Irene Ivaldi interpreta tre celebri donne della letteratura dell’Ottocento di Laura Novelli

Tre donne della grande letteratura dell’Ottocento. Tre donne controverse, ambigue, sfuggenti. Persino “fastidiose”. Eppure, proprio per questo, estremamente teatrali. È declinato interamente al femminile il trittico di monologhi/melologhi che Valter Malosti mette insieme nel progetto Trilogia Malosti-Tre donne, atteso al teatro di Villa Torlonia di Roma dall’8 di marzo, cucendo insieme la scrittura pittorica e “scapigliata” di Camillo Boito, quella gotica e sulfurea di Henry James e quella straniata e minuziosa di Lev Tolstoj. Sono infatti la contessa Livia Serpieri di Senso, la misteriosa governante di Giro di vite e l’adultera Anna Karenina tolstojana le eroine che Irene Ivaldi – occhi chiari, volto espressivo e una vocalità capace di imprevedibili capriole – interpreta nei tre distinti bozzetti scenici realizzati per questo affondo nella femminilità siglato Teatro di Dioniso.
Attrice e lettrice appassionata, formatasi alla Scuola dello Stabile di Torino (allora diretto da Luca Ronconi), Ivaldi è da anni compagna di vita e di scena dello stesso Malosti e rappresenta per molti versi l’anima letteraria della compagnia torinese. Compagnia, oggi guidata da Michela Cescon, all’interno della quale la sinergia tra sapienze e intelligenze diverse ha condotto e conduce a percorsi creativi dove letteratura, visione al femminile e linguaggio teatrale viaggiano su binari paralleli ma complementari. Prova ne sia questo originale percorso ottocentesco, i cui singoli assoli vanno a comporre un unicum complesso e articolato che li vede intrinsecamente legati tra loro e al contempo pezzi autonomi. Come se, in fondo, queste tre donne uscite dalle penne di tre scrittori molto distanti per temperamento e visione letteraria fossero creature di carta cui regalare un’altra vita, un’altra natura. Tutta scenica, fisica, vocale. Niente di meglio, dunque, che parlarne con l’interprete stessa.

La trilogia firmata da Malosti, che cura la regia di tutti i lavori, porta in scena personaggi molto noti. Da cosa nasce questo progetto?

Sì, è vero. Si tratta di figure letterarie molto conosciute. Basti pensare a un film come Senso di Luchino Visconti che sicuramente, oltre ad essere un capolavoro del grande Maestro, ha permesso a molte persone di conoscere la novella di Boito (intellettuale molto interessante ed eclettico che ebbe anche una relazione segreta con la Duse, di cui ci resta uno splendido carteggio epistolare, ndr). Credo che proprio la notorietà di queste donne ci abbia aiutato a stendere un progetto che le vede in qualche modo legate tra loro, sebbene autonome. Tra i vari testi abbiamo scoperto connessioni che all’apparenza sembrerebbero non esserci. Ad esempio, ci sono parse donne tutte e tre molto fastidiose.

Cosa intendi con il termine “fastidiose”?

Dunque, partendo proprio da Senso, se si legge accuratamente la novella, ci si accorge che la contessa Serpieri vi appare davvero come una donna degenerata, priva di qualsiasi desiderio di espiazione rispetto alla sua colpa. Ho provato persino un certo fastidio per la vacuità con cui la protagonista cerca di paludare i suoi comportamenti e per la sua scarsa profondità d’animo. Una persona superficiale che non ha interesse per la vita politica dell’epoca, per la guerra indipendentista che fa da sfondo alla vicenda. Ella mira solo a soddisfare i propri desideri. In quest’ottica è davvero un’eroina antiromantica e debbo dire che l’intera Scapigliatura lombarda è un movimento molto curioso, spigoloso. Eppure, malgrado tutto ciò, la protagonista risulta contemporanea; una che difende il suo punto di vista a spada tratta. E quindi mi ha enormemente affascinata.

