“Argentina, 1985”: a Venezia un processo che ha cambiato un Paese di Carolina Germini

Alle otto del mattino la sala PalaBiennale è già piena. Durante la proiezione ogni tanto mi guardo intorno. Questa immensa esperienza collettiva, dopo gli ultimi due anni di isolamento, mi sembra impossibile. Non ho mai visto un pubblico così disciplinato, così attento. Quello a cui assisto è a tutti gli effetti un rito. Il momento in cui le luci si spengono ne segna l’inizio. Non so bene, però, quando si concluda, se con la fine dell’ultima scena o quando usciamo dalla sala, o se solamente la sera mentre lasciamo il Lido per tornare a Venezia e sul vaporetto parliamo ancora di film con degli sconosciuti. «A me non ha convinto molto. Non ho ben capito dove volesse arrivare». «Io invece l’ho trovato bellissimo. Secondo me dovremmo comprarlo». Le voci dei produttori si confondono con quelle di giovani cinefili, studenti emozionati e storditi che alla fine della giornata non ricordano più nemmeno quanti film hanno visto.
Il rito si apre con un processo, quello al centro del film in Concorso Argentina, 1985 di Santiago Mitre, che qui viene definito il processo più importante che il Paese abbia mai affrontato. Un tribunale civile ha il compito di condannare le alte sfere dell’esercito, responsabili di aver compiuto durante la dittatura militare una serie di crimini contro l’umanità. A capo di questa impresa è il procuratore Julio Strassera, che sente su di sé la responsabilità di tutte le vittime e il dolore delle famiglie dei desaparecidos. Ad affiancarlo il giovane procuratore Luis Moreno-Ocampo. Quando Strassera apprende la notizia che il processo si farà, dà vita a una corsa contro il tempo per raccogliere quanti più documenti e testimonianze possibili per dare giustizia alle vittime. Su suggerimento di Ocampo, si circonda di un gruppo di giovani volenterosi che sanno che quello a cui stanno partecipando è un momento epico per l’Argentina.
Le scene, quasi esclusivamente girate in interni, come l’aula del tribunale e lo studio di Strassera, restituiscono ancora di più la pesantezza e il senso di minaccia che si respirava in quei giorni. Attraverso inquadrature strettissime, Mitre riesce a far vivere allo spettatore la sensazione di essere sempre a fianco di Strassera, come fosse una sua guardia del corpo, facendolo sentire così in un costante senso di  pericolo.

Foto di Lina Etchesuri

La figura di Strassera ricorda, sia per la fisicità sia per la serietà e la dedizione con cui porta avanti questo processo, quella di Giovanni Falcone durante il Maxiprocesso di Palermo (1986-1992). Il loro coraggio e il forte senso di giustizia e responsabilità è il motore fondamentale di entrambe le storie. Julio Strassera con Argentina, 1985 riesce a far rivivere il dramma collettivo di un Paese e a raccontare un episodio cruciale della sua storia attraverso il coraggio e l’ostinazione di un uomo che non si arrende di fronte a chi, inutilmente, tenta di ostacolarlo. Il regista stesso descrive così quel momento: «Ricordo ancora il giorno in cui Strassera formulò l’atto di accusa: il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse una partita di calcio, l’idea di giustizia come atto di guarigione». Strassera rende talmente vivo questo suo ricordo che alla fine del film abbiamo più l’impressione di lasciare un’aula di tribunale che la sala di un cinema.

Mostra del Cinema di Venezia che si è svolta dal 31 agosto al 10 settembre 2022.