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Il giardino e la morte: Pia Pera tra letteratura e teatro


di Laura Novelli

 

Un elogio delle piante, della loro staticità e, insieme, della forza con cui sanno accogliere ogni cambiamento le riguardi. Un elogio della morte – della propria morte – e del pensiero della fine come esperienza che, sebbene tragica, rinnova l'esistenza riconsegnando, nella prospettiva personale di un imminente abbandono, un giardino (un po' figlio e un po' opera d'arte) alla sua naturale selvatichezza. Avevo letto l'intenso libro di Pia Pera Al giardino ancora non l'ho detto (edito da Ponte alle Grazie un anno fa) un mese prima che la rassegna Tutto Esaurito! di Radio3 (la sesta edizione si è svolta a novembre ed è stata curata, come sempre, da Antonio Audino e Laura Palmieri) ne proponesse una versione teatrale davvero pregevole, con la drammaturgia di Valeria Patera (anche regista) e una meravigliosa interpretazione di Maria Paiato.

Già quella prima lettura mi aveva molto colpito; direi, anzi, “nutrito” di riflessioni, domande, immagini, emozioni. Non conoscevo i libri di Pia Pera e la scoprivo allora per la prima volta attraverso la sua ultima fatica: quel diario intimo che ella ebbe la fortuna di vedere pubblicato e premiato a Rapallo prima di andarsene, il 26 luglio scorso, per una grave forma di sclerosi laterale amiotrofica di cui si era ammalata nel 2012 e che l'aveva resa sempre più invalidata nei movimenti, fino alla completa stasi delle ultime settimane. Raffinata slavista e traduttrice dal russo (tra i suoi lavori più noti, Un eroe del nostro tempo di Pecorin e l' Eugenio Onegin di Puškin), da tempo si era ritirata in un podere vicino Lucca lasciatole in eredità dai genitori e si era dedicata con estrema passione non solo alla cura e alla “cultura” di quella “giungla attraversata da ordinati vialetti” ma anche a pubblicazioni inerenti proprio il paesaggio, gli orti, i giardini. Cito almeno Contro il giardino (Ponte alle Grazie), Giardino & Ortoterapia (Salani), Le vie dell'orto (Terre di mezzo): lavori dove l'autobiografismo intercetta volentieri la riflessione filosofica e spirituale, e dove la passione per la natura va ben oltre il sentimento ecologista. Dicevo che già la lettura di Al giardino ancora non l'ho detto si era rivelata per me “luminosa”: ricordo di essere tornata spesso su alcuni passaggi; di aver sottolineato più volte frasi, rimandi letterari, citazioni poetiche. Ma è stata proprio la serata teatrale alla radio trasmessa da via Asiago il 28 novembre in diretta streaming (la ritrovate all'indirizzo: http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-1a9c3ff2-d3f3-4227-a366-9603b0cffcf5.html), il vettore che mi ha permesso di capire realmente questo libro, di rivoltarne la fodera, di assaporarne le parole una ad una. Persino il verso di Emily Dickinson scelto dall'autrice come titolo (<<I hav'nt told my garden yet […]>>) ha trovato magicamente eco e corrispondenza nel titolo del monologo, Il giorno che me ne andrò , anch'esso tratto dalla medesima lirica della poetessa americana. Nel travaso dalla pagina scritta alla forma “biologica” del teatro (lo spettacolo è una produzione Timos Teatro Eventi in collaborazione con la Compagnia Umberto Orsini), le trecento pagine di Pia Pera, mosse da una scrittura molto intima, frammentaria, rapsodica, a tratti sommessa e a tratti, invece, furiosa, ironica, sagace, si sono trasformate in un'ora di ascolto fluido, caldo, avvolgente. L'adattamento della Patera ha distillato, infatti, con estrema sensibilità l'ossatura delle pagine originarie (<<Ho cercato di tracciare il sentiero principale del racconto, di lavorare sul magnetismo che alcune pagine mi hanno provocato>>) e la straordinaria capacità mimica e vocale della Paiato ha saputo restituirne, con continui – ma tenui – smottamenti emotivi, ogni passaggio, ogni cambiamento di umore, ogni moto del pensiero e del cuore. Tra parole e voce si sono insinuate poi, come presenze vive e necessarie, la violoncellista Giovanna Famulari, che ha eseguito musiche originali del compositore armeno Vache Sharafyan, e il tappeto sonoro di Dario Arcidiacono: una sorta di partitura di onomatopee dentro alla quale cinguettii, aliti di vento, gocce di pioggia, passi umani su foglie secche hanno accolto e accompagnato la voce disarmante e disarmata di Pia/Maria, giardiniere malato che deve abbandonare (“tradire”) il suo giardino prima del tempo e si prepara a farlo con saggezza. Senza eroismi. Con tutta la paura del trapasso ma pure con tutta la nuova consapevolezza scaturita dalla malattia. <<Quella malattia>> – ha detto non senza commozione Edoardo Albinati nell'introdurre l'evento – <<che Pia ha affrontato in modo smagliante, con leggerezza e ironia. Una malattia debilitante, soprattutto in ciò che ella amava di più, e cioè muoversi, viaggiare, e poi, come faceva negli ultimi anni, dedicarsi instancabilmente al suo giardino. Leggendo questo libro ho capito la nobiltà dell'immobilità: nascere in un luogo, crescervi e poi morirvi. Proprio come le piante. Per me è stata una vera rivelazione e, dopo la scomparsa di Pia, queste pagine mi hanno consolato>>.

E di consolazione ha parlato anche la Paiato, intervistata da Laura Palmieri subito dopo il monologo: <<E ra veramente diverso tempo che sentivo parlare di questo libro poi, attraverso Valeria, ho avuto lo stimolo per leggerlo: è stato entrare in intimità con un argomento complesso, difficile, che recentemente mi ha toccato in modo personale. Le sue parole mi hanno confortato; mi hanno dato una grande speranza, un senso di grande pace. Nel recitare ho seguito il mutare dello sguardo di Pia sul suo giardino e del mutare dei possibili e non più possibili movimenti del corpo e, di conseguenza, del mutare visione della vita e della morte. Pia ci invita ad accettare il cambiamento, anche quello più difficile>>.

È un fruscio di rami e foglie il suono che si sente all'inizio dell'assolo. Poi arriva la voce dell'attrice, quasi un sussurro sereno, naturale, fisiologico: << Il giardino è semplicemente dove mi sento felice […]. A Lucca ho trasformato un podere spoglio in un luogo dove passeggiare, un frutteto, gli ulivi, il giardino dei bossi dietro casa. È stata una trasformazione graduale, impercettibile, tra il casuale e il deliberato. Avevo voglia di viere così, facendo a meno. Senza mondanità, viaggi, feste […]. Volevo cancellare, o quanto meno smorzare, le mie stesse tracce, gli indizi che avrebbero potuto tradire un'intenzione […]>>.

Folate di vento. La musica si prende i suoi spazi. Le pause si allungano: << Da quando ho perso la me stessa di prima io non ho più avuto malumori; mi sono resa conto che il tempo è poco. O c'è qualcosa di più in questa paradossale serenità? Cosa è cambiato nel mio rapporto con il giardino? È cresciuta l'empatia, la consapevolezza che, non diversamente da una pianta, anche io subisco danni dalle intemperie. Non posso più muovermi come vorrei […] e non sono più un osservatore esterno del giardino bensì sento di vivere in spirito di fratellanza con il giardino. Sono altrettanto mortale, indifesa, quasi fossi diventata io il giardino: meno sola, altrettanto sola. Ma non sono più la stessa persona>>. E mentre il corpo si trasforma, tentenna, si ferma a letto, il giardino continua il suo fiorire e sfiorire (che belli quei passaggi in cui il monologo racconta delle api, del susino in fiore, dei ranuncoli, del “campo rosa di manine di Gesù”!), fino a diventare un luogo assoluto: <<Un posto dove morire faccia un po' meno morire […], dove sia possibile accettare di essere qualcosa di piccolo, un puntino nel paesaggio>>.

La prosa sghemba e personalissima della Pera intercetta tante citazioni letterarie che nella rielaborazione della Patera risultano ancora più incisive (Puškin, Florenskij, Dickinson) e alla fine arrivano, sommessi e paradossalmente gioiosi, i versi dell'epilogo (Stevenson): <<[…] Ma non vi pare brutto, / Col cielo così chiaro e azzurro, / Quando si vorrebbe tanto giocare, / Dovere andare a letto di giorno?>>.

 

 

 

Al giardino ancora non l'ho detto

 

di Pia Pera

 

Ponte alle Grazie, Milano, prima edizione febbraio 2016, pp. 216, euro 15,00

 

Il giorno che me ne andrò

adattamento teatrale del libro Al giardino ancora non l'ho detto di Pia Pera

drammaturgia e regia Valeria Patera

interprete Maria Paiato

musiche originali Vache Sharafyan

al violoncello Giovanna Famulari

tappeto sonoro Dario Arcidiacono

produzione Timos Teatro Eventi in collaborazione con Compagnia Umberto Orsin