“Sette bambine ebree”. La responsabilità di testimoniare di Alessandra Bernocco

Foto di Davide Agostini

«Il ritratto è impietoso, ma la realtà lo è molto di più». Parto da queste parole di Andrea Adriatico perché è la seconda volta, nel giro di pochissimi giorni, che mi trovo a riflettere sul rapporto tra la realtà e la finzione. E anche in questo caso tra la realtà che ci arriva in diretta da Gaza e la narrazione di fatti reali, a decantazione avvenuta.
Rispetto alla vita così violentata, la finzione, che sia teatrale, letteraria, cinematografica, appare indolore, distanziata, risultato di emozioni e interpretazioni soggettive, restituita con chiavi di lettura che risentono della storia personale, sociale, politica, di chi la racconta.

Queste considerazioni mi si sono rimesse in circolo mentre assistevo a Sette bambine ebree. Un’opera per Gaza, presentato il 20 settembre scorso allo Spazio Rossellini, all’interno della rassegna “A Roma, a Roma!” curata da Francesca De Sanctis e prodotta da ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio.
Spettacolo diretto da Andrea Adriatico dall’omonima composizione di Caryl Churchill, una cosa che pare scritta adesso, sull’onda delle notizie che non ci danno pace.
Invece è un testo del 2009, scritto subito dopo l’operazione Piombo fuso, ovvero una delle tante campagne militari di Israele contro Hamas, in seguito al lancio di missili di Hamas su Israele, in seguito all’occupazione di Israele di altri e altri ancora territori palestinesi, in seguito in seguito in seguito, insomma, viene da dire, niente di nuovo. Nemmeno che a farne le spese sono stati i civili, già allora ammazzati, bombardati, affamati.
La stesura a caldo determina l’incandescenza della scrittura, benché la scelta stilistica sia espressamente retorica, fondata su anafore che aprono dialoghi a due ribadendo il conflitto tra due volontà: dille che … non dirle che ….
Ogni battuta, dall’inizio alla fine, è introdotta da due indicazioni opposte che attivano sette brevi dialoghi tra persone ebree adulte, intente a istruire altrettante bambine sul corso della Storia, dalle persecuzioni naziste alla creazione dello Stato di Israele fino ai bombardamenti sulla Palestina.

Foto di Davide Agostini

Voci contrastanti chiamate ora a proteggerle con omissioni o distrazioni, ora a illuminarle mettendole in guardia da amici e nemici, da dissimili e simili.
Sapere o non sapere, credere o non credere, fidarsi o diffidare, ammettere o negare, mentire o confessare, ravvedersi o perseverare.
Si deve sapere che ci sono persone che odiano gli ebrei o è meglio ignorarlo? Esiste il nemico o siamo noi il nemico? Esiste il nostro simile con un volto diverso, una religione diversa? Dire o non dire che nei loro letti dormivano gli arabi? Che questi beduini sono soltanto animali che vivono tra le macerie? Che i bambini sono stati uccisi per sbaglio? Che continueremo ad uccidere fino a quando non ci sentiremo al sicuro? Che abbiamo attaccato coi razzi, che abbiamo conquistato nuove terre? Che le abbiamo rubate, che esercitiamo i controlli ai check point? Che siamo il popolo eletto? Dire o non dire?
La formula del conflitto intestino, utilizzata da Churchill, fa sì che la domanda da atto di accusa diventi (anche) autodenuncia, ammissione di colpa, volontà di riscatto, un invito a non giocare alla vittima, perseguitata nonostante la predilezione divina.

Foto di Davide Agostini

E queste domande, rivolte alle ipotetiche destinatarie bambine (soltanto evocate in ottemperanza all’unica irrevocabile indicazione d’autore che non voleva minori in scena) arrivano a noi ponendoci la grande questione della testimonianza, della trasmissione di valori, dello smascheramento di verità occultate, di generazione in generazione, della scelta onesta e dolorosa che si fa carico del passato e investe il futuro.
Lo spettacolo, prodotto da Teatri di Vita, si vale della traduzione di Stefano Casi, appositamente realizzata, e vede in scena due attori (Anas Arqawi, palestinese e Nicolò Collivignarelli) e due attrici (Olga Durano e Liliana Benini).
La scena è intenzionalmente satura di segni e simboli differenti, che rinviano a settant’anni di storia – vecchie carrozzine, caschi antiproiettile, divise militari, terra, acqua e poi giocattoli che paiono regali per bambini da allevare alla guerra, aerei militari telecomandati, ruspe, scavatrici. Il peggior gioco possibile, la guerra, come il peggior mondo possibile è quello che si allestisce sulle macerie, tra sedie a sdraio, canotti, drink a bordo vasca. C’è anche questo verso la fine dello spettacolo, come dire missione compiuta, la festa ha inizio. Farebbe impressione. Se sopra l’orrore non venisse stesa come un velo pietoso una bandiera. Rossa verde bianca e nera.

Foto di Teatri di Vita

Sette bambine ebree. Un’opera per Gaza

di Caryl Churchill
traduzione Stefano Casi
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Anas Arqawi, Liliana Benini, Nicolò Collivignarelli, Olga Durano
e Andrea Barberini, Giovanni Santecchia per le scene e i costumi
e Eric Benda, Lorenzo Fedi, Davide Riva per suono, immagini e allestimento
e Giulia Serinelli per la cura
prodotto da Saverio Peschechera
produzione Teatri di Vita
con il contributo di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero della Cultura.

Spazio Rossellini, Roma, 20 settembre 2025.

Prossime date:
Teatri di Vita, Bologna, dal 23 al 26 settembre 2025.
Teatro del Loto, Ferrazzano (CB), 26 e 27 ottobre 2025.
Teatro delle Saline, Cagliari, dal 29 ottobre al 1° novembre 2025.
Sala I.C. Trombini, Tirano (SO), dal 21 al 22 novembre 2025.

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