Tra cinema e letteratura, sul filo della memoria di Anna Maria Sorbo

Tra gli eventi in locandina a Parigi dal 14 febbraio all’8 marzo 2023 alla Biblioteca Benoîte Groult, nell’ambito di un più nutrito calendario di iniziative dedicato a Cultura e parità di genere, la proiezione del film Les mots comme des pierre. Annie Ernaux, écrivain, realizzato nel 2013 da Michelle Porte – sceneggiatrice, documentarista e regista poco nota al grande pubblico in Italia, ci consente di tornare a parlare di un film per il quale si può legittimamente utilizzare l’espressione “da non perdere”. Si tratta di I miei anni Super 8 (titolo originale: Les années Super 8), che la scrittrice francese Premio Nobel per la Letteratura 2022 firma insieme con il figlio David Ernaux-Briot. Tra l’altro, detto per inciso, entrambe le opere di Ernaux e Porte hanno nella memoria e nel rapporto tra memorie scritte e filmate un unico comune denominatore.
Alla fine dell’inverno del 1972, mentre Annie insegna e intanto cerca il suo posto nel mondo, scrivendo di nascosto dai familiari (ignara che di lì a poco quel manoscritto segreto segnerà il suo esordio letterario con Gallimard) lei e suo marito Philippe acquistano una cinepresa e un proiettore Super 8. Sono proprio i filmini amatoriali girati fino al 1981 – quasi sempre dal compagno – a costituire la “materia” del film: 5 ore di riprese rimaste a lungo dimenticate, dopo la separazione tra i due, prima di essere riportate alla luce con le loro scene di vita quotidiana, la casa di Annecy, i Natali e le ricorrenze varie, le gite in campagna e sulla neve, le vacanze estive con i suoceri e i viaggi, tanti: dal Cile di Allende alla Russia sovietica, dall’Albania comunista di Hoxha alla Spagna post-franchista al Marocco, nuova meta esotica.

Se l’assemblaggio ne conserva l’ordine cronologico, a svelare ciò che c’è dietro e intorno alle immagini provvede la voice over della stessa Ernaux che le accompagna, riempiendo il tipico silenzio delle riprese in Super 8 e “cucendo” un perfetto testo in contrappunto, grazie al quale come nei suoi libri – a dispetto del forte dato autobiografico di partenza – l’individuale e il collettivo si fondono e l’intimità dell’archivio di famiglia si apre su una dimensione più ampia. «Rivedendo i nostri filmini, mi è venuto in mente» – ha scritto nelle note di regia la scrittrice – «che esse costituivano non solo un archivio di famiglia, ma anche una testimonianza dei gusti, degli svaghi, dello stile di vita e delle aspirazioni di una classe sociale nel decennio successivo al 1968».  Così, la grana della pellicola Super 8, mentre trasmette il gusto e il colore di quegli anni, sembra preannunciare che quel mondo nel bene e nel male sta per cambiare definitivamente, portando grandi conquiste, nuovi modi di intendere i ruoli di genere, prese di coscienza e trasformazioni epocali, ma covando anche profonde contraddizioni e lasciandosi dietro una scia nostalgica di rimpianto e disillusione.
Il fascino maggiore di I miei anni Super 8 resta tuttavia ancorato al piano filmico e sta nel costruire una narrazione per immagini che in un certo senso si situa all’opposto dell’ “effetto di realtà” prodotto dal cinema, indaga la differenza sottile tra reale e irreale e ha il potere di evocare luoghi, cose e persone che non ci sono più o (citiamo a memoria dalle parole della Ernaux) ciò che può trovarsi “qui” in un  altro momento: nel cesellare uno di quei cristalli di tempo in bilico tra l’adesso e il ricordo, forse addirittura tra la vita e la morte.