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Sognando siaempara

di Carlo Dilonardo

Ho voluto fare un sogno. Anche se i sogni non si possono fare: si fanno. Più o meno inconsciamente. Dicono che non ci si può imporre di sognare. Io l'ho fatto.

Ho voluto sognare di essere extra-terrestre, organizzatore di spettacoli teatrali e di dover organizzare uno spettacolo in Italia, di dover mettere in scena un testo del noto autore Mario Rossi, drammaturgo italiano, nato a Civoltella, nel 1950. Oggi importante critico teatrale, conosciuto ai più.

La proposta di organizzare lo spettacolo mi è venuta da una associazione culturale composta prevalentemente da giovani, che hanno costituito una compagnia circa dieci anni fa e per la prima volta si sono imbarcano in un ambizioso progetto. Sono volenterosi, desiderosi di fare teatro pur sapendo di non riuscire a finanziare con il lavoro il loro lavoro : umili e bisognosi di imparare, il destino, il caso, il fato, gli dei non li aiutano. Non riescono ad avere la giusta raccomandazione, la giusta segnalazione per il provino della loro vita, si dedicano ad altri mestieri: dal centralinista al cameriere, dall'agente immobiliare al barbone.

Comunque, dopo essermi presentato ai ragazzi e scambiato con loro quattro chiacchiere relative alla situazione attuale del teatro, mi informano che lo spettacolo Aspettando Totòt di Mario Rossi, dovrebbe andare in scena dopo venti giorni. I tempi sono ristretti, penso, ed inoltre mi informano che trattandosi di un autore vivente è mio dovere contattare direttamente il famoso drammaturgo oppure, in alternativa (pare che sia più facile), rivolgermi ad un agenzia di autori ed editori.

I giovani teatranti mi fanno sapere che non avendo alcun nome in cartellone, che assicuri un bel gruzzoletto di soldi al botteghino del teatro e, di conseguenza al caro Rossi, e per di più trattandosi di “compagnia amatoriale”, non avendo alcun nome televisivo in compagnia è ulteriormente necessario rivolgersi a questa struttura. Sarebbe tutto più facile se ci fosse un nome. Ma i ragazzi sono ostinati, anche perché non potrebbero permetterselo.

L'indomani, entusiasta, inizio il mio lavoro. Attendo l'ora di apertura del centralino della citata società e gentilmente mi fanno sapere che devo rivolgermi all'ufficio che si occupa delle compagnie amatoriali. Mi invitano ad inviare una mail, in quanto la persona che se ne occupa è fuori per lavoro e torna dieci giorni dopo.

Esco, vado a comprare dei sigari e sulla strada trovo un piccolo ufficio, con una insegna che mi riempie il cuore di gioia: è una sede di quella famosa agenzia. Meraviglioso. Posso fare tutto ora. Entro e simpaticamente chiedo, per conto della giovane compagnia, di mettere in scena il testo di Mario Rossi, Aspettando Totòt. L'omino con i suoi baffi lunghi fino agli zigomi, dopo una serie di convenevoli e dopo averlo rassicurato sulla nostra integrità nel pagare i diritti al grande Rossi, inizia a pormi una serie di domande.

•  Dove lo fate?

•  Guardi, al Teatro Arbontina

•  Quanti posti ha il teatro?

•  Guardi, credo una settantina

•  Bene, allora lo consideriamo sotto i 99

•  In che senso scusi?

•  Perché il diritto d'autore varia in base al quantitativo dei posti disponibili.

•  Si, ma vede, i ragazzi fanno parte di una compagnia amatoriale.

•  Quindi?

•  Mi dice che ci sono gli stessi prezzi?

•  Proprio gli stessi no, ci sono circa cinque euro di differenza, tra amatoriali e professionistiche. Quindi?

•  Vede, la compagnia che rappresentano non ha una produzione, sono giovani con esperienza ma fanno altri lavori.

Questo mi dispiace ma i minimi d'uso per le opere teatrali sono così fissati. Che ci posso fare io?

•  Lei mi sta dicendo che se una compagnia lavora da vent'anni ed ha un introito di ventimila euro a stagione e se un'altra lavora lo stesso periodo ma ha un introito di mille euro si paga all'autore la stessa somma? Cioè gli autori che vorrebbero e dovrebbero essere rappresentati non si ribellano a questa logica assurda e surreale?