Molto diversa è l’istitutrice di Giro di vite. Cosa ti ha colpito in lei?

In questo racconto noir di James, la governante è il perno della vicenda, eppure non viene mai nominata, rimane senza nome nell’intera novella. L’autore dunque non la giudica, e non darle un nome, un’identità, significa proprio volerla sospendere. Ella sembra perciò una specie di figurina ritagliata nel nero, una sagoma. Tutta la storia, d’altronde, che come è noto è una storia tragica e popolata di fantasmi, rimane senza risoluzione. Non si capisce dove sia il Bene e dove il Male. Questo credo sia bellissimo.

Infine, come hai affrontato Tolstoj?

Nel caso di Anna Karenina credo che sia necessario approcciare il personaggio proprio sospendendo ogni giudizio; ci affezioniamo alla sua vicenda anche se in realtà, leggendo accuratamente il romanzo, ci accorgiamo che è un personaggio costruito dagli altri, dalla voce delle figure che la circondano, da ciò che di lei si dice nei salotti. Ad un certo punto del libro – mi sembra dalla pagina 800 fino all’epilogo – Anna Karenina non esiste più. Lei passa senza lasciare un segno. All’inizio ho avuto molte difficoltà con questo romanzo, senza dubbio sublime, e con la sua protagonista. Avevo letto Guerra e pace tante volte ma in Anna Karenina tutto cambia. Anche se Tolstoj la descrive parlando del suo gomito, della peluria sulle labbra, della sua brillantezza, lei direttamente non dà segnali di se stessa. Sembra al di sopra di tutto e non sappiamo se fidarci o meno. A differenza, per esempio, delle donne di Jane Austen che sono veloci, hanno battute su battute, si espongono direttamente, in Anna Karenina ciò non succede. Dobbiamo fidarci di lei malgrado la sua assenza. Cosa di più teatrale?

Nella trilogia come hai attraversato da attrice queste tre figure?

Non sarei potuta entrare in questi personaggi se non li avessi affrontati in modo compassionevole. Credo che la compassione vada riscoperta, difesa, adottandola come un valore centrale della nostra vita. Avere compassione per i personaggi significa cercare di capirli anche se ci appaiono spigolosi o ostili o lontani da noi, ma senza psicologismo. In modo emotivo, emozionale. Si tratta di saperli semplicemente accogliere. Inoltre, è proprio la compassione che ci aiuta a sospendere il giudizio. Quando faccio dei laboratori con i bambini, insisto molto sul concetto di compassione e di pietà, anche verso loro stessi. A volte ridono di ciò che dicono o di ciò che dicono gli altri, e io li invito invece ad avere pietà di loro e dei loro compagni.

Quali registri espressivi avete studiato te e il regista per le tre messinscene?

Mi diverto molto in scena e anche prima del lavoro teatrale vero e proprio, leggendo e rileggendo questi libri, ne ho tratto un grande godimento. Cerco di partecipare al mondo delle protagoniste e nel complesso, pur essendo tre monologhi molto diversi tra loro, cerchiamo di lavorare su registri brillanti, soprattutto in Senso. Giro di vite è invece una partitura vocale quasi cantata, mentre Anna Karenina possiede ancora la forma di un reading. La mia voce entra nella drammaturgia e ne diventa la lingua. Ciò è possibile anche perché Valter ha fatto una riduzione drastica del romanzo ed è su questo nuovo testo che ruota il fulcro del monologo. È riuscito a ridurre il libro a cinquantacinque minuti facendo tagli tremendi. Eppure la storia c’è tutta e il personaggio anche. Tagli che certamente solo un uomo e un teatrante molto sicuro di sé avrebbe potuto fare. Mi sorprende vederlo lavorare perché segue sempre una visione molto personale, molto chiara, e pur essendo molto attento alla lingua, alla traduzione, è come se riuscisse a centrare solo ciò che è assonante con la sua visione.

