, anche quando non sono condivisibili, poggiano su un vaglio della letteratura precedente, e sempre esplicitando le proprie fonti. Si deve anche aggiungere che per esaminare la figura di Francesco dal punto di vista del comportamento performativo, le dispute ideologiche in questione non costituiscono una insormontabile interferenza, giacché il contenzioso tra biografi riguarda piuttosto il portato dottrinario e temi come i miracoli o le stimmate, mentre i comportamenti performativi che costituiscono l'asse centrale della nostra attenzione appartengono alle zone della biografia francescana meno soggetta a interpretazioni e manipolazioni, cosi che e possibile procedere abbastanza agevolmente sulla scorta della “agiografia critica” moderna, dal testo di Sabatier ai più recenti testi di svolta di Chiara Frugoni [3] e infine ai lavori di Sandra Migliore [4].

In questa sede, però, non si può rendere conto dell'impatto avuto dalla questione francescana sull'arte rinascimentale e moderna. Qui ci si concentrerà piuttosto su quanto e come una idea dell'“agire scenico”, sia pure storicamente sconfitta e marginalizzata, abbia influenzato – con consapevolezza delle sue origini o meno – il teatro occidentale, in particolar modo riaffiorando in alcune delle maggiori avanguardie del XX secolo e in seguito assumendo un'importanza sempre crescente, benché scarsamente documentata. Basterà ricordare che a partire dalla fine del XIX secolo, prima con Henry Thode [5], poi con il citato Paul Sabatier [6], Ernest Renan [7] e altri autori, Francesco si ripresenta alla ribalta della cultura occidentale e sprigiona una fascinazione enorme soprattutto negli ambienti artistici, laddove con maggiore facilità, e a volte anche con eccessiva disinvoltura, la suggestione del suo messaggio poteva essere accolta senza necessariamente accordarla con la dottrina cattolica, anzi, Francesco diventava una icona della eterodossia e della ribellione, trasformandosi da personaggio storico in mito. Tanto meno si potrà qui rendere giustizia del travaglio e delle correnti ecclesiali che si contrappongono nella interpretazione del peculiare umanesimo francescano [8], ovvero nella sua riproposizione attiva al mondo contemporaneo, sempre in funzione di quel modo di vivere la fede che arriva a comprendere i ribelli interni alla Chiesa, i sacerdoti combattenti o militanti politici del Terzo Mondo e quell'ecumenismo critico della globalizzazione che oggi trova in Assisi la propria capitale [9].

Ciò che si propone con il presente contributo e rilanciare l'idea che il tema francescano costituisca una pagina fondamentale della storia culturale dell'Occidente e anche, non incidentalmente, delle sue arti rappresentative. Nella visione di Francesco il trascendente e l'indicazione di una finalità e un mezzo di propulsione che lega indissolubilmente “terra” e “teatro”, ovvero il mondo come insieme vivente, il reale in tutti i suoi aspetti, più o meno esperiti e apparenti, e la specifica possibilità umana, l'azione di conoscenza e trasformazione, di se stessi innanzitutto, perchè il mondo e anche tutto dentro di noi, e la trasformazione necessaria e un processo di riconoscimento attivo e reciproco. Su questa base, e proponendo alcuni frammenti di una riflessione individuale, non si pretende di esaurire qui il tema della “teatralità francescana”, ma soltanto di invitare a una nuova riflessione, individuale e collettiva, nella convinzione che le attuali «Fonti francescane» [10] siano per chi si interessa di teatro non meno importanti delle Sacre Scritture per i credenti delle religioni monoteiste. Non fare i conti con Francesco significa rassegnarsi a una lacuna inammissibile, come sarebbe quella di una cultura letteraria che non comprendesse l'Antico e il Nuovo Testamento o di una cultura dell'immagine priva di un capitolo sugli affreschi di Lascaux e della Grotte Chauvet.