•  (sorridendomi) Mandi una mail.

•  La ringrazio. Arrivederci.

•  Salute. Tanto se l'autore non vi da il permesso non potete fare nulla. Ciao.

•  Grazie, riverisco.

Un po' frastornato, ma anche innervosito torno a casa certo di aver ricevuto una mail di risposta alla mia richiesta. Niente. Posta in arrivo: zero. Contatto il regista, referente dello spettacolo e gli spiego la situazione. Gli consiglio di aspettare qualche giorno. Lui mi chiede se può dare il via alle prove. Iniziarle sarebbe rischioso, non iniziarle sarebbe ingiusto. Non posso che consigliargli di iniziare con la promessa di sciogliere il nodo in pochi giorni.

Inizio a riflettere. Inizio a considerare ingiusta la mancanza di differenzazione tra compagnie professionistiche e amatoriali.

Penso che se avessi scritto che in compagnia c'era il famoso attore Luigi Sergillo, le porte per ottenere il permesso di rappresentazione sicuramente si sarebbero spalancate in due ore.

Ritengo comunque iniquo tutto.

Il costo pressoché identico dei diritti d'autore, così come mi ha spiegato il pirandelliano impiegato dell'agenzia, è una assurdità. Mettere sullo stesso piano compagnie con aspettative, fini e motivazioni totalmente differenti mi sembra ingiusto soprattutto in un Paese in cui sono le compagnie amatoriali a sovvenzionare i teatri off, a tenerli aperti. Passano le ore, passano i giorni. Manca poco al debutto. I ragazzi stanno provando e non sanno che forse il loro lavoro è inutile. Continuo a inviare mail, continuo a telefonare ma la signorina “automatizzata” della segreteria telefonica continua a ripetermi gli orari di apertura al pubblico degli uffici. Mi rendo conto che sono nei tempi, ma non ricevo risposta. Decido di raggiungerli personalmente all'interno di un palazzone enorme che, ovviamente solo nel sogno, risulta essere abitato da persone ma queste io non le vedo; incontro qualcuno, mi guarda spaventato, forse hanno paura che io possa fare qualche domanda difficile. Vedendoli in crisi decido, intrepido, di cercare l'ufficio addetto alla mia pratica, sperando di incontrare la mia Arianna che possa darmi un mezzo per districarmi in quel fitto labirinto. Sul mio pianeta non usano i cosiddetti cellulari, ma i ragazzi me ne hanno dato uno che, tramite un cicalìo un po' snervante, mi informa che qualcuno mi sta cercando. È il responsabile della compagnia mi informa che gli attori scalpitano, che il regista è nervoso, che l'associazione rischia di non poter portare a termine il progetto. Mi dicono di lasciare stare. Hanno avuto un'idea.

Un forte senso di claustrofobia mi fa correre via e il senso di angoscia mi conduce all'uscita del tunnel del palazzone fino a raggiungere la compagnia con la mia navicella spaziale.

Mi dicono di voler rappresentare ugualmente il testo, di voler rischiare…

A questo punto mi sono svegliato, agitato per la paura che qualcuno potesse “scoprirci” ed ovviamente le nostre ragioni relative alla mancanza di una direttiva chiara che ci fosse comunicata nei tempi non avrebbe rappresentato una valida giustificazione.

Ignorantia legis non excusat .

E allora giù a controllare le piccole compagnie, ad impuntarsi su banali vizi di forma, lasciando stare i teatri importanti, le enormi produzioni che talvolta nemmeno pagano gli attori.

Nel sogno non ho atteso neppure l'apertura del sipario, sarà stata paura o forse rabbia, ho lasciato quella compagnia qualche ora prima che debuttasse con la scusa che, arrivato il sole in camera, dovevo aprire gli occhi perché un'altra giornata aveva inizio.

Durante la notte del giorno seguente ho cercato di avere notizie di quei giovani. Ma è stato un tentativo vano.

Chissà come sarà andata. Una cosa, alla quale prima non credevo, l'ho sperimentata:

spesso i sogni si confondono con la realtà…ma sarebbe tanto giusto se non sempre fosse così.