“Close” o della perdita dell’innocenza di Anna Maria Sorbo

“Eccezionale”, “emotivamente penetrante”, “un coming of age potente e folgorante”: Close del regista belga (fiammingo) Lukas Dhont, classe 1991, merita tutti gli aggettivi e i riconoscimenti che gli sono stati attribuiti: dal Grand Prix al Festival di Cannes 2022 alla nomination come Miglior film internazionale ai prossimi Oscar e altre numerose candidature. Léo e Rémi sono due adolescenti amici fraterni. Sono una coppia? Voi due state insieme? La domanda, per quanto buttata lì con innocenza, fa affiorare una sessualizzazione che appartiene solo allo sguardo altrui, nella fattispecie dei coetanei con cui Léo e Rémi si trovano a confrontarsi con l’ingresso alle scuole superiori. E così la storia che era iniziata nel segno della giocosità e della spensieratezza, di allegre corse nei campi in fiore e gare in bici a perdifiato, si offusca e vira in tragedia. Se Léo è il primo a percepire il disagio di un improvviso bisogno di definire e definirsi nel gruppo dei pari, sarà Rémi a pagare il prezzo più alto nel vedere sfuggirgli il rapporto di intimità con l’amico di cui godeva. Devastato, Léo seppellisce i suoi sensi di colpa finché non riuscirà a rivelare a Sophie, la madre di Rémi, l’angoscia che lo tormenta. Ma – per fortuna, verrebbe da dire – la vita continua e Léo tornerà a correre e sorridere felice.
Come nel precedente Girl, suo primo lungometraggio e Caméra d’Or alla Croisette nel 2018, Dhont esplora il tema della ricerca dell’identità e della conquista del Sé in quella delicata fase sospesa tra la fine dell’infanzia e il passaggio all’età adulta, tematica in cui il piano sessuale è solo una delle componenti obbligate ma non l’unica. Lo fa con una regia che non ha bisogno di effetti speciali e riprese ai limiti dell’impossibile per colpire, con inquadrature mobilissime e tutte giocate sui primi e primissimi piani, usando il linguaggio del corpo prediletto dal regista per dire anche il non-detto. Altrettanto la sceneggiatura (scritta dal regista con Angelo Tijssens, come per Girl) è essenziale, i dialoghi scevri di qualsivoglia didascalismo; simbolismo e allegoria – l’alternanza delle stagioni e dei colori – coesistono nella scrittura con naturalezza. Mirabili per spontaneità e verità gli interpreti (su tutti, l’esordiente Eden Dambrine).
Insomma, Close si situa all’estremo opposto di ciò a cui tanto audiovisivo ci ha assuefatto quando si racconta l’universo dei teenagers, spogliandosi di ogni stereotipo e vibrando le corde universali del dolore connesso all’esistenza e alla crescita e della fragilità umana nel grande e impermanente movimento della Vita.