La teatralità di Francesco consiste in una incredibile varietà di azioni poetiche, che sarebbe riduttivo definire “rappresentazioni”, il cui scopo e quello di realizzare una trasformazione individuale e collettiva; e il complesso di figure appartenenti tanto al cattolicesimo quanto all'immaginario medievale cui Francesco fa riferimento si compongono in una inedita allegoria che rifugge dalla scrittura come espressione della rigidità dottrinaria, nel segno della ricerca di felicità autentica. In un certo senso il suo si potrebbe definire un teatro estatico , in quanto la trasformazione si ottiene tramite una uscita da se, un viaggio dei sensi e della mente, ma d'altra parte si deve riconoscere che ciò avviene, a differenza di altri mistici, attraverso una creazione di forme, ossia di una poetica tanto povera per i mezzi impiegati quanto animata da una grandiosa creatività. Un ulteriore aspetto rilevante sta nel fatto che non tutti i partecipanti a questo teatro sono tenuti a realizzare il medesimo grado di esperienza e di concettualizzazione (“catarsi”), ma, al contrario, ognuno vive una esperienza propria e unica, divenendo in tal modo un “personaggio” attivo tra gli altri che popolano l'opera. Tale varietà origina da una postura fondamentale che oggi e definibile soltanto con il termine “performance” nell'accezione delineata in modo esemplare da Jerzy Grotowski, come si vedrà più avanti. In effetti di Francesco non resta una vera e propria storia ma una leggenda o un mito, un mito disomogeneo, contraddittorio, un mito al quale contribuiscono fatalmente, data la singolarità del personaggio, anche coloro che vorrebbero darne una immagine realistica, puramente umana. Un mito e vivo se funziona, se mette in moto pensieri e azioni. Nel XX secolo con Francesco ciò e accaduto. Pero se si vuole guardare al di la della storia di questo mito che nel teatro ha ispirato, tra l'altro, l'opera di Jacques Copeau o di Luigi Pirandello [11] la cosa più urgente da fare è riflettere sull'idea originaria francescana e confrontarla con i suoi esiti immediati o lontani, ma soprattutto con l'irrequietezza della ricerca teatrale contemporanea nella sua dimensione filofisica. Per fare ciò, bisogna lasciarsi alle spalle ogni determinismo filologico e concentrarsi sull'euristica del mito, della immensa allegoria sfrangiata costruita da tanti autori diversi, e ciò senza speranza e progetto di trarne un ricettario ideologico, nonché assumendosi l'onere di interpretazioni almeno in un primo momento manifestamente individuali. In particolare è interessante mettere in relazione la performativi francescana con la ben nota controversia tra le istanze delle avanguardie e quelle dello spettacolo, pervenendo cosi, tra l'altro, a una visione di Francesco assai diversa da quella, oggi vulgata, del patrono dell'ingenuità e di un blando ecologismo.

[...]

2. Testo e fuori dal testo

Come si e detto, la storia del teatro sarebbe stata diversa se Francesco avesse definito se stesso e i suoi confratelli « attori » anziché « giullari di Dio » ( joculatores Domini ) o se fosse stata accreditata la sua concezione del “per-formare”. La questione va pero corretta, dato che il termine « attore » sarebbe ridivenuto di uso corrente molto più tardi, affermandosi con quel teatro che, pur essendo solo uno dei tanti possibili, a noi contemporanei appare come il teatro. Nella Leggenda Perugina [1] si racconta come Francesco incaricasse frate Pacifico, nel secolo un grande trovatore incoronato come «Rex versuum» [2] alla corte di Federico II, di istruire e forse di portare con se per il mondo alcuni frati per cantare le lodi di Dio. Pacifico fu il primo frate inviato a predicare in terra di Francia, dopo che allo stesso Francesco era stato impedito di andarci dal cardinale Ugolino. Francesco elaboro per la prima volta in tale circostanza, dopo avere composto testo e melodia della sua lauda più celebre, una performance-tipo che iniziava con un sermone e si concludeva con un canto collettivo, ossia con l'esecuzione delle laudi, per le quali i frati, in quanto « giullari di Dio » professionisti, non avrebbero chiesto in cambio del denaro ma un impegno a vivere rettamente. Pacifico, « gentilissimo maestro di canto » [3] avrebbe fornito ai frati i primi rudimenti dell'arte. Francesco stesso e descritto altrove, per esempio nella Vita seconda di Tommaso da Celano, come esecutore di danze e canti « alla maniera giullaresca » e « traboccante in giubilo » : A volte si comportava cosi. Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all'esterno con parole francesi, e la vena dell'ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo alla maniera giullaresca.

