Familie Flöz: un inferno che va in (Hotel) Paradiso di Renata Savo

foto di Simona Fossi

Non è difficile immaginare che in una capitale europea come Berlino risiedano realtà vivacissime dal punto di vista teatrale. Forse non tutti, però, sanno che vi si sono insediate e sviluppate, negli ultimi vent’anni, compagnie che svolgono un lavoro sui linguaggi delle arti performative ciascuna camminando su binari estetici paralleli, ma con analoga fortuna, in tutto il mondo. Si pensi al cosiddetto teatro-documentario, al reality trend iniziato dai Rimini Protokoll attorno al 2000; accanto a questa corrente che cavalca un’onda lunghissima e inarrestabile di esperienze artistiche che oltrepassano i confini nazionali, scorre un teatro quasi agli antipodi, trasognante, disimpegnato e adatto a tutta la famiglia. È il caso dei Familie Flöz, formatisi alla Folkwang University of the Arts di Essen alla metà degli Anni Novanta. Li abbiamo visti in scena a Roma alla Sala Umberto, dove sono stati dal 2 al 7 aprile con Hotel Paradiso, uno spettacolo che è impossibile non amare, con una drammaturgia perfetta, una direzione degli attori impeccabile. La scenografia ricostruisce l’interno di una hall di un albergo, dove campeggia in alto, al centro, il ritratto di un uomo in un quadro, una sorta di loculo di famiglia, un santino da venerare. Basta poco a formulare l’equazione che si tratti di un pater familias scomparso, una sorta di fantasma, di spirito da invocare nei momenti di difficoltà. L’atmosfera evocata ci fa fare un viaggio indietro nel tempo, forse negli Anni Settanta: in questo spazio è situata una reception sulla sinistra, un corridoio di scale semi invisibile, una porta girevole sulla destra, che ne riporta alla memoria un’altra, assai famosa, quella di Café Müller di Pina Bausch; una vetrata da cui si vede l’esterno oltre la porta girevole; un ascensore al centro; una seconda uscita che dà sul retro e da cui si ode un cane abbaiare. Senza i quattro attori in azione, cui sono affidati ruoli molteplici interpretati abilmente, ciascuno con le rispettive differenze di ritmo, potremmo pensare che quello dei Familie Flöz sia un teatro (inteso come linguaggio) stantio, vecchio di due secoli, fortemente realista. Quando il palco inizia poi a essere calcato da attori eccezionali, in grado di ottenere un apparente moto espressivo dalla fissità della maschera sul volto – una maschera grottesca, sproporzionata, che contraddistingue lo stile unico della compagnia – grazie alla cura minuziosa del gesto e del corpo cui è sottratto il potere comunicativo della parola, ci troviamo nel filone della contemporaneità, davanti a qualcosa di assolutamente originale. Ogni zona dello spazio scenico, ogni orpello, rivendica nel corso dello spettacolo una funzione altamente drammaturgica: una tavola che si solleva e si abbassa, prolungamento flessibile del bancone della reception, diventa un pericolo per l’incolumità degli ospiti; una cassapanca, il nascondiglio di un cadavere. Nessun elemento è collocato a caso.
Lo spettacolo avvicina qualsiasi tipo di pubblico, di ogni età e provenienza. Mostra, ricercando anche finemente l’effetto spettacolare, le vicende surreali di un albergo a conduzione familiare, i battibecchi tra due fratelli indisponenti e fannulloni, i rimproveri e le punizioni di una madre molto anziana ma comicissima e severa, il suo rapporto con il ricordo, ancora vivo e appeso al muro, di quel marito che di tanto in tanto scenderebbe sulla terra per mettere una buona parola tra i figli e aiutare l’anziana donna. E poi ci sono i clienti che arrivano, pensando di essere in un albergo a cinque stelle, mentre invece si ritrovano in una gabbia di matti, con il figlio-receptionist imbranato, ballerino e marpione, un’addetta alle pulizie cleptomane, un cuoco dai segnali inquietanti, il cane che latra e che reagisce in modi misteriosi. I personaggi si incastrano magicamente a formare il puzzle di un teatro che ha l’odore delle case dei vecchi, per dirla à la Jep Gambardella ne La grande bellezza di Sorrentino, e che quindi possiede qualcosa di familiare, rassicurante, come la nota serie Mr Bean, di cui possiede la stessa muta eccentricità.

Hotel Paradiso

di S. Kautz, A. Kistel, T. Rascher, F. Rohn, H. Schüler, M. Vogel, N. Witte
regia Michael Vogel
con Matteo Fantoni, Daniel Matheus, Marina Rodriguez Llorente, Fabian Baumgarten
maschere Thomas Rascher, Hajo Schülerscenografia Michael Ottopal
costumi Eliseu R. Weid.

Teatro Sala Umberto. Roma, 2-7 aprile 2019