EditorialeIn itinereFocus Nuove arti visive e performative A sipario aperto LiberteatriContributiArchivioLinks
         
       
 

Alieni Nati

di Ilari Valbonesi

 


Foto di Federica Luzzi

3 maggio 2018. Roma. Incontro Alberto Paolini, poeta, classe 1933, quarantadue anni passati nel Manicomio Provinciale di Santa Maria della Pietà. Sono le diciotto. Nella penombra del padiglione della ex-lavanderia si siede appoggiando sulle gambe una busta di plastica gialla piena di libri che stringe a sé. Accenna al l'elettroshock e alle terribili cure; un lampo gli brilla negli occhi al ricordo dei ragazzi del 68' che manifestavano davanti ai cancelli chiedendo ‘l'abolizione delle strutture totalitarie'; i piccoli tragitti a piedi nel parco, ‘la Villa, così la chiamavamo', il sole, i moscerini, l'occupazione di un padiglione dove inizia a frequentare un laboratorio di scrittura. Dalla busta gialla estrae il suo Avevo solo le mie tasche , già il titolo del libro dà il senso dello stile lucido con cui intesse la sua sobria denuncia poetica del meccanismo immane / che tutto avvolge, stritola, / che tutto succhia, schiaccia, / come una ria bestiaccia, / che mai non resta sazia.
Alberto Paolini è tra i protagonisti di Alieni Nati andati in scena il 18 maggio a Roma, nell'ambito della rassegna  Umane Scintille all'Ex-lavanderia del Santa Maria della Pietà per i 40 anni della Legge Basaglia.
Alieni Nati è u n progetto in azioni che dal parco nella ‘Villa' ascendono al Padiglione 31. Un progetto ‘teatrale' nato dall'incontro tra gli artisti Federica Luzzi e Naoya Takahara, il regista teatrale Fabrizio Crisafulli, le performer Alessandra Cristiani e Simona Lisi, il poeta Marcello Sambati, oltre a Paolini , e con la partecipazione di Adriano Pallotta, ex-infermiere del Santa Maria della Pietà, già attivista delle lotte a favore della deistituzionalizzazione dei ricoverati in manicomio.

 


Foto di Stefania Macori



Foto di Samuele Sestieri


Teatro eccentrico e insieme estatico che dissolve le barriere disciplinari e ancor più trasgredisce la topologia di una città dei pazzi disegnata dai suoi muri, regole, strade, discorsi, edifici, accessi, isolamenti, destinata ad assistere i pazienti ricoverati ma in realtà cruda topografia di una pratica di censura, carcerazione, se non punizione.
Alieni Nati apre un varco alla follia, facendo sbarcare dalla nave di Sebastian Brant, ancora in viaggio dal 1494, otto personaggi nel cuore della città. Alieni Nati s'inscrive in una storia dell'arte e della follia che parte da lontano, dalle fantasmagorie oniriche e infernali di Bosch, per arrivare nelle discariche crepuscolari della Casa de locos di Goya . Ma stavolta lo spettatore è costretto a una formidabile inversione di prospettiva: non c'è visione frontale, rappresentazione, pensiero per immagini verbali e neanche gioco linguistico, realtà aumentata, virtuale o artisticizzata per intenderci.
L'alienazione non si fa ritrarre, come nella celebre serie di Géricault, ma si ritrae . E il soggetto sparisce, lasciando spazio all'immagine sensoriale, così come venne inquadrata già da Freud nella sua Interpretazione , che si mette in scena in maniera diretta, frammentata, spostandosi da azione ad azione, da parola a parola, da oggetto ad oggetto. Magari nell'esercizio di un corpo limitato, costretto dall'abito guscio creato da Federica Luzzi, imbottito di sabbia, indossato da Simona Lisi per la performance Peso.Piuma , che fa tesoro degli insegnamenti di danza buto. Una coreografia onirica, eterea, anti-narrativa, in cui gli ostacoli diventano occasioni per nuovi vissuti spazio-temporali del dolore. Conchiglia, guscio, involucro, corazza, carcassa, parvenza, schema, proiettile, granata, cartuccia, bossolo, è la storia ambigua della s egregazione, di ogni corpo disposto nello spazio, cosa tra le cose - escluso, sedato, incatenato, torturato, segno di una riflessione estranea all'ordine del giorno e della notte.
“L'arte è un addestramento alla sopravvivenza” scriveva Van Gogh al fratello Theo dal ricovero al manicomio di Saint-Rémy . Addestramenti ancora, dispiegati attraverso singoli frammenti, respiri e pause della voce, forma aperta di un molteplice che si dona nel Canto Screziato di Marcello Sambati o in un altrove che vibra nella Macchina acchiappaspiriti di Naoya Takahara, quando capta qualcosa.
La performance Langelo di Alessandra Cristiani indaga altrimenti il muto pensiero nel battito di ali che scandisce l'azione del manifestarsi e del ritrarsi; nel battito di ciglia che si chiudono e si aprono, nella danza che colpisce il suolo e il punto cieco della visione. Lo sguardo è divenuto contatto. Siamo giunti al primo piano nel teatro nero dell'ex-lavanderia. Risuona la voce di Alberto Paolini, le sue poesie, i suoi racconti. Rimbalzano su White Shell Constellation di Federica Luzzi, singoli elementi tessuti e polisemia del guscio, fragili involucri di una scrittura geroglifica che custodisce l'eco. Mediante spostamenti cinematici e condensazioni luminose, Fabrizio Crisafulli attraversa la costellazione di sculture (e di memorie) nell'incandescenza di un dialogo, spezzato, per definizione. Nell'apparire stesso e nel ricordo, la libertà si divide e si sdoppia, si rimuove e si distrugge a volte, per ricomporsi, in forma scandalosa, con Hölderlin, tra luce ed ombra, a Fondare una colonia di narcisi/nel giardino a strapiombo/e farsi amico il mare e la tempesta/dirsi di tutto senza frasi opache/il tempo stringe/che non ci si rassegni a poco sogno.

 



Foto di Samuele Sestieri