Recitare è giocare: intervista ad Alessandro Anglani, ideatore di “Sephirot – il gioco” di Renata Savo

Foto di Matteo Toni

C’è un mondo affascinante, terra di confine tra ludologia, narrativa e performing art, sognato da molti, abitato da pochi. Negli ultimi anni, in Italia la ricerca sta muovendo i suoi passi negli interstizi fra queste discipline grazie a un team di studiosi attento e appassionato. Tra questi un giovane ricercatore, Alessandro Anglani, laureato in Informatica e diplomato attore alla Scuola “Alessandra Galante Garrone” di Bologna. Alessandro ha unito le due passioni fino a farne un campo di ricerca stimolante, attirando l’attenzione di una community di studiosi che ha scelto di investire sulle sue intuizioni. È l’ideatore di Sephirot – il gioco, un gioco di ruolo performativo (dal 2021 anche online), utilizzato per interpretare storie ipertestuali in cui i partecipanti possono ogni volta drasticamente cambiarne la struttura. Una prima versione “applicata” a un intreccio preesistente di questo gioco si potrà vedere lunedì 19 e martedì 20 dicembre (ore 10.30) al Teatro del Lido di Ostia, che sta proponendo iniziative e spettacoli dal linguaggio sperimentale rivolti a giovani spettatori. Nello spettacolo interattivo La volpe e il corvo, tratto dalla favola di Fedro che affronta le tematiche dell’astuzia e del compromesso, il pubblico è co-creatore dell’opera che viene giocata come una partita, ogni volta unica e diversa a seconda delle quattro possibili narrazioni della storia. A combinare i finali possibili, l’iperdrammaturgia di Carla Andolina e Alessandro Anglani, con in scena i performer Leonardo De Simone e Andrea Rodi. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Alessandro Anglani.

Alessandro Anglani, attore e informatico. A quale delle due anime in te oggi combacianti sei più affezionato? Quale speri che prevarrà sull’altra in futuro? E, sbaragliando in un certo senso entrambe, possiamo aggiungere anche una terza voce al tuo curriculum del futuro, quella di “studioso”? 

Sarò sincero, è un sentimento altalenante, e non è neanche detto che la mia risposta possa non invecchiare rapidamente. Durante gli anni del liceo non avrei mai visto un futuro per me diverso da quello performativo. La sfida del percorso di laurea in informatica l’ho vissuta come un gran sacrificio, e la riabilitazione di quell’“anima analitica” è in realtà avvenuta piuttosto recentemente, dall’esperienza dell’International Summer Program del Watermill Center di New York nel 2019, dove ho scoperto in biblioteca il libro di Steve Dixon edito dal MIT Digital Performance: A History of New Media in Theater, Dance, Perfomance Art, and Installation. Mi son detto «perché dovrei considerarle due anime differenti?», così ho smesso di farle scontrare o alternare, hanno trovato un terreno da condividere nell’ambito della Immersive and Interactive Digital Performance e dell’Interactive Storytelling, dando una svolta decisiva al progetto Sephirot e, come fai giustamente notare, hanno sbloccato nuove prospettive inaspettate nell’ambiente accademico: attualmente sono ricercatore di Interactive Storytelling presso l’Università di Torino e cultore della materia presso il corso di Drammaturgia Multimediale dell’Università Statale di Milano. Tutto ciò è reso possibile grazie ad una nuova generazione accademica (in Italia fra tutti il Prof. Antonio Pizzo e la Prof.ssa Anna Maria Monteverdi) interessata a questo curioso incrocio tra Ludologia, Narratologia e Game Design che è l’Interactive Narrative Design. E se proprio devo definirmi, “ricercatore” è il termine che più mi aggrada.

L’avventura di Sephirot – il gioco, una tua creazione che unisce appunto le due anime principali che ti rappresentano, è iniziata circa tre anni fa. Come è cresciuto in questi anni il gioco, e come hai fatto a far comprendere il valore di un progetto non facile da comunicare? Raccontaci anche che cosa lo ha ispirato. 

