“La cantata dei pastori” dal Settecento ai giorni nostri di Sergio Roca

Foto di Sergio Roca

Quando la sera del 3 gennaio 2023 il sipario del Teatro Sala Umberto si è aperto sulla fantasiosa scenografia di Carlo De Marino, illuminata dagli effetti di Luigi Della Monica, realizzata per La cantata dei pastori di Peppe Barra e Lamberto Lambertini (tratto dalla storia settecentesca di Andrea Perrucci) molto del pubblico romano presente in sala non sapeva esattamente a cosa avrebbe assistito.  Se il testo originale, scritto tra l’italiano e la lingua ufficiale del Regno delle Due Sicilie, narra del sogno mistico del pastorello Benino – emblema dell’umanità “dormiente” in attesa del risveglio dato dall’annuncio dell’arrivo del Salvatore – la messa in scena di Peppe Barra e Lamberto Lambertini è la trasposizione di quel copione, nelle sue parti comiche, in una totale realtà profana dei giorni nostri.
Benino, nel presepe napoletano, per chi non lo sapesse, è la figura chiave della rappresentazione plastica della Santa Notte. È lui, col suo sognare, che crea una “proiezione” della natività realizzando il presepe di cui è parte, presepe che non potrebbe esistere se solo si svegliasse. Per questo Perrucci usa questo personaggio come “narratore” del suo racconto teatrale.

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Negli ultimi quarant’anni La cantata dei pastori è sempre stata nel repertorio di Peppe Barra che, però, si è sempre dedicato ad un costante “ammodernamento” dell’opera collaborando, oltre che con la madre Concetta, anche con Lino Cannavacciuolo, Roberto De Simone, Lamberto Lambertini (coinvolto come coautore anche in questa edizione). Con lo scorrere del tempo i buffi protagonisti Razzullo e Sarchiapone sono mutati ed assimilati nella modernità tanto da usare uno slang napoletano contemporaneo, decisamente popolare, che non disdegna l’uso verbale di classificazioni fisiche e di genere non politically correct. Di fatto, a dispetto della “cultura alta”, l’ilarità tipica dello sberleffo suscita una risata vera, spontanea, senza escludere che, in seguito, razionalizzando, si provi empatia per il malcapitato.
Nel lungo percorso di adattamento La cantata da “sacra rappresentazione”, seppur concepita in forma di farsa, risulta inserita, oggi, nella cultura dei lazzi della Commedia dell’arte con molti ammiccamenti al varietà e all’avanspettacolo. Questi generi teatrali, nella loro complessità espressiva, convivono di fatto nella quotidianità napoletana dove religione e superstizione trovano un punto di contatto nel momento in cui la derisione della sofferenza si configura come un apotropaico esorcismo.

Foto di Sergio Roca

Il plot della storia è costituito dalle difficoltà, create dalle forze del male con l’intento di impedire la nascita del Messia, che Giuseppe e Maria devono superare nel corso del loro viaggio verso Betlemme. Mentre i pastori sono in attesa del grande evento, sulla strada percorsa della Sacra Famiglia, si intrecciano le paradossali storie di Razzullo (Peppe Barra) e Sarchiapone (Lalla Esposito) che nel vano tentativo di racimolare qualcosa da mangiare saranno vittime delle cospirazioni dei demoni. Il primo è uno scrivano napoletano giunto in Palestina per il censimento, il secondo, suo compaesano, è un uomo brutto e deforme, in fuga dalla giustizia a seguito di un omicidio. La notte di Natale desterà tutti dal sogno per annunciare, nella vita reale, la buona novella.
In scena Barra e la Esposito sono incontenibili nel cimentarsi in una lunga serie di duetti comici che richiamano i classici personaggi della Commedia dell’arte usando anche gags dei clown teatrali. Molti degli sketch somigliano a quelli del varietà. Io ho ripensato ai fratelli De Rege, a Carlo Campanini e Walter Chiari, ma anche ad alcuni brani cinematografici di Totò e Peppino. Nei loro deliri, che riscuotono immenso successo nel pubblico, frequenti sono gli “omaggi” ai grandi del teatro napoletano con delle citazioni dedicate, ad esempio, a De Sica, Eduardo, Pupella Maggio, ma anche a generi come la sceneggiata o la canzone neomelodica.

Foto di Sergio Roca

Lalla Esposito è una “macchina da guerra” saltando, correndo, urlando quasi tutto il tempo, mentre Barra, da eccelso professionista, gestisce con sapienza tutti i restanti ritmi comici.
Impossibile non apprezzare l’ottimo lavoro svolto da tutti i componenti del cast composto da: Serena De Siena (Benino), Luca De Lorenzo (padre di Benino), Massimo Masiello (pescatore), Antonio Romano (cacciatore), Rosalba Santoro (Maria), molti di loro impegnati anche in più parti.
Lo spettacolo non avrebbe lo stesso impatto senza i costumi di Annalisa Giacci e se non vi fossero le musiche di Giorgio Mellone suonate dal vivo dal quartetto composto da Pasquale Benincasa, Giuseppe Di Colandrea, Agostino Oliviero, Antonio Ottaviano.
Spettacolo di particolare bellezza messo in scena con estrema cura e amore per il teatro. Adatto e gradevole per un qualsiasi pubblico ma in particolare per chi è amante del genere del varietà o del teatro di tradizione napoletana.

Foto di Sergio Roca

La cantata dei pastori

di Peppe Barra e Lamberto Lambertini
con Peppe Barra e Lalla Esposito e con Luca De Lorenzo, Serena De Siena, Massimo Masiello, Antonio Romano, Rosalba Santoro
musicisti Pasquale Benincasa (percussioni), Giuseppe Di Colandrea (clarinetto), Agostino Oliviero (violino e mandolino), Antonio Ottaviano (pianoforte).
regia Lamberto Lambertini
aiuto regia Francesco Esposito
musiche Giorgio Mellone
scene Carlo De Marino
costumi Annalisa Giacci
luci Luigi Della Monica.

Teatro Sala Umberto, Roma, fino al 15 gennaio 2023.