La pratica dell’accoglienza nella “Danza cieca” di Virgilio Sieni di Katia Ippaso

Foto di Paolo Porto

Si intitola Danza cieca, ma è una danza che introduce alla luce della conoscenza: alludiamo al duetto firmato da Virgilio Sieni, anche autore di un libretto che porta lo stesso titolo, un taccuino prezioso, concepito «per favorire il rinnovamento della danza» che al suo interno contiene l’interpretazione di opere come la Deposizione di Pontormo, il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca e La Crocifissione di Sant’Andrea di Caravaggio (Cronopio edizioni). In parte l’aggettivo scelto richiama la condizione fisica di uno dei danzatori, Giuseppe Comuniello (tutti preferiamo dire “non vedente”). Cieco è, però, anche l’avanzare di un corpo verso l’altro, nel cercare i punti di contatto, l’energia imprevista, l’accesso nella tenebra, senza uno schema precostituito o formalizzato in partenza. Teatro e danza sono forme primarie di conoscenza.  Ricreare quel momento epifanico, primigenio, è dunque compito di ogni artista che possa veramente dirsi tale. Da tempo, il coreografo, danzatore e teorico fiorentino (dal 2013 al 2016 ha diretto la Biennale Danza di Venezia), fondatore della compagnia che porta il suo nome e direttore dei Cantieri Goldonetta di Firenze, si interessa al coinvolgimento di bambini, anziani, cittadini, nella costruzione di una partitura corale che va disegnandosi in varie parti d’Italia e d’Europa, attraverso un tenace camminamento di cura e guarigione. Sotto il titolo unitario di “Territori del gesto” (un progetto nato nel 2021 che andrà avanti fino al 2024), si sviluppano «pratiche diffuse per la cura dell’individuo e del paesaggio»: un percorso che prevede movimenti coreografici, riletture di opere d’arte, percorsi di partecipazione e di tutela della memoria. Potrebbe rivelarsi uno dei movimenti fondativi dell’Europa del futuro. Perché di quale Europa possiamo veramente palare se non si parte dal bisogno individuale e dalla costruzione di tante piccole comunità che si fondano sui principi concreti, e non astratti, dell’ascolto e dell’accoglienza? Attorno al tema dell’accoglienza si gioca uno scontro politico che ogni giorno si omologa sempre di più. Non si accoglie nessuno. Punto e basta. Neanche quei tre poveri cristi che dalla Nigeria alla Spagna si sono attaccati al timone di una petroliera. Vivi per miracolo, attendono di essere rispediti indietro (sempre che non accada, nel frattempo, un secondo miracolo). Allora, come ricostruire il linguaggio, come dare senso materiale fisico e immaginifico alle parole? Come pensare un pensiero che sia “veramente pensato” (Heidegger)?

Foto di Paolo Porto

Il duetto di Virgilio Sieni con Giuseppe Comuniello, accompagnato (o disgiunto) dal taccuino filosofico della Cronopio, si staglia come un esempio tangibile di quello che vuol dire capacità di ascolto e di accoglienza. Uno dei due danzatori (Comuniello) non è dotato dell’organo della vista, ma certamente avverte, prevede, rilancia e ricrea il gesto sensibile dell’altro danzatore, Virgilio Sieni, anche orchestratore di questa Danza cieca.  Resistenza, condivisione, accoglienza, ascolto, costellano i gesti e le analisi. Nel movimento della danza si articola una dialettica sorprendente tra dentro e fuori, tra la sfera femminile e quella maschile, o anche tra la madre e il padre. Allo stesso modo, e con altri strumenti, si sviluppa attraverso le parole del libro (curato da Delfina Stella, prefazione di Fabio Fornasari, 2022, pp. 94, euro 12,00) quel «mondo adiacente al corpo», tutto quello che si può definire «intorno al tatto», «il gioco dei dettagli», «lo spazio tattile». La singolarità del lavoro di Virgilio Sieni sta nell’aver abbandonato da tempo, senza per questo uscire dal mondo, da “questo mondo”, un’idea autoreferenziale e narcisistica della danza. Accanto a spettacoli autosufficienti che continuano a girare il mondo, il coreografo fiorentino dissemina tante piccole e grandi creazioni che si vanno componendo attorno all’incontro tra chi accoglie e chi è accolto, nella messa a fuoco di una dinamica sorgiva, e rigenerativa, che scompagina il confine tra professionisti e non professionisti, tra maestri e allievi, tra normodotati e ipodotati.

Foto di Paolo Porto

Laddove, per paradosso, nel segno del “meno”, si annida una possibilità sensoriale diversa, più lucida, affilata. Assistendo a una replica di Danza cieca, torna alla mente l’esperienza di Hugues de Montalembert, scrittore, cineasta e pittore francese che perse la vista nel 1978, a New York, in seguito a un trauma. Per ascoltare la sua storia di morte e rinascita, è sufficiente recuperare il magnifico documentario Black Sun diretto da Gary Tarn (2005): trascinati dalle stesse parole e dalla voce di Hugues de Montalembert, avremo modo di accedere a un diverso approccio percettivo. Perché quello che la maggior parte degli esseri umani giudica un deficit può divenire, se stimolato, lo strumento di accesso privilegiato a quel mondo pulviscolare, poroso, di vastità insospettabili, che l’occhio abitudinario ed “efficiente” non coglie. Oliver Sacks lo chiamava “l’occhio della mente”.

Danza cieca 

coreografia Virgilio Sieni
interpreti Virgilio Sieni e Giuseppe Comuniello
musica dal vivo Spartaco Cortesi (elettronica).
Produzione Fondazione Matera-Basilicata 2019, Compagnia Virgilio Sieni.

Casa della Cultura Italo Calvino, Calderara di Reno (BO), 23 ottobre 2022, all’interno della monografia “Atlante minimo sulla tattilità” che ATER – Circuito Emilia-Romagna ha dedicato al percorso sul Gesto di Virgilio Sieni:  http://www.virgiliosieni.it/danza-cieca/.