Talora – come ho visto con i miei occhi – raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti, come fosse una viella, e cantava in francese le lodi del signore [4]. Oltre a notare che Francesco « parlava molto volentieri questa lingua, sebbene non la possedesse bene » [5], e pertanto la usasse non spontaneamente bensì come una lingua artificiale (oltre tutto poco comprensibile ai più), propria della situazione performativa [6], e che anche quel semplice « archetto tenuto curvo da un filo » implica una preparazione dell'atto, si deve rilevare che il giubilo e, secondo Agostino, da intendersi non come « pronuncia di parole, ma un certo suono di letizia senza parole, la voce dell'animo traboccante di letizia » ( Omelia sul Salmo 99 ). Si fosse parlato di attori o giullari, dunque, ciò non avrebbe comportato sostanziali differenze, non avrebbe impedito la censura di Francesco e la sua diplomatica canonizzazione come santo della Chiesa apostolica romana, mentre il Cantico di frate sole sarebbe stato ugualmente considerato giusto come un prodromo della letteratura in volgare. In breve: ugualmente un presunto “teatro francescano” sarebbe divenuto un testo affidato all'interpretazione degli specialisti e non lo si sarebbe “lasciato morire” naturalmente, come spetta a ogni forma teatrale quando se ne assuma la responsabilità di eredi; gli studiosi contemporanei non avrebbero riconosciuto a Francesco il suo carattere di ponte tra antiche tradizioni rappresentative e contesto prerinascimentale; ne, ugualmente, Ioan P. Couliano avrebbe preso in considerazione Francesco tra i protagonisti del suo I viaggi dell'anima , brillante saggio sulle tecniche estatiche e le rispettive radici sciamaniche nel mondo intero. Tutto ciò perche i documenti non consentono apparentemente di ricondurlo a tali classificazioni [7]. Percontro, Erich Auerbach lo avrebbe incluso ugualmente nella propria galleria di esempi di realismo nella letteratura occidentale, ma si sarebbe limitato, come ha fatto, agli scarni reperti scritti [8]; e Ivan Illich avrebbe argomentato su « alfabetizzazione laica » e « alfabetizzazione religiosa » nell'Europa medievale e nella modernità, cosi come sulla nascente impresa editoriale e la lettura [9] sempre senza tenere conto della sostanziale differenza francescana. Tutto sarebbe avvenuto allo stesso modo semplicemente perche Francesco agiva innanzitutto fuori del testo e concepiva la propria vita, cosi come quella di ogni buon cristiano e in primis dei confratelli, come una “performance rivoluzionaria”, un'azione che cambia la vita di tutti coloro che vi prendono parte e la rende, da pura reazione alle contingenze, un evento capace di “verticalizzarla”. Il suo obiettivo dichiarato era quello di riattualizzare e reincarnare i comportamenti di Gesù e di concretizzare una idea di comunità cristiana, ma, come e proprio di ogni riattualizzazione, la questione andava ben al di la del produrre o riprodurre un testo, si trattava di interpretare il senso delle azioni di Cristo affinché le proprie fossero efficaci nel presente. Eppure quasi tutti gli autori riconoscono il ruolo primario assunto dalla performance nella vita di Francesco. La loro posizione potrebbe essere riassunta con i termini di Auerbach: « Tutto ciò che fece fu una rappresentazione e le sue rappresentazioni erano di tale forza che egli trascinava con se tutti coloro che lo vedevano o ne avessero sentisse parlare » [10]. Analogo inquadramento riduttivo e espresso da Giovanni Miccoli, che mette l'accento sulla divulgazione popolare: « Nella sua predicazione e certo frequente il ricorso a forme drammatiche, a termini, modi di dire, riproposizioni di scene e situazioni quotidiane, per alludere, in un linguaggio evidente e comprensivo, a problemi di ben altro peso » [11]. Insomma nessuno prende in considerazione il dato teatrale nella sua peculiarità e tutti rivolgono l'attenzione verso quel modello di cui Francesco tenterebbe la rappresentazione: il Cristo. Francesco, invece, non si prefiggeva di rappresentare Gesù Cristo bensì di agire e di indurre ad agire in base ai medesimi principi. Il che e tutt'altra cosa. Come quasi sempre accade, anche in questa vicenda il teatro e sottratto alla storia proprio attraverso la creazione di una storia del teatro intesa come disciplina separata, definita da un proprio lessico; e la storia del teatro, per lo stesso motivo, non prende in considerazione Francesco se non tra i precedenti di un modello di arte rappresentativa che si definisce compiutamente altrove. Auerbach, per esempio, insiste: « L'essenza della sua natura e il vigore del suo comportamento sono basati sul desiderio di una radicale e concreta imitazione di Cristo » , e mette ciò in contrasto con « l'aspetto mistico-contemplativo » prevalente al tempo [12]. Il mancato riconoscimento di una parte non secondaria del lascito francescano si spiega dunque con la pertinace convinzione che il teatro sia un'altra cosa, con una propria storia che scorre distante da quella dei frati giullari. Il che e vero, come si va man mano chiarendo, ma solo a posteriori, laddove si identifica il teatro tout court con la drammaturgia, gli edifici e i protocolli che si sono andati affermando a partire dal Rinascimento. Cosi facendo, pero, si ignora che la teatralità francescana era qualcosa di diverso: sicuramente proponeva un modello storicamente perdente, ma non per questo meritava e merita di essere ignorata, anzi. Nell'ambito degli studi più recenti una eccezione e rappresentata da Chiara Frugoni, come s'e detto. La medievista ha dedicato diverse opere a Francesco [13], sempre mettendo in luce le più o meno rozze ingerenze del potere ecclesiale fino dai primissimi tempi della sua azione e permettendo al lettore di comprendere come parte dell'insegnamento francescano si sia salvata proprio grazie alla sua natura di non-testo. Frugoni non si stanca di sottolineare il ruolo centrale del comportamento performativo di Francesco e spiega come gli aspetti più rilevanti delle forme teatrali da lui create fossero incompatibili con i valori e i modelli comportamentali della Chiesa e del nascente potere giudiziario moderno [14]. Nessuno può ignorare il tentativo di reprimere e poi incanalare la novità francescana nell'ambito istituzionale, ma soltanto alcuni, come Frugoni, si sottraggono alla tentazione di sminuire la figura di Francesco con la sottolineatura della sua insostenibile esaltazione oppure facendo riferimento ad altre circostanze storiche o tratti psicologici [15]. Indicativo in proposito e ancora Miccoli, il quale accenna a sua volta a una verità ufficiale ed edulcorante su Francesco e a una sincrona interpretazione opposta, riguardante il suo « tradimento » da parte della Chiesa quando ancora era vivo, pero rassegnandosi al fatto che siano « contrapposizioni e dilemmi cui non è facile sfuggire » [16]. In realtà Miccoli sembra più propenso ad accettare la verità ufficiale, giustificandola sommariamente con un accenno al « plagio » subito dal Nostro: « […] in quel periodo Francesco era sotto l'influenza di un gruppo di frati idealisti, al di fuori della realtà » [17]. Sic !

