L’essenza del tragico tra salvezza e distruzione. Uno studio da Le Baccanti di Euripide di Carolina Germini

Difficile e insieme coraggiosa l’impresa che Emma Dante ha condotto, portando in scena uno studio su Le Baccanti di Euripide, risultato di una profonda e originale ricerca compiuta insieme agli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Immediato e forte l’impatto dello spettatore con la scena.
Il palco del Teatro India è subito abitato da creature tormentate, pronte a ferire. Le teste mozzate che pendono dal soffitto sono un chiaro presagio di morte, la testimonianza che qualcosa di terribile si prepara ad accadere. Il teatro di Euripide è rivoluzionario in questo: nell’assegnare alle donne uno spazio del tutto nuovo. È la forza e la potenza di queste creature femminili a sconvolgere lo spettatore. Medea è senz’altro l’eroina di questa trasformazione. All’oltraggio subìto reagisce con una forte carica emotiva, che converte in una devastante razionalità omicida. È questa la caratteristica principale delle donne di Euripide: l’essere sempre oscillanti. La forte componente irrazionale però non impedisce loro di avere una risoluta capacità d’azione. Le Baccanti sanno essere distruttrici e salvifiche allo stesso tempo. La potenza femminile contribuisce a mettere in luce la debolezza dei personaggi maschili. È così che appare Penteo, il re di Tebe, nel suo negare l’esistenza di Dioniso. È qui in gioco uno dei temi centrali del teatro euripideo: lo scontro tra il potere costituito, incarnato ne Le Baccanti dalla figura di Penteo e la diversità rappresentata da Dioniso, che agisce sul piano della giustizia divina. Il dio è giunto a Tebe per recuperare un’identità che Penteo gli aveva negato, poiché sovvertitore di ordine e di moralità. Le Baccanti con il loro delirio mettono in luce l’assurdità della sua azione. Egli non si rende conto della follia del suo insano gesto. L’indovino Tiresia sa bene a quali sciagure il re andrà incontro e la sua cecità non è nulla paragonata a quella di Penteo, che non è capace di distinguere un dio da un mortale.

Emma Dante, fedelissima al testo, se riesce così bene a dar vita alla lotta tra le Baccanti e Penteo è perché individua nella corporeità l’elemento fondamentale della tragedia di Euripide. Le seguaci di Dioniso, in preda al delirio, sono fisicità pura. Penteo invece somiglia più a un’immagine fissa, incapace di movimento. La sua immobilità fisica non fa che risaltare la sua stupidità. Non si tratta neppure dello scontro tra l’apollineo e il dionisiaco, poiché il comportamento di Penteo non ha nulla che rimandi al razionale. È così che dal delirio delle Baccanti viene letteralmente travolto. Il rito dei misteri dionisiaci, lo sparagmòs, si compie in tutta la sua violenza. Penteo viene dilaniato a mani nude. Oltre a fare così giustizia a Dioniso, le Baccanti, con questo rituale, offrono contemporaneamente un sacrificio al dio a cui sono devote. Certamente Emma Dante vuole restituire al coro la stessa centralità che aveva nel mondo greco. Come scrive Nietzsche ne La nascita della tragedia: «Il coro è lo “spettatore ideale”, in quanto esso è l’unico spettatore, lo spettatore del mondo, di visione della scena». Nietzsche quindi lega la funzione del coro al fenomeno teatrale che è all’origine del dramma. Il coro infatti rappresenta per l’uomo dionisiaco un rispecchiamento di sé. È ciò che accade all’attore quando vede fluttuare davanti ai propri occhi la figura del personaggio che deve rappresentare. C’è in questo processo un annullamento dell’individuo, che si separa da sé per accedere a una natura estranea. Il vero dramma della tragedia è quindi contenuto nelle parti corali. Inoltre, Nietzsche mette in luce una delle trasformazioni più importanti che la tragedia ha subìto e che vede Dioniso al centro. Il dio greco, nel periodo più antico della tragedia, non è veramente esistente ma viene rappresentato come tale. Solo più tardi il dio viene mostrato come reale e reso perciò visibile. È con la comparsa di Dioniso sulla scena che ha inizio il vero e proprio dramma. Con questa apparizione cambia anche la funzione del coro, che si trova investito del compito di eccitare l’animo degli ascoltatori fino al punto in cui questi, una volta che lo vedono comparire, non vedono, scrive Nietzsche, l’uomo mascherato ma una figura visionaria partorita dalla loro stessa estasi. Nello studio di Emma Dante, però, la recitazione corale risulta a tratti ridondante e toglie allo spettacolo parte della sua potenza. In alcuni momenti l’esperimento non riesce a pieno, forse a causa di una recitazione ancora un po’ acerba. Ma è anche a questo che forse, scegliendo di portare in scena uno studio, la sua regia vuole condurci: a un processo trasformativo. L’attore – così come i personaggi della tragedia greca e gli spettatori – va incontro a un mutamento. Questi giovani attori sono a tutti gli effetti ancora allievi e questa loro essenza non può che emergere in tutta la sua verità. Lo spettatore quindi non solo assiste a una messa in scena più che riuscita de Le Baccanti ma contemporaneamente è coinvolto nel processo creativo. Non prende così forma solamente il delirio delle creature di Dioniso ma anche tutto il faticoso lavoro attoriale e registico.

Studio da Le Baccanti di Euripide

traduzione Edoardo Sanguineti

regia Emma Dante
con Viola Carinci, Irene Ciani, Gabriele Cicirello, Renato Civello
Jessica Cortini, Eugenia Faustini, Angelo Galdi, Alice Generali
Domenico Luca, Paolo Marconi, Eugenio Mastrandrea, Michele Ragno, Naike Anna Silipo
e con le allieve del II° Anno: Anna Bisciari, Adele Cammarata, Ilaria Martinelli
scene Carmine Maringola
movimenti scenici Sandro Maria Campagna
musiche e arrangiamenti corali Serena Ganci
luci Cristian Zucaro
assistente alla regia Federico Gagliardi
foto di scena Tommaso Le Pera

Teatro India, Roma, dal 22 dicembre 2018 al 5 gennaio 2019.