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L'ultima madre
Intervista a Giovanni Greco


di Cesare Rinaldi

 

Personalmente avevo una scarsa conoscenza della vicenda dei desaparecidos , per quel poco che si leggeva sui libri di storia ai tempi dell'università, fino a quando mi trovai per caso qualche anno fa a guardare un film, Garage Olimpo , che fu un autentico pugno nello stomaco. Decisi da allora di approfondire le mie conoscenze sull'ultima dittatura civico-militare argentina, divorando saggi, romanzi, film e documentari. Com'è facile immaginare era impossibile rimanere distanti da quei racconti di una storia costellata di morti, torture disumane, scheletri ritrovati in fosse comuni, voli della morte, madri e nonne in cerca dei loro figli, nipoti e bambini allevati dai carnefici dei loro genitori. Una feroce dittatura capace di progettare una sofisticata macchina della morte per eliminare 30.000 oppositori, un'intera generazione di giovani cancellata. Una pagina di storia difficile da sopportare ma impossibile da ignorare, anche se lacera l'anima.

Ho avvertito l'urgenza di un impegno personale come ‘militante della memoria', grazie soprattutto all'associazione "24marzo Onlus", da anni impegnata in molteplici attività quali la promozione della cultura della memoria e la tutela dei diritti umani.

Conoscendo il mio percorso, Letizia Bernazza mi ha proposto di seguire per Liminateatri L'ultima madre di Giovanni Greco. Lo spettacolo, messo in scena al teatro Vascello di Roma dal 5 al 7 maggio 2017, è tratto dall'omonimo romanzo (Feltrinelli, Milano, 2014, pp.384, euro 17,00) dello stesso autore e regista.

Dall'incontro con Giovanni Greco è nata questa intervista.

 

 

La recente decisione della Corte Suprema di Giustizia argentina di ridurre le pene per i carnefici della dittatura argentina ripropone lo scontro permanente tra memoria e oblio. Lo scrittore che ruolo gioca in questa disputa?

La memoria è la forma più alta di militanza. E per quel che mi riguarda lo è anche la scrittura. Il titolo stesso del mio libro e poi dello spettacolo, L'ultima madre , allude indirettamente a un progetto politico che ha cercato in tutti i modi di cancellare proprio la memoria: dice a un certo punto verso la fine del romanzo Ignacio Mendoza, importante esponente della Giunta militare, a sua figlia Mercedes che ha capito la verità sui figli che ha 'usurpato' ad altri, lei che non poteva averne: <<conta solo l'ultima madre, non la madre biologica>>, conta il presente, il qui ed ora, senza passato e senza futuro. La mancanza di memoria annega le responsabilità, legittima le amnistie che fanno troppo spesso rima con amnesie: la storia non si ripete mai davvero uguale, è capricciosa e imprevedibile, ma la memoria è una scelta consapevole che diventa carne e sangue nella scrittura.

La tragedia dei desaparecidos è una pagina della Storia tanto oscena da sembrare inverosimile. Come si mescolano realtà e finzione letteraria nel suo lavoro?

L'ultima madre è un romanzo, ci tengo a sottolinearlo, che nasce senza dubbio da un lungo lavoro di documentazione e di inchiesta sul campo. Ma poi i personaggi, le vicende che li riguardano, talora anche storicamente riconoscibili, attingono al piano della finzione, dell'invenzione, persino del realismo magico: di Cortázar, di Márquez, di Amado, di quella letteratura che mescola sostrato indio e lingua dei colonizzatori in maniera meravigliosa. A me pare che il confine tra la Storia e le storie sia sempre stato labile e che l'unica possibilità di raccontare davvero la tragedia sia il mito. In fondo lastoria di un'ottantenne incinta che aspetta qualcuno o qualcosa con cui cominciano e finiscono sia il romanzo che lo spettacolo condensa in un'immagine tanti discorsi, interviste, documenti, atti processuali da me consultati e consumati, ma li traduce in un segno molteplice a cui ognuno può dare un senso.

La letteratura ha il potere di ‘restituire' i corpi dei desaparecidos, recuperando identità cancellate?

Un mio amico critico, Stefano Gallerani, dice che i miei romanzi si presentano sempre come un tentativo di risarcimento (anche Malacrianza , altro romanzo 'sudamericano', il primo che ho scritto). Come se la letteratura, la parola letteraria avesse il potere di risarcire i reietti, gli sfruttati, i sommersi per dirla con Primo Levi, della loro condanna, del loro oblio, della loro invisibilità. Un potere illusorio, certo, senza egemonia, un regno senza territori che non siano quelli sconfinati dell'immaginazione: la parola è una forma di incantesimo che materializza e risarcisce l'invisibile, gli invisibili, che resuscita i morti, che affranca dall'arbitrio e dall'ingiustizia, che rinomina le cose. Diceva il grande Franco Fortini che rinominare le cose significa ridefinire i rapporti di proprietà: così 'clandestino' non è più un reato, ma la condizione di 'destino sconosciuto' che è nella parola ‘clan-destino' per cui siamo tutti inevitabilmente 'clandestini'. E quindi desaparecido non è lo stigma di un criminale o di un 'sovversivo' come si chiamava a quei tempi chi scompariva, ma qualcuno con un'identità, con un nome e una storia, cui il romanzo e poi lo spettacolo danno nuova vita, facendone di nuovo un corpo, una voce, un sorriso, umanizzando la disumanizzazione criminosa di cui li caricavano i militari negli anni Settanta.È il dramma personale e familiare che spinge Maria, personaggio centrale del suo romanzo, a lasciare la propria casa alla ricerca dei figli scomparsi. La maternità ha permesso la costruzione di un movimento sociale nuovo nella storia, che ancora oggi mantiene la sua grande forza.

Maria come molte di quelle madri poi nonne ha perso tutto da un giorno all'altro perdendo i suoi figli. Maria era una donna qualunque, di orizzonti ristretti, senza nessuna ambizione: poi con la perdita irreparabile dei figli, ha perso la paura, le remore, la sottomissione. Come molte di quelle madri, 'orfane' dei figli, si è trasformata col tempo e la sofferenza nei suoi figli, è diventata una militante della memoria, una rivoluzionaria in cerca di verità: ne ho incontrate molte di queste donne, ultra-ottantenni che parlano, si comportano, fumano come dei ventenni ribelli degli anni Settanta. In fondo lo spettacolo e il libro raccontano di questa gravidanza impossibile, di questa metamorfosi esemplare, di un lungo travaglio che genera alla fine una nuova, paradossale vita che è la vita di chi resiste senza speranza, l'inizio della bellezza e della storia. Perché <<chissà laddove qualcuno resiste senza speranza, è proprio là che comincia la storia umana e come la chiamiamo la bellezza dell'uomo>>. (G. Ritsos)

 

 

L'ultima madre

drammaturgia e regia Giovanni Greco

con Ilaria Genatiempo, Vittoria Faro, Ilenia D'avenia, Lorenzo Parrotto

musiche Daniela Troilo

Teatro Vascello, Roma, dal 5 al 7 maggio 2017