 

Note

1. Il teatro dei santi folli

1. La letteratura su Thangtong Gyalpo e relativamente vasta e autorevole, soprattutto in lingua inglese. Se ne trova riscontro in A. Attisani, A che lha mo - Studio sulle forme della teatralità tibetana , Olschki, Firenze 2001, in particolare cap. iv , « Leggende e storie » , pp. 225-302

2. Si cita da P. Sabatier, Vie de S. Francois d'Assise (1894), Librairie Fischbacher, Paris 1905, 32 edizione, p. xxxiii ; per le edizioni italiane cfr. nota 6.

3. Cfr. nota 36 e passim .

4. San Francesco tra due secoli: 1882-1926 - Sussidio bibliografico , a cura di S. Migliore, Istituto storico dei Cappuccini, Roma 2000 e S. Migliore, Mistica poverta – Riscritture francescane tra '800 e '900 , Istituto storico dei Cappuccini, Roma 2001.

5. H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia (1885 e 1904), a cura e con prefazione di L. Bellosi, note filologiche di G. Ragionieri, Donzelli, Roma 1993.

6. La prima edizione italiana della sua Vita di San Francesco d'Assisi , trad. it. Di C. Ghidiglia e C. Pontani, esce nel 1896 presso l'editore Loescher. La piu recente: trad. it. di G. Zanichelli, presentazione di L. Bedeschi, Mondadori, Milano 1978.

7. Il cui Saint Francois d'Assise , usci a Parigi nel 1884, suscitando pero un'eco e una critica delle autorita cattoliche incomparabilmente minori rispetto ai suoi precedenti La Vie de Jesus (1863) e Histoire des origines du Christianisme in otto volumi (1866-81).

