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Seminari di Drammaturgia (5)

“Il comico nella scrittura drammaturgica

di Alfio Petrini

 

Dopo un breve ma pregnante intervento “fuori programma” di Annabella Cerliani, sollecitato dal Presidente del Cendic Maria Letizia Compatangelo, sul tema del rapporto tra testo linguistico ed attore, Linda Brunetta ha dato avvio al seminario dal titolo “Il comico nella scrittura drammaturgica” , richiamando l'attenzione sulla base reale dello stimolo esterno, funzionale allo sviluppo di un testo comico che segue la linea di alcune componenti fondamentali: l'eccessivo, il paradossale, il grottesco, fino a sfiorare le aree dell'assurdo e dell'iperbolico.

Brunetta è una drammaturga molto conosciuta e apprezzata, nel pieno della sua maturità artistica e professionale. E' autrice di numerose opere di successo per il teatro e per la televisione. Alcuni anni addietro non ricevette il Premio Riccione perché il suo testo, che era il migliore, faceva ridere!

Un testo - si è chiesta la nostra drammaturga -, che “trae spunto dalla realtà quotidiana” può durare nel tempo? Può durare nel tempo, se il racconto della storia - orientata in direzione delle componenti linguistiche sopra indicate -, avviene attraverso la assunzione di un comportamento poetico da parte dello scrittore. Ci risiamo. Il tema della poesia in teatro è ineludibile. L'opera artistica vive e dura nel tempo solo se radicata nella dimensione poetica donata dall'autore all'attore e dall'attore allo spettatore, il quale si sente utile e si fa autore di una visione originale della storia, a dimostrazione di quel proficuo rapporto di collaborazione che dovrebbe sempre esistere tra testo linguistico e scena, ma anche tra scena e platea. La partecipazione dello spettatore non è pertanto determinata dalla tecnicistica invasione barbarica dell'attore che scende in platea, come ho visto fare molte volte con effetto boomerang sullo spettacolo. E la poesia non è data dall'aura poetica della parola in versi, e neppure dalle tenere e sdolcinate atmosfere sonore o visive dello spettacolo, ma , come ho già detto, dal comportamento poetico del drammaturgo prima (nella fase della scrittura drammaturgica), del regista e dell'attore poi (nella fase della scrittura drammaturgica). Si tratta di un sapere che nessuno maestro riconosciuto può trasmettere ad un suo allievo. Quel dono o si ha o non si ha. E' una dote rara quanto necessaria, perché di drammaturghi poeti ne nascono due o tre in ogni secolo. Gli altri sono artefici della fabulazione sociologica, letterati che descrivono sentimenti idee e psicologie che nulla hanno a che fare con la poesia del teatro, poeti che scrivono poesie ma che non sono capaci di fare poesia. Spesso in teatro conta non tanto ciò che viene detto, quanto ciò che non viene detto. E ciò che non può essere detto a parole finisce spesso o per non essere espulso o per essere descritto, se il drammaturgo non ha la dote naturale della assunzione del comportamento poetico e se non conosce le tecniche che pescano nella semiotica (molto trascurata, se non addirittura ignorata) applicata alla scrittura drammaturgica.

Linda Brunetta ha rivelato di avere una consapevolezza teorica che va di pari passo con l'abilità pratica nella scrittura. E parlando di censura, autocensura e di libertà creativa mi è sembrato che richiamasse l'attenzione degli uditori partecipi sul fatto che un testo linguistico debba nascere - dopo lo stimolo del dato reale - da una forte necessità artistica , da un vero e proprio bisogno del drammaturgo di scrivere quella determinata storia. La percezione di questo bisogno e il conseguente spirito di libertà creativa sono fatti che contribuiscono a “rompere le cappe della ovvietà” e, perciò, a fare la differenza.

Dunque: stimolo della realtà, comportamento poetico, elaborazione di una storia che pone al centro un conflitto tra personaggi che rappresentano valori opposti e contrari. La nostra drammaturga ha affermato di concepire questi valori in termini d' irriducibilità , anche se non in modo categorico perché a volte - ha aggiunto - potrebbe risultare funzionale al conseguimento del risultato comico una soluzione finale catartico liberatoria. E, parlando della storia, ha messo in evidenza l'importanza del montaggio : cambiando i fatti o le sequenze dei fatti che sono accaduti o che potranno accadere, cambia il significato della storia. A chi le ha chiesto se esista un format del comico , ha risposto che “non ha molto senso”. Leggo la risposta nel contesto di quella libertà creativa, di quel fare poesia, di quella necessità artistica a cui ho fatto cenno poc'anzi, che prefigurano il carattere originale dell'opera-testo. Se lo stimolo è sempre esterno , il come della scrittura scenica messo in preventivo nel testo è auspicabilmente interno. Risponde al punto di vista esclusivo del drammaturgo e sollecita creativamente quello dello spettatore accorto.