Se dovessi trovare la radice delle radici, la mia memoria va direttamente al periodo di studio alla Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone”, dove nel 2016 si iniziò ad insinuare in mente il tarlo di voler far interagire il pubblico nello spettacolo, non allo stesso modo di come avviene nel teatro di improvvisazione, ma in maniera procedurale e diegetica attraverso delle azioni spontanee. Dopo due anni di immersione nei concetti spaziali di Grotowski e Artaud e i quesiti sollevati durante la Biennale di Venezia College del 2018 sulla diatriba attore/performer, già esisteva un acerbo sistema di narrazione performativa interattiva dal nome Sephirot. Il debutto del sistema davanti ad operatori del settore è avvenuto durante la Biennale College Registi 2019 con lo scenario Eliogabalo – l’anarchico incoronato. L’impatto è stato traumatico quanto fondamentale: c’è stato un altro anno di “restauro” in cui si sono create le convenzioni originali per questo genere di spettacolo, non attingendo solamente al teatro ma anche allo sport, al gioco di ruolo e al game design. È nato Sephirot – il gioco: prontissimo ad aprirsi ad un pubblico più ampio tra gennaio e febbraio 2020, proprio in tempo per la pandemia. La nuova necessità “domestica” permette al sistema di muovere i primi passi nella sua versione online, generando un seguìto interesse da parte della community sui maggiori social network di riferimento. I performer hanno la possibilità anche da remoto di relazionarsi al linguaggio originale delle iperdrammaturgie, simulando la telepresenza attraverso piattaforme tabletop in cui invece di spostarsi all’interno dello spazio scenico muovono delle proprie pedine. Al contempo, allenano le proprie capacità improvvisative e strategiche con altri giocatori che si collegano attraverso chat YouTube, attivando una co-autorialità interattiva prevista dal sistema che supera le limitazioni prossemiche. Il 2021 è l’anno in cui le esperienze raccolte hanno portato allo sviluppo di un prototipo in Realtà Virtuale dell’esperienza Sephirot, grazie al bando Sostegno alle start-up innovative nel settore dei videogame di Cinecittà e LazioInnova. Sarà possibile giocare a Sephirot sia nella stessa stanza che da casa senza alterarne la fruizione e partecipazione, ma chiaramente offrendo due esperienze differenti. L’allentarsi delle restrizioni Covid, inoltre, ha permesso di tornare in versione analogica in spazi teatrali convenzionali e non, in tournée nazionali. Si formalizza un gruppo d’amministrazione imprenditoriale vero e proprio, Chrones (con Carla Andolina, Elisa Armellino e Margherita Scalise), che unisce i vari team creativi, performativi e di development che negli anni si sono aggiunti, arrivando a circa quaranta persone che lavorano contemporaneamente ai vari aspetti del progetto. Solo grazie a questa concertazione totalmente inaspettata, il 2022 ci ha riservato splendide sorprese, tra cui l’inizio della collaborazione con l’Università di Torino per lo sviluppo di un software di interactive storytelling per performance dal vivo, con l’Università di Milano come percorso di ricerca all’interno del corso di Drammaturgia Multimediale, la pubblicazione di un saggio sulla rivista accademica “Connessioni Remote”, Sephirot – il gioco: passaggio tra rappresentazione e simulazione, e la presentazione come case study per il V Congresso EASTAP presso il Piccolo Teatro di Milano e per l’IFTR World Congress  presso Reykjavik (Islanda), oltre che la scrittura di undici iperdrammaturgie.
La domanda “come comunicare?” risuona come una croce e delizia che ancora pare non aver trovato una soluzione concreta. La complessità è un concetto a cui siamo implicitamente abituati ma che non sempre comprendiamo. Ti faccio un esempio: in ambito di letteratura potenziale performativa, come posso comunicare con un video la molteplicità di opzioni che un ipertesto offre? È un bel problema, e ci stiamo sguazzando. Per lo stesso motivo per cui c’è sempre un riflesso nel pozzo, ogni interlocutore coglie un aspetto peculiare di Sephirot che lo interessa, che caleidoscopicamente lo affascina, e allora si tratta solo di cogliere quella scintilla per riuscirsi a capire.

Qual è, o quale potrebbe essere, la definizione di “iperdrammaturgia”?  

Una iperdrammaturgia è una drammaturgia ipertestuale, ovvero un testo afferente alla letteratura potenziale ma che ha al suo interno delle convenzioni performative. L’ipertesto, fondamento di qualsiasi sistema di scrittura non lineare utilizzata in ambito informatico e nella letteratura interattiva, non prevede un solo percorso all’interno del racconto per il lettore, rendendolo co-autore in quanto “responsabile” della propria esperienza, implicando la presenza di più mondi possibili già auspicati da Umberto Eco nella sua Opera aperta. A differenza di una drammaturgia strutturalmente lineare, offre ad esempio finali multipli per aumentare l’effetto drammatico delle scelte morali al suo interno, spostando il controllo dello svolgimento della storia sugli “agenti”, che scelgono quale percorso seguire. Segue un concetto evolutivo del modello più tradizionale di narrativa, in cui le unità potevano essere collegate tra di loro solo secondo un criterio di precondizioni ed effetti, entrando a far parte della cosiddetta loose narrative (narrativa sciolta).
In breve, sono testi che non sviluppano una storia in maniera lineare, ma permettono ai partecipanti (performer e pubblico, se vogliamo usare termini teatrali) di “viaggiare” nel testo a seconda di alcune scelte fatte nel suo corso. Si pensi ai libri-game degli anni Ottanta, o ai più recenti riferimenti delle storie a bivi Disney o al film Netflix della serie Black Mirror, Bandersnatch. Sephirot – il gioco è diventato quindi un metodo per interfacciarsi ad una iperdrammaturgia tramite la gamification, permette di “giocare” (nel senso di to play, jouer) queste storie ipertestuali.

Come Sephirot incontra la favola di Fedro, La volpe e il corvo? 

La volpe e il corvo è la prima iperdrammaturgia Sephirot completa che abbiamo creato. Sono voluto partire dalle favole (e successivamente le fiabe) proprio per via della semplicità strutturale che le caratterizza, per poi permetterci di spostarci verso lidi via via più complessi. E attualmente ne sono entusiasta: le fiabe hanno un valore senza pari, offrono nuove dimensioni all’immaginazione di chi ha ancora poca conoscenza della vita. La fiaba semplifica tutte le situazioni: i suoi personaggi sono nettamente tratteggiati, e i particolari, a meno che non siano importanti, sono eliminati, altra cosa che trovo fondamentale. Tutti i personaggi sono tipici anziché unici. Nelle fiabe, inoltre, il male è onnipresente come la virtù: l’eroe risulta più attraente per il bambino, che si identifica con lui in tutte le sue lotte. Le scelte che fa un bambino non dipendono tanto da una presa di posizione in favore del bene e contro il male, ma da chi suscita la sua simpatia e la sua antipatia. Più un personaggio buono è semplice e schietto, più è facile per un bambino identificarsi con lui e respingere quello cattivo. L’interrogativo che si pone per il bambino non è “voglio essere buono?” ma diventa “come chi voglio essere?”. Una riflessione per noi essenziale per continuare questo tipo di ricerca.