8. Per una sintesi in questo senso cfr. R. Lambertini - A. Tabarroni, Dopo Francesco: l'eredita difficile , postfazione di J. Miethke, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989.

9. Cfr. J.A. Merino, Umanesimo francescano , Cittadella, Assisi 1984, e Th. Matura, Il progetto evangelico di Francesco d'Assisi oggi , Cittadella, Assisi 1982.

10. Soltanto da pochi anni il complesso di documenti relativo all'evento francescano e stato filologicamente ordinato in modo rigoroso e offerto al pubblico (in traduzione italiana): cfr. FF.

11. Circa le fonti e il paradigma gnostico di quest'ultimo, per il quale la figura di Francesco e d'importanza fondamentale, cfr. U. Artioli, Pirandello allegorico - I fantasmi dell'immaginario cristiano , Laterza, Bari 2001. Un contributo piu recente, consonante con quelli di Artioli e arricchito da approfondimenti in varie direzioni e quello di R. Tessari, Come un angelo di fuoco. Verita, immaginario e scenotecnica in Pirandello , Bonanno, Acireale-Roma 2012.

2. Testo e fuori dal testo

1. LP, 43, in FF, pp. 790-792.

2. Cfr. VS, IV, 9, in FF, p. 548, dove si dice anche del folgorante incontro tra ilfamoso attore e il santo e della immediata decisione da parte del primo di unirsi al « beato padre mediante la professione, rinunciando totalmente agli onori vani del mondo » . Non è un caso che Pacifico fosse al fianco di Francesco, malato e cieco, mentre questi componeva il Cantico di frate sole e fosse il primo frate inviato a predicare in Francia.

3. FF, p. 792.

4. Tommaso da Celano, Vita seconda [d'ora in poi VS], XC, 127, in FF, pp. 431-432.

5. Cosi nella Leggenda dei tre compagni [d'ora in poi LTC], III, 10, in FF, pp. 701-702. Frugoni ipotizza che Francesco conoscesse bene il francese (forse lingua materna) e sottolinea le molteplici occasioni del suo impiego.

6. Ibid. Per esempio a Roma, davanti alla basilica di San Pietro, travestito da mendicante,per chiedere l'elemosina.

7. Cfr. I.P. Couliano, I viaggi dell'anima - Sogni, visioni, estasi , Mondadori, Milano, 1991.

8. Cfr. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale , 2 voll., introduzione di A. Roncaglia, Einaudi, Torino 1956, e Id., San Francesco, Dante, Vico , Editori Riuniti, Roma 1987.

9. Cfr. I. Illich, Nella vigna del testo - Commentario sul « Didascalicon » di Ugo di San Vittore , Cortina, Milano 1994.

10. E. Auerbach, Mimesis cit., p. 178.

11. G. Miccoli, Francesco d'Assisi - Realta e memoria di un'esperienza cristiana , Einaudi, Torino 1991, p. 289.

12. E. Auerbach, Mimesis cit., p. 178.

13. Oltre al citato Vita di un uomo , si veda C. Frugoni, Francesco, un'altra storia , Marietti, Genova 1988, e Id., L'invenzione delle stimmate , Einaudi, Torino 1993. Il primo e uno studio della tavola su Francesco custodita nella Cappella dei Bardi in Santa Croce, a Firenze, il secondo un saggio sulle contraddizioni in seno al movimento e sulla vicenda delle stimmate, considerate una pia e astuta invenzione dei frati.

14. Cfr., anche, passim le note su Giotto e l'esperimento di teatro/carcere realizzata dal Tam Teatromusica di Padova.

15. Proprio per questo stupiscono passaggi come quello in cui la stessa Frugoni definisce Francesco « grande attore [che] maneggia le parole con la maestria di un avvocato » [corsivo nostro] (C. Frugoni, Vita di un uomo cit., p. 35).

16. G. Miccoli, Francesco d'Assisi cit., p. 74.

17. Ivi , p. 47.

 

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Rivista semestrale di studi sulla vita e le forme del teatro

 

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Éric Vautrin Université de Caën

 

Mimesis Journal Books

Logiche della performance.

Dalla singolarità francescana alla nuova mimesi

di Antonio Attisani

pp. 160

isbn 978-88-97523-27-7

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2012