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Seminari di Drammaturgia (3) 

Teatro in breve: come scrivere una scena e descrivere un mondo in dieci minuti

di Alfio Petrini

Duska Bisconti, una delle drammaturghe più attive e appassionate del Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea, mette subito le carte in tavolo dichiarando di avere grande ammirazione per Dario Fo e per Leo De Berardinis, che sono stati importanti punti di riferimento negli anni della sua formazione. Come attori, registi o drammaturghi? E aggiunge che avevano “una cosa in comune: l'improvvisazione”.

Restiamo nell'ambito della drammaturgia. Dario Fo fa sempre riferimento a un testo linguistico - pensato, progettato e realizzato in modo rigoroso - che prefigura il come della scrittura scenica. “L'improvvisazione”, quando c'è, viene dopo. Interviene nella fase del processo di formalizzazione, quando l'attore ri-fà sera per sera la cosa assunta come punto di partenza, ogni volta come se fosse la prima volta.

Nel caso di Leo De Bernadinis credo che si possa parlare (impropriamente) “d'improvvisazione” nell'ambito di quella drammaturgia d'attore che scaturisce da una distorsione della realtà. A De Bernadinis attore/drammaturgo non interessava la messa in scena, cioè la rappresentazione del testo, ma la comunicazione del suo punto di vista sul testo, cosicché - tanto per fare un esempio -, “King Lear” cambia titolo e diventa “King Leo”.

A Duska Bisconti interessa “l'improvvisazione” come lavoro che sta a fondamento di una scrittura che cerca di “portare un mondo sulla scena”. La drammaturga osserva la persona, una determinata persona e cerca di “entrare nel suo mondo”. A titolo esemplificativo cita due suoi testi linguistici: due testi-mondo: uno nato dalla osservazione di una barbona che albergava in Piazza Argentina e l'altro dalla osservazione di un canarino chiuso in gabbia. Osservazione della realtà in presa diretta? Focus rivolto alla persona, non al personaggio? Parole affidate di rimbalzo alla libertà creativa dell'attore, che deve dirle, che deve pronunciarle perché diventino carne, come direbbe Testori? Metodica di scrittura drammaturgica che non riconosce la utilità di una metodica della progettazione e che nega il testo teatrale come architettura linguistica? I dubbi restano e il dibattito resta aperto. E' possibile scrivere senza possedere una metodica di lavoro? E' possibile scrivere senza il controllo della materia linguistica?

Degna di attenzione è la nota messa in giusta evidenza dalla nostra drammaturga che al racconto di una storia predilige il racconto di una situazione come metafora di un vuoto esistenziale che dice poco o nulla del personaggio, che non lo descrive, che non spiega le vicende della sua vita. Ne consegue una precisazione riferita al titolo del seminario ed effettuata dalla stessa Bisconti: “scrivere” una scena non significa “descrivere” un mondo, ma esprimerlo, quindi raccontarlo assumendo un comportamento poetico, quello - aggiungo io - che spesso i drammaturghi dimenticano. Mi correggo: non lo dimenticano, lo ignorano perché non ce l'hanno. Il comportamento poetico non può essere trasmesso dal maestro all'allievo, non può essere insegnato in alcuna scuola di scrittura drammaturgica. Te lo dà solo dio. Quel dio che sta dentro l'uomo inteso nella sua totalità.