Scendendo nei dettagli dello spettacolo, cosa vedono gli spettatori nei tre diversi movimenti del trittico?

In Giro di vite interpreto tutti i personaggi, sto su una poltrona e cambio voce (a tratti usiamo anche un distorsore). Pertanto sono sì la governante anonima ma anche la piccola Flora e tutte le altre presenze della novella. Tecnicamente una prova molto impegnativa. L’atmosfera del monologo rimanda a un’idea di mistero così come vuole il testo. Lavoriamo molto sulle luci, sui suoni, le evocazioni, come fossimo su una zattera che galleggia nel vuoto. In Senso invece Valter ha fatto una scelta registica molto più concreta. Recito vicino agli spettatori, come se fossimo in un salotto borghese. Leggo uno scartafaccio segreto e inizio a ricordare la mia vicenda. La racconto al pubblico che è il mio interlocutore. Anna Karenina, come ho detto prima, è un vero e proprio reading, un monologo in cui dialogo con il violoncello del bravissimo Lamberto Curtoni, anche autore delle musiche originali. Diciamo che quest’ultimo lavoro è ancora in fase di studio.

Tu sei una fervida lettrice e un’apprezzata attrice. Questi due mondi, letteratura e teatro, si sono intrecciati anche negli anni della tua formazione?

Ho avuto la fortuna di studiare con un grande Maestro come Ronconi. Parlo di cose successe venticinque anni fa. Gli devo molto. Anche se ho capito meglio la sua eredità solo dopo aver lasciato la scuola. Da allieva provavo quasi un senso di distacco reverenziale. Dava moltissimo a noi ragazzi. Ci ha fatto conoscere Pasolini; ci ha insegnato a sentirci liberi, a gridare, attraverso le parole di Orgia, Calderón, Pilade. Momenti indimenticabili. Poi certamente la mia formazione si è affinata con le esperienze successive e soprattutto con il Teatro di Dionisio. Valter è un artista che mi spinge a sperimentare, a osare. Lo fa con tutti. Soprattutto con se stesso.

Il Teatro di Dionisio, guidato da Michela Cescon, è una delle realtà italiane più attive e progettuali. Vi lavorano molte donne e tante produzioni sono declinate al femminile. Una coincidenza o una scelta ben precisa?  

Non credo sia una semplice coincidenza il fatto di essere una compagnia per lo più femminile. Ciò implica avere uno sguardo preciso su certi temi ma non facciamo teatro di genere. Certamente produciamo molto, Valter è un regista prolifico e il pubblico di solito apprezza i nostri lavori. In questo momento, ad esempio, Federica Fracassi gira la Penisola con La Monaca di Monza di Testori; Roberta Caronia sta replicando Ifigenia in Cardiff di Gary Owen; Valter arriva al Vascello di Roma, insieme a Michela Lucenti, con Shakespeare/Sonetti (dal 12 al 17 marzo, ndr) e Michela Cescon (reduce dal successo di Talking Heads II di Alan Bennett, ndr) sta lavorando ad un progetto su Moravia. Tanta roba. Siamo tutte convinte che il teatro e la letteratura non moriranno mai.

Ed è per questo che ti dedichi tanto anche alla pedagogia?

Una delle cose che più mi piace fare è insegnare ai bambini. Loro sono il nostro futuro. E dobbiamo fare di tutto affinché diventino adulti appassionati di teatro e letteratura. Adulti compassionevoli.

Trilogia Malosti

Tre donne
un progetto di Valter Malosti
con Irene Ivaldi
Senso da Camillo Boito
Giro di vite da Henry James
Anna Karenina da Lev Tolstoj.
Le foto pubblicate, relative allo spettacolo Giro di vite, sono di Andrea Macchia.
Teatro di Villa Torlonia, Roma, dall’ 8 al 17 marzo 2019.

Per le info dettagliate sui singoli spettacoli: http://www.teatrodiroma.net/stagione/villatorlonia